15/12/1969–15/12/2015: il pestaggio subìto potrebbe essere la causa della sua morte…

15/12/1969–15/12/2015: il pestaggio subìto potrebbe essere la causa della morte…

Il 1968 e il ‘69 sono anni in cui la contestazione operaia e studentesca sembra portare a grandi cambiamenti.

La politica catto- fascista si preoccupa di questo fermento rivoluzionario e organizza e istituisce il piano militare della strategia della tensione, per bloccare il movimento che si stava alzando di livello culturale …..

Tra il gennaio e il dicembre 1969 vengono compiuti 145 attentati per incolpare gli anarchici o la sinistra rivoluzionaria.

Stragi di stato di matrice catto-fascista ( partigiani bianchi – Edgardo Sogno – stay behind ).

L’evento che cambierà la vita di Pinelli, anzi che metterà fine alla vita di “Pino”, è la strage di piazza Fontana: il 12 dicembre 1969 a Milano nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, alle 16,37, scoppia una bomba che causa la morte di 16 persone e il ferimento di altre 88.

Gli anarchici accusano subito la polizia (anche attraverso le loro analisi storiche e sociali, conservate negli archivi anarchici) e il commissario Calabresi, dell’assassinio di Pinelli, per coprire lo stato e i fascisti, autori e esecutori delle stragi…..

Giuseppe Pinelli morì il 15 dicembre del ‘69 dopo 3 giorni di torture psicofisiche (codice Rocco – metodi fascisti), precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era illegalmente trattenuto per accertamenti in seguito alla Strage di Piazza Fontana….

 

Nel video del 12/12/2103 Claudia, una figlia di Pinelli denuncia: “Papà come Uva, Cucchi, Aldrovandi, vittime dello Stato”.

 

Giuseppe “Pino” Pinelli era figlio di povera gente, nasce a Milano il 21 ottobre del 1928 (in un contesto sociale di sfruttamento e sopravvivenza) nel popolare quartiere di Porta Ticinese. Finite le elementari inizia a lavorare prima come garzone, poi come magazziniere. Nel 1944-‘45 partecipa alla Resistenza antifascista come staffetta delle Brigate partigiane Bruzzi-Malatesta, collaborando anche con un gruppo di partigiani anarchici. Affascinato dal pensiero libertario, dopo la fine della guerra Pinelli partecipa alla crescita del movimento anarchico a Milano…..

 

Sin da subito, una parte dell’opinione pubblica avanza il sospetto che Pinelli sia stato assassinato, defenestrato dagli agenti della polizia. Tuttavia lo stato non condanna se stesso e l’inchiesta conclusa nel 1975 dal giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio, ha escluso l’ipotesi dell’omicidio, giudicandola assolutamente inconsistente…..

Piazza fontana: strage di stato

12/12/1969: terrorista è lo stato

 

Gli anni passano ma i metodi bastardi e fascisti dello stato e degli sbirri son sempre gli stessi…

I metodi fascisti-sbirreschi-militari usati durante il g8 a Genova nel 2001, ci hanno riportato agli ‘anni di piombo’, o ai rastrellamenti di nazisti e camicie nere durante il ‘ventennio fascista’.

Ormai è un secolo che ‘sto ventennio si ripete: non aspettiamo il nuovo malcelato clone di quel bastardo di mussolini, dopo Andreotti, Kossiga, Craxi, il Berlusca e Renzi lo scautino, chi proseguirà questa ‘italica saga familiare’? Dicono che a Genova hanno distrutto i nostri sogni di utopia e di fermento culturale, in realtà ora siamo più incazzati e molto meno ingenui di 15 anni fa…..

 

G8: STRATEGIE DI COLPO DI STATO PER LA SICUREZZA EUROPEA

 http://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/post/2015/04/08/g8-strategie-di

 

 

Siamo Anarchici perché vogliamo la giustizia, rivoluzionari perché vediamo l’ingiustizia regnare ovunque attorno a Noi. E Reclus

 

CUCCHI ucciso con gli stessi metodi di tortura del codice (fascista) Rocco…

15 dicembre 2015

Il caso di Stefano Cucchi è approdato oggi alla Suprema corte, mentre procede l’inchiesta bis della Procura di Roma che ha iscritto (a diverso titolo) 5 carabinieri nel registro degli indagati nel fascicolo aperto sulla morte del giovane geometra romano avvenuta 6 anni fa….

“Mio fratello è stato torturato. Introdurre in Italia una legge contro la tortura e chiamarla legge Cucchi sarebbe un sogno. Il significato che forse, alla fine, tutto ha avuto senso” ha spiegato la sorella Ilaria.

Caso Cucchi, il processo arriva in Cassazione: “Assolvere agenti, non i medici”

“Registriamo le richieste del procuratore generale e prendiamo atto – ha spiegato il difensore dei Cucchi – dell’avvio di una nuova indagine della Procura di Roma finalizzata all’individuazione dei responsabili di quello che la stessa procura non esita a definire ‘un violentissimo pestaggio'”.

Potrebbe interessarti:

http://www.today.it/cronaca/caso-cucchi-processo-cassazione.html

http://video.repubblica.it/dossier/caso-cucchi/caso-cucchi-in-cassazione-l-avvocato-della-famiglia–ci-aspettiamo-l-annullamento-delle-assoluzioni

http://video.repubblica.it/dossier/caso-cucchi/caso-cucchi-ilaria–finalmente-sento-parlare-di-violentissimo-pestaggio

 

Cultura dal basso contro i poteri forti e i loro servi assassini

Rsp (individualità Anarchiche)

STATO DI POLIZIA: La regola dell’impunità – NOTAV: solidarietà a Lucio, Graziano e Francesco

STATO DI POLIZIA:

La regola dell’impunità

Con la pilatesca sentenza del tribunale di Napoli (stato di polizia “La tortura moderata”) – che ci porta dalla tortura all’impunità – ha delle affinità, pur inserita in un clima tutt’affatto differente, quella emessa dal tribunale di Milano nel febbraio 1970, relativa al processo per i fatti di via Larga (19 novembre 1969) in cui mori la guardia di pubblica sicurezza Antonio Annarumma. Questa sentenza fu salutata da più parti come “coraggiosa” mentre le parti opposte la giudicarono “scandalosa”; il motivo dei due contrari giudizi era lo stesso: la magistratura, per una volta, non aveva accettato interamente e integralmente le versioni dei fatti passatele dall’autorità di polizia.

Il questore Guida in un’intervista ad un settimanale cosi presentava lo svolgimento degli eventi che avevano portato agli scontri in cui avrebbe trovato la morte Annarumma: “Le jeep voltarono allora dalla parte di via Rastrelli e un vecchio – che non si fece nulla – fu urtato accidentalmente. Gli agenti furono insultati, circondati e aggrediti dalla folla. Per salvarsi e rompere l’accerchiamento iniziarono un tentativo di retromarcia e di sganciamento; manovra alla quale sono abituati. Poi accadde la tragedia, per la volontà aggressiva di qualcuno, perché gli incidenti furono voluti e provocati.”” Il tribunale ricostruisce invece cosi l’inizio degli scontri: “Le risultanze processuali [ … ] hanno [ ] chiarito come gli agenti della colonna di Polizia [ ] che li circondava e che in parte li premeva e li invitava ad andarsene, ritenendo che fosse in atto una situazione di pericolo che andava affrontata ed eliminata, abbiano ritenuto, senza aver ricevuto specifici ordini al riguardo, che non restasse altra alternativa che il ricorso alle evoluzioni dei mezzi, come soluzione estrema per uscire da una difficile situazione: evoluzioni e caroselli che dovevano poi rivelarsi come la causa determinante dell’increscioso e grave stato di tensione determinatosi tra cittadini e forze di polizia e come la scintilla da cui scaturirono i successivi gravissimi incidenti, prolungatisi a lungo nel tempo. Al dibattimento si è, infatti, anche chiarito come la reazione violenta della folla [ … ] abbia coinciso coi caroselli e le evoluzioni compiuti dai mezzi di polizia, mentre, in precedenza, non vi era alcun specifico atteggiamento aggressivo dei presenti.”” Il sugo rivoluzionario della pronuncia dei giudici milanesi sta in codesta parte della sentenza; in essa, in sostanza, si dice che se gli incidenti furono “voluti e provocati” da “qualcuno,” il qualcuno fu proprio la polizia: e di conseguenza avrebbe dovuto essere impostata la parte successiva della sentenza, tenendo anche conto che il dottor Guida aveva dichiarato, con la protervia che contraddistingue il rappresentante del potere sicuro della impunità che il suo ruolo gli garantisce, nella citata intervista: “Mi assumo tutta la responsabilità, rispondo di fronte alla magistratura e di fronte alla mia coscienza.” Al contrario, la sentenza – di un processo, non lo si dimentichi, in cui gli imputati erano i dimostranti, che avevano reagito all’attacco poliziesco, e non i poliziotti che quest’attacco avevano sferrato – proseguiva spiegando, del tutto sofisticamente, che se da un lato la reazione della folla all’aggressione della polizia era legittima, e dall’altro vi erano stati “degli eccessi nell’espletamento delle loro funzioni da parte di pubblici ufficiali,”

ciò non bastava tuttavia ad assolvere tutti gli imputati, i quali altro non erano che parte di quella folla che aveva legittimamente reagito ad un intervento arbitrario ed ingiustificato delle forze dell’ordine (mai come in quell’occasione rivelate si forze del disordine), e, meno che mai, evidentemente, era sufficiente, nell’opinione dei giudici, ad aprire un’inchiesta sul comportamento della polizia e dei suoi dirigenti. Un bel gesuitismo, non c’è che dire. Il tribunale in definitiva ammetteva che non è sempre, automaticamente, la polizia dalla parte della ragione , proprio perché polizia, è immune da inchieste e censure. Lo stesso tono di reverenza e ossequio adoprato dall’estensore della sentenza palesando il timore di suscitare delle rimostranze in chi essendo alleato non può essere sottoposto a critiche, anche velate, rivela con chiarezza la natura del “controllo” che si pretende esista sulla polizia in Italia. La magistratura non controlla le forze di polizia; ma è solidale con esse. Codesto assunto è ampiamente dimostrabile non solo attraverso l’esame di tutte le situazioni di conflittualità in cui le forze dell’ordine sono state protagoniste, o anche di tutti i casi di violazioni patenti delle leggi da parte di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria nell’adempimento delle loro funzioni investigative; il mancato controllo, la effettiva solidarietà tra questi due aspetti del potere repressivo, il braccio e la testa per semplificare, appare macroscopicamente soprattutto nei momenti di tensione sociale più vivi nel paese, allorché lo stato borghese ha con assoluta urgenza la necessità di ristabilire gli equilibri turbati scoraggiando le masse, di Reggio, Roma e provincia furono poste in uno stato d’assedio non dichiarato. In una delle escursioni connesse alle operazioni, a Gennazzano tre ragazzi vennero fermati dai celerini mentre scrivevano sui muri scritte contro Tambroni e il suo governo; i tre furono trascinati nella caserma dei carabinieri e qui, non essendo un reato scrivere, i tutori della legge decisero di dare una lezione un po’ particolare ai malcapitati, improvvisandone sul momento regole e contenuti. Uno alla volta i tre subiscono lo stesso imparziale trattamento da parte degli sbirri che si danno regolarmente il cambio fra di loro per far durare più a lungo lo spasso, la gara; i tre vengono alla fine lasciati andare: gli sbirri non ne possono più, i giovani sono tragiche maschere di sangue. Qualche tempo dopo un sostituto procuratore di Roma, tale Lojacono, chiedeva l’archiviazione della denuncia contro i poliziotti, presentata dai giovani, “perché il fatto non costituisce reato”. E chi avrebbe potuto dargli torto, dal momento che i giudici di Milano avevano stabilito che non costituisce reato, per la polizia, nemmeno l’omicidio?, domandando, però, consequenzialmente, l’incriminazione dei tre per “resistenza a pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni” e “oltraggio al governo….

Si potrebbe a questo punto fare una casistica sterminata dei fatti che in mille occasioni hanno dimostrato con brutale evidenza la collocazione reale del magistrato, in quanto tale, a latere del poliziotto, nella gestione della violenza capitalistica. La differenza dei due organismi non sta tanto nel fatto che l’un corpo sia armato e l’altro no (è anche questo, evidentemente), quanto piuttosto nei diversi ruoli che essi sono delegati a svolgere: il potere di polizia risiede nell’uso delle leggi (quando la legge fornisce il cittadino di una salvaguardia contro l’autorità dello stato la si calpesta, quando la legge pone un limite all’azione della forza di polizia, la si ignora, quando la legge è ambigua o vaga, la si interpreta a vantaggio della propria autorità, quando la legge va contro i diritti del cittadino, la si esegue rigidamente), il potere giudiziario – si parla sempre nell’ambito del rapporto polizia-magistratura – consiste nella garanzia dell’uso siffatto della legge. Secondo le teorie che il potere ci insegna per bocca dei suoi istitutori è la magistratura ad applicare la norma di legge, la polizia si incarica di farla eseguire e rispettare; in realtà, è, in certo senso, il contrario. Il poliziotto agisce, a seconda delle direttive che il potere politico impartisce, non importa se nella legge o contro di essa; c’è li, pronto, il magistrato che si preoccupa di giustificare in ogni caso il comportamento del poliziotto, di legalizzarlo quando non lo sia, di sottolineare l’esistenza di una precisa norma che dispone in quel certo modo, in caso contrario. Come si spiegherebbe altrimenti che uno dei più inutili articoli di legge del nostro ordinamento giuridico sia stato proprio, finché è stato in vigore, quell’articolo 16 del codice di procedura penale contro di cui tanto si sono battute, in buona fede democratica, le opposizioni di sinistra e i liberali? Esso disponeva, com’è noto, che “non si procede senza autorizzazione del ministro della giustizia contro gli ufficiali od agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o contro i militari in servizio di pubblica sicurezza, per atti compiuti in servizio e relativi all’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica”; ma non c’è stato che pochissime volte necessità di tirarlo concretamente in causa. E in genere, tutte le volte che un magistrato ha avuto l’esigenza o l’ardire di domandare al ministro l’autorizzazione a procedere, il ministro non ha avuto difficoltà a concederla, perché – salvo casi eccezionali – si rendeva conto che quando un giudice istruttore giungeva a tal punto esistevano motivi di opportunità politica che ve lo avevano determinato e quegli stessi motivi facevano si che il ministro dovesse accogliere la domanda. L’art. 16 rappresentava un’arma troppo screditante, e del tutto secondaria. Nella seduta del senato del 3 aprile 1957 vennero espressi due contrastanti pareri sulla nostra legislazione di PS: i senatori Terracini e Leone sostennero concordemente che nessuno stato europeo ha una legislazione vasta e oppressiva come quella italiana; l’onorevole Tambroni, ministro dell’interno affermò di rimando che “nessuna legislazione di polizia in Europa è migliore di quella italiana,” e che chi asseriva il contrario non solo offendeva la verità ma altre si contribuiva a creare uno stato di permanente rivolta contro le istituzioni. Il fatto che Tambroni esaltasse apertamente le leggi di polizia italiane fornisce già una prima indicazione su queste leggi, un primo approccio alla analisi di esse. Un difensore più recente della legislazione di polizia fu il senatore Ajroldi: relatore democristiano al disegno di legge Taviani-Reale del 1966, ammettendo che il disegno governativo “non propone nel suo insieme una nuova legge di PS ma, nella struttura schematica di quella esistente, opera le enucleazioni, introduce le modifiche,” affermò, con una sfacciataggine superiore a quella mostrata da Tambroni, che “è da escludere che cosi operando vengano a cristallizzarsi strutture dell’ordinamento totalitario: infatti,” proseguì imperterrito il relatore, “il legislatore del 1926 e del 1931 si è avvalso per quelle riforme della stessa sistematica della legge Crispi del 1888-1889 reintroducendo in ordine alle attribuzioni di PS, sia pure in forma dettagliata, quei principi che si rinvengono nella già ricordata legge del 13/11/1859, n. 3720 e nell’allegato B alla legge del 10 marzo 1865, n. 2248.”’ Senza rendersene conto il parlamentare democristiano ammetteva che la legislazione di polizia in Italia ha una continuità di segno reazionario che partendo dal Regno di Sardegna, passando per Crispi e Mussolini, giunge fino ad oggi, alle intenzioni e agli intendimenti governativi odierni.

Osserviamo le caratteristiche del t.U. 18 giugno 1931, n. 773 (a sua volta figlio del – t.u. 6 novembre 1926, n. 1448) e in genere delle leggi di polizia vigenti. Abbiamo visto in precedenza che il fascismo coi testi del 1926 e poi del 1931, che segnavano un ulteriore appesantimento in senso illiberale dell’originario testo del 1865 – prima formulazione organica di leggi di PS -, si proponeva di affermare un preciso concetto di ordine pubblico, non limitandosi più alla negazione del concetto opposto (il disordine, cioè). Il problema del legislatore fascista era di dilatare la sfera dell’estensione della norma legislativa, e nello stesso tempo di allargare corrispondentemente il raggio di applicabilità della norma stessa da parte dei rappresentanti dell’imperio dello stato; accanto a codeste esigenze primarie si poneva quella altrettanto importante di garantire una totale e assoluta impunità dei rappresentanti delle forze di polizia che sulla base delle leggi dovevano muoversi senza possibilità di intralci alla loro azione; il testo di legge fascista, infine, corrispondendo a un periodo storico in cui la dittatura della borghesia si era affermata col terrorismo (repressione) sui lavoratori, non poteva non accentuare in senso classista la formulazione della legge. Ne consegue che la generalità, la discrezionalità, la politicità e l’impunità sono le quattro basilari caratteristiche del testo di PS. Tutte e quattro tornarono comode allo scelbismo, nuova fase di attacco alla classe operaia e al movimento contadino, benché l’uso delle leggi fasciste fosse del tutto secondario nella politica di Scelba e De Gasperi, come poi in quella di Tambroni: come all’avvento del fascismo, la polizia agiva in aperto dispregio di tutte le leggi che potessero valere da baluardo al cittadino, all’operaio, contro la prepotenza e l’arbitrio del rappresentante dell’amministrazione dello stato. Delle leggi la borghesia finge di preoccuparsi quando deve instaurare la pace sociale susseguentemente agli attacchi contro le classi da essa dominate; e, ad ogni buon conto, tra le leggi ci sono sempre e comunque quelle utili da essere adoperate a sostegno del privilegio di classe (il codice penale, le leggi di polizia, in tutti :gli articoli che esprimono più marcatamente la dittatura classista) e quelle che servono da volgare copertura all’esercizio di quel privilegio (la costituzione in primo luogo, gli articoli dei codici e delle altre leggi che salvaguardano i diritti dei “sudditi”). Infine, ed ecco il ruolo della forza di polizia nello stato borghese, sussiste sempre la possibilità di adoperare la forza: ma non più, come prevede la scuola liberale catto fascista, a difesa del diritto, ma contro il diritto; capovolgendosi le funzioni, è il diritto che difende la forza, quale che sia l’uso che di essa venga fatto. La diversa disposizione dell’ordine di codesti fattori non cambia il prodotto: la conservazione del dominio di classe. Il fatto che in certi periodi storici venga anteposta la violenza pura assoluta immotivata dal punto di vista giuridico (Depretis-Nicotera, Di Rudini, Pelloux, avvento del fascismo, De Gasperi-Scelba, Tambroni, Federico Umberto Damato,Taviani ), mentre in altri momenti della storia sia il diritto a precedere, cambia ben poco la situazione di fondo: il mutamento investe invero solo le forme della dittatura di classe, la sostanza per l’operaio e il povero rimane identica.

 

No Tav, per la Cassazione l’assalto al cantiere non fu terrorismo….

01 dicembre 2015

Terrorista è lo stato, coi suoi piani militari che mietono sempre più vittime innocenti: strategia della tensione – False flag (strage di piazza fontana, strage della loggia, strage di bologna ecc.).

In una azione diretta di boicottaggio, durante la notte, volarono bottiglie incendiarie, razzi, petardi, bombe carta contro il cantiere della Torino-Lione. Nessuno rimase colpito o ferito. Venne dato alle fiamme un compressore e provocato danni per 94 mila euro (secondo l’impresa appaltatrice…). Ma non fu un atto “con finalità terroristiche”, l’atto di rivolta compiuto dai No Tav la notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013.

Con queste motivazioni la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avanzato dalla procura nei confronti di Lucio, Graziano e Francesco. Il reato di terrorismo, era stato già contestato ai primi quattro arrestati per quell’assalto (Claudio, Niccolò, Mattia e Chiara) ed era già “caduto” con una prima pronuncia della Cassazione.

Solidarietà a Lucio, Graziano e Francesco

10845974_10152826822569718_1252914868079250897_n

L’utopia vince sempre contro questo sistema nobiliare massomafioso (P2) corrotto che, con la complicità degli sbirri (fedeli servi spietati e con poco cervello, cani da guardia cresciuti in cattività, addestrati a obbedire al più forte), cerca sempre di reprimere le nostre idee….

Nonostante tutta la merda attorno, possiamo essere i migliori…

W L’ANARCHIA!!!

https://www.youtube.com/watch?v=pJFcqWWX6sw

Solidarietà anche a tutti gli arrestati per le manifestazioni del G8 di Genova 2001 (dove Carlo Giuliani venne ucciso e centinaia di ragazzi vennero deliberatamente torturati e massacrati dalle “forze dell’ordine”) e per le proteste in val Susa contro la militarizzazione, le speculazioni e le devastazioni ambientali della massomafia, ingorda, bigotta e arrivista ……

NO TAV!

CULTURA DAL BASSO CONTRO I POTERI FORTI

 

Rsp (individualità Anarchiche)

Stefano Cucchi ucciso da soprusi e violenze: “omicidio di stato”

Stefano Cucchi ucciso da soprusi e violenze:

OMICIDIO DI STATO

13 ottobre 2015

Salgono a 5, i carabinieri iscritti al registro degli indagati sulla morte di Stefano Cucchi. Il maresciallo Roberto Mandolini, (già vice comandante della stazione di Tor Sapienza in cui passò la notte dell’arresto Stefano Cucchi), che per primo venne iscritto fra gli indagati, si sono aggiunti i nomi di altri 4 sbirri. Per Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, il reato ipotizzato è «lesioni personali aggravate». Nei confronti del carabiniere Vincenzo Nicolardi, il reato è di «falsa testimonianza». Secondo la Procura, i 5 militari, a vario titolo, avrebbero preso parte alla perquisizione in casa di Cucchi e al suo arresto

Soddisfazione per Ilaria Cucchi che ha dichiarato «Tra pochi giorni è l’anniversario della morte di Stefano, e io sono sempre più convinta che le cose non accadono mai per caso. Ora abbiamo altri indagati e tra di essi alcuni sono accusati di lesioni dolose aggravate. Loro ma non solo sono i veri responsabili della morte di Stefano. Questa contestazione, che riteniamo essere provvisoria, interromperà la prescrizione. Ma, lo ribadiamo con forza e lo stiamo provando, senza quel o quei pestaggi Stefano sarebbe ancora vivo. Questo è certo ed ormai tutti lo hanno capito”.».

Ma andiamo ad analizzare la vicenda:

Roma: Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi viene arrestato, portato in caserma e perquisito: viene trovato in possesso di hashish (per un totale di 21 grammi) e tre confezioni impacchettate di cocaina. Il giorno dopo venne processato per direttissima. Già durante il processo ha difficoltà a camminare e a parlare e mostra inoltre evidenti ematomi agli occhi; il ragazzo parla con suo padre pochi attimi prima dell’udienza ma non gli dice di essere stato picchiato.

Nonostante le precarie condizioni, il giudice stabilisce per lui una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e stabilisce inoltre che deve rimanere in custodia cautelare al carcere Regina Coeli. Dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorarono ulteriormente, e viene visitato all’ospedale Fatebenefratelli presso il quale vengono messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (inclusa una frattura della mascella), all’addome (inclusa un’emorragia alla vescica) e al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale). Viene quindi richiesto il suo ricovero che però non avviene.

In carcere le sue condizioni peggiorano ulteriormente; muore all’ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009. Dopo la prima udienza i familiari cercano a più riprese di vedere, o perlomeno conoscere, le condizioni fisiche di Cucchi, senza successo. La famiglia ha notizie di Cucchi quando un ufficiale giudiziario si reca presso la loro abitazione per notificare l’autorizzazione all’autopsia….

Dopo la morte di Stefano Cucchi, il personale carcerario negò di avere esercitato violenza sul giovane ed espresse diverse ipotesi fasulle. Nel frattempo, per fermare le illazioni che venivano fatte sulla sua morte, la famiglia pubblicò alcune foto del giovane scattate in obitorio nelle quali erano ben visibili vari traumi da violente percosse e un evidente stato di denutrizione…..

Le indagini preliminari sostennero che a causare la morte sarebbero stati i traumi conseguenti alle percosse, il digiuno (con conseguente ipoglicemia), la mancata assistenza medica, i danni al fegato e l’emorragia alla vescica che impediva la minzione del giovane (alla morte aveva una vescica che conteneva ben 1.400 cc di urina, con risalita del fondo vescicale e compressione delle strutture addominali e toraciche). Inoltre determinante fu l’ipoglicemia in cui i medici lo avevano lasciato, tale condizione si sarebbe potuta scongiurare mediante l’assunzione di un semplice cucchiaio di zucchero.

Sempre stando alle indagini, i porci, infidi e meschini agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici avrebbero gettato il ragazzo per terra procurandogli le lesioni toraciche, infierendo poi con calci e pugni. Oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vengono indagati i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti che non avrebbero curato il giovane e che lo avrebbero lasciato morire.

Ma facciamo un excursus sulle sentenze giudiziarie:

Il 30 aprile 2010 la procura di Roma contesta ai medici del Pertini, a seconda delle posizioni, il favoreggiamento, l’abbandono di incapace, l’abuso d’ufficio e il falso ideologico. Agli agenti della polizia penitenziaria vengono contestati invece lesioni e abuso di autorità. Tredici in tutto le persone coinvolte dalle indagini.

Il 5 giugno 2013 la III Corte d’Assise condanna in primo grado 4 medici dell’ospedale Sandro Pertini a un anno e 4 mesi e il primario a 2 anni di reclusione per omicidio colposo (con pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico, mentre assolve 6 tra infermieri e guardie penitenziarie….

Per i medici, dunque, il reato di abbandono di incapace viene derubricato in omicidio colposo. Il PM aveva chiesto per questi ultimi (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti e Flaminia Bruno) pene tra i 5 anni e mezzo e i 6 anni e 8 mesi. Aveva inoltre sollecitato una pena a 4 anni di reclusione per gli infermieri e 2 anni per gli agenti penitenziari. Le accuse nei confronti di questi ultimi erano di lesioni personali e abuso di autorità. Sono stati assolti con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove…..

Il 31 ottobre 2014, a seguito di una sentenza della corte d’appello di Roma, sono stati assolti tutti gli imputati, anche i medici; a seguito di ciò, il legale della famiglia Cucchi ha annunciato che farà ricorso alla Suprema Corte di Cassazione mentre la sorella Ilaria dichiarò che avrebbe chiesto ulteriori indagini al procuratore capo Pignatone.

Ne’ dio ne’ stato ne’ sbirri (servi) ne’ padroni.

Basta guerre e giochi sporchi per l’egemonia militare – economica ….

 

Rsp (individualità Anarchiche)

Terrorismo di stato – False flag

Terrorismo di stato – False flag

Risultati immagini per terrorismo di stato false bandiere

Il terrorismo di stato è l’uso di strategie e metodi di terrorismo da parte dell’autorità statale.

Uno stato può decidere di ricorrervi contro i suoi stessi cittadini, a fini repressivi per eliminare direttamente un gruppo politico, o per eliminarlo come interlocutore politico e togliergli credibilità davanti all’opinione pubblica incolpandolo di atti commessi da terzi (operazioni False flag), oppure per intimidire e far emigrare una popolazione che non desidera (pulizia etnica), per creare uno stato di emergenza che giustifica una deriva autoritaria con la sospensione e deroga delle Costituzioni in nome della sicurezza nazionale.

Un ulteriore modo, proprio degli stati e non replicabile da soggetti non statali, di fare terrorismo è l’istituire un ordinamento giuridico e di pubblica sicurezza estremamente punitivi: tramite organizzazioni di polizia segreta e regolamenti molto rigidi si instaura un clima di paura in cui ogni cittadino diventa passibile di punizione, in pratica “colpevole fino a prova contraria”.

Al di fuori dei loro confini, gli stati adottano il terrorismo per perseguire obiettivi di politica estera e per ostacolare stati rivali o nemici. Poiché tutti gli stati del mondo hanno sottoscritto ufficialmente la carta dei diritti dell’uomo, che implica un totale rifiuto del terrorismo, nessuno di essi può ammettere di utilizzare metodi terroristici o di addestrare, armare o comunque aiutare terroristi o gruppi terroristici.

Tutte le attività terroristiche promosse dagli stati sono quindi condotte segretamente, in modo da non essere riconducibili ai governi mandanti. Normalmente gli attentati e le uccisioni di stato vengono gestite da strutture dei servizi segreti civili o militari, o da gruppi esterni all’apparato statale ma ispirati e/o collegati ad esso (forze paramilitari, milizie, gruppi di attivisti). Un altro modo, molto comune negli stati meno dotati militarmente è l’omettere di vigilare sulle attività nel proprio territorio di gruppi estremisti aventi come bersaglio gli obiettivi desiderati, e anzi incoraggiandone e sovvenzionando le azioni…..

 

False flag (falsa bandiera) è una tattica segreta condotta nell’ambito di operazioni militari o attività di spionaggio, condotte in genere da governi, servizi segreti, e agenzie d’intelligence, progettata per apparire come perseguita da altri enti e organizzazioni, anche attraverso l’infiltrazione o lo spionaggio di questi ultimi.

Gli attacchi terroristici possono essere di fatto operazioni sotto falsa bandiera. Durante la strategia della tensione italiana (stragi di stato), diversi attentati bomba negli anni ’70, attribuiti a organizzazioni di estrema sinistra, erano di fatto stati condotti da organizzazioni di estrema destra che cooperavano coi servizi segreti italiani e atlantici.

I servizi segreti italiani attuarono il piano militare chiamato “strategia della tensione – (stragi di stato)” e crearono i nuclei clandestini dello stato per infiltrare i movimenti antagonisti e imporsi come potere geopolitico economico finanziario e militare.

 

Le stragi di stato avvenute in Italia:

MILANO, PIAZZA FONTANA, 12 DICEMBRE 1969

GIOIA TAURO, 22 LUGLIO 1970

PETEANO, 31 MAGGIO 1972

MILANO, 17 MAGGIO 1973

BRESCIA, 28 MAGGIO 1974: PIAZZA DELLA LOGGIA

SAN BENEDETTO VAL DI SAMBRO, 4 AGOSTO 1974: L’ITALICUS

BOLOGNA, 2 AGOSTO 1980: LA STRAGE ALLA STAZIONE

23 DICEMBRE 1984: LA BOMBA SUL RAPIDO 904.

LE STRAGI DEL 1993 ….

 

In Francia, il movimento di azione e difesa Masada, presunto gruppo sionista, in realtà era un gruppo terroristico neofascista che sperava di accrescere la tensione fra gli arabi e gli ebrei in Francia.

Le tattiche sotto falsa bandiera erano state impiegate anche nella guerra civile algerina, a partire dalla metà del 1994. Gli squadroni della morte si travestivano da terroristi islamisti e commettevano attacchi sotto falsa bandiera. Tali gruppi includevano la OJAL o la OSSRA (organizzazione segreta per la salvaguardia della Repubblica algerina).

Le pseudo-operazioni sono dirette da forze di polizia, militari o entrambi. Le forze di polizia sono di solito le più adatte a svolgere compiti di intelligence; tuttavia l’esercito fornisce la struttura necessaria ad appoggiare tali pseudo-operazioni con forze militari.

Il Manuale da campo 30-31 dell’esercito degli Stati Uniti, che fu redatto il 18/3/1970 dal generale William Westmoreland, sviluppa i concetti delle operazioni “false flag”:

« “Possono esserci momenti in cui i governi ospiti mostrano passività o indecisione di fronte alla sovversione anarchica e comunista e, secondo l’interpretazione dei servizi segreti americani, non reagiscono con sufficiente efficacia (…) I servizi segreti dell’esercito degli Stati Uniti devono avere i mezzi per lanciare operazioni speciali che convincano i governi ospiti e l’opinione pubblica della realtà del pericolo insurrezionale. Allo scopo di raggiungere questo obiettivo, i servizi americani devono cercare di infiltrare gli insorti per mezzo di agenti in missione speciale che devono formare gruppi d’azione speciale tra gli elementi più radicali (…).

Nel caso in cui non sia possibile infiltrare con successo tali agenti al vertice dei ribelli, può essere utile strumentalizzare per i propri fini organizzazioni di estrema sinistra per raggiungere gli scopi descritti sopra. (…) Queste operazioni speciali devono rimanere rigorosamente segrete. Solamente le persone che agiscono contro l’insurrezione rivoluzionaria conosceranno il coinvolgimento dell’esercito americano negli affari interni di un paese alleato”. La più importante di queste operazioni prende il nome di “Operazione CHAOS“. »

Le operazioni sotto falsa bandiera sono utilizzate nello spionaggio, nel business e nel marketing (come in alcune campagne di relazioni pubbliche) e nelle campagne politiche.

La morte della studentessa Giorgiana Masi il 12/5/1977, avvenuta per mano di agenti di Polizia infiltrati fra le file di Autonomia Operaia.

Il finanziamento, da parte del Mossad durante il periodo 2007-‘08, dello Jundallah, movimento sunnita indipendentista del Baluchistan coinvolto in numerosi attentati in Iran. Il servizio segreto d’Israele aveva arruolato membri del movimento separatista a Londra.

Il gruppo indipendentista usò i kamikaze per colpire pasdaran, moschee e obiettivi governativi iraniani.

Risultati immagini per strage turchia

Turchia Ottobre 2015: strage alla marcia pacifista: 128 morti. Due esplosioni alla stazione di Ankara …..

 

Rsp (individualità Anarchiche)

2/9/1980: due giornalisti, Graziella De Palo e Italo Toni, scompaiono a Beirut, stavano indagando su un traffico d’armi tra Italia e Medioriente

E’ il 2 settembre di 35 anni fa, due giornalisti italiani, Graziella De Palo e Italo Toni, inviati in Libano da Paese Sera e Astrolabio, scompaiono a Beirut, stavano indagando su un traffico d’armi tra Italia e Medioriente.

graziella-de-palo-italo-toni-

Una vicenda oscura, che coinvolge anche i servizi segreti deviati, logge massoniche, intrighi internazionali, mai ritrovati i loro corpi. La solita storia tutta italiana fatta di depistaggi, omissioni e collusioni istituzionali: nessun mandante, nessun esecutore, nessun colpevole….

La scomparsa dei due giornalisti si colloca in un contesto temporale di torbidi rapporti tra lo stato italiano e i paesi del medio oriente. In Libano è in atto una sanguinosa guerra civile tra i cristiano maroniti appoggiati da Israele e arabi palestinesi sostenuti da Siria e Iran.

 L’America e i suoi alleati appoggiano Israele, il pretesto sta nella minaccia che arabi e musulmani porterebbero allo stato Ebraico: in questo contesto si colloca la scomparsa di Graziella De Palo e Italo Toni.

Anti-American Demonstration in Tehran, June 1, 1951. A large poster depicting Uncle Sam being thrown out of Iran is carried in a demonstration organized by the Tudeh Party (an Iranian communist party) in Tehran. The script on the poster criticizes American "junk sellers'' who import preservatives and dolls into Iran.

 Un contesto nel quale il traffico d’armi è fiorente, i cui proventi vengono riciclati nelle banche di Beirut, dove personaggi ambigui in quegli anni sono di casa, come Roberto Calvi e il suo Banco Ambrosiano….

Tutto viene coperto dal segreto di stato, ordinato da Bettino Craxi.

pre ilaria4

Nella vicenda emergono altri personaggi ambigui, il generale Giuseppe Santovito (foto sopra), capo del Sisde, il colonnello dei carabinieri Stefano Giovannone, capo centro del Sismi a Beirut, con compiti di destabilizzazione, termine tecnico che sta per aggressione militare….

Entra in scena anche Aldo Moro (lodo Moro), il quale ha raggiunto un’intesa col fronte palestinese, dunque un nemico di Israele, degli Usa e dei poteri occulti contro i quali si scontrano Graziella De Palo e Italo Toni, poteri di cui è elemento essenziale Stefano Giovannone, come documentato dal materiale cartaceo in mano alla giornalista italiana.

Apparati deviati dello stato (il generale Vito Miceli era filo arabo, il generale Maletti era legato ai servizi israeliani) approfittano di questa situazione, instaurando loschi traffici commerciali che vedono il mercato delle armi e droga al centro di profitti che non possono avvenire alla luce del sole.

Graziella e Italo prima di essere rapiti erano ospiti dell’OLP. I due giornalisti avevano alle spalle scottanti inchieste che fecero pubblicare in Italia. Graziella De Palo, in particolare, aveva denunciato su Paese Sera e l’Astrolabio il traffico internazionale di armi e droga che avveniva in violazione agli embarghi internazionali. In Libano il capo centro del SISMI a Beirut, colonnello Stefano Giovannone, era stato individuato da Graziella in un suo articolo su Paese Sera come “l’agente commerciale in Libano, con il compito di organizzare il traffico di armi per il Medio Oriente”. Paradossalmente, come in una tragedia greca, Giovannone sarebbe stato poi incaricato delle ricerche dei due giornalisti.…

Graziella aveva descritto in altri articoli come l’industria bellica italiana (la quarta produttrice di armi al mondo), controllata, oggi come allora, dall’azionariato di stato, lavorava anche su brevetti statunitensi. L’Italia si trovava nella scabrosa posizione di fare il lavoro sporco, vendendo armi e droga per conto statunitense a tutti i cosiddetti “stati canaglia”. E a trarne profitto, trattandosi di operazioni coperte, furono in tanti…..

Giunti in Libano, il giorno precedente alla loro scomparsa, i due giornalisti, essendosi deteriorati i loro rapporti ( a causa delle loro inchieste) con la componente principale dell’OLP, Al Fatah, si recarono per la prima volta dal loro arrivo, evidentemente molto spaventati, all’Ambasciata d’Italia, chiedendo espressamente di essere cercati se non fossero rientrati nell’albergo di Beirut, il “Triumph” (di proprietà e sotto il controllo dell’OLP), entro tre giorni. Il giorno seguente, 2/9/1980, avevano appuntamento con uomini del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina, di Nayef Hawatmeh, per visitare il fronte di guerra e i campi d’addestramento dei Fedayn, nel sud del Libano. Gli addetti dell’Ambasciata lasciarono passare i giorni e se ne fregarono del loro rapimento, fintanto che i familiari di Graziella, non vedendoli rientrare in Italia entro il 15 settembre, data stabilita, denunciarono alle autorità la loro scomparsa.

Iniziarono immediatamente i depistaggi da parte di alti esponenti dei servizi segreti militari. Personaggi, come il già nominato colonnello dei carabinieri Stefano Giovannone, in servizio a Beirut come Capo Centro del SISMI, ed il generale Giuseppe Santovito, direttore del Servizio Segreto militare, crearono ad arte una falsa “pista falangista”, che avrebbe visto come autori del rapimento i falangisti di Bechir Gemayel, in realtà stanziati nella parte opposta di Beirut, cioè ad Est. Dagli atti processuali risulta che la Farnesina sollevò dall’incarico l’ambasciatore D’Andrea, che per primo aveva comunicato la responsabilità di Al Fatah nel rapimento dei due giornalisti, trasferendolo d’ufficio in Danimarca.

Dopo alcuni anni la Magistratura aprì un procedimento penale nei confronti di George Abbash leader del FPLP, per duplice omicidio, mentre il generale Santovito ed il colonnello Giovannone del SISMI vennero incriminati per favoreggiamento nei reati di sequestro e omicidio. Il giudice istruttore Renato Squillante prosciolse Habbash per insufficienza di prove….

Graziella e Italo scoprirono dunque una verità inconfessabile. Tornare vivi in Italia e pubblicare queste notizie avrebbe contribuito ad acuire gli scontri negli anni di piombo (comunisti e anticomunisti – gladio bianca e gladio rossa). L’accordo con l’OLP (lodo Moro) implicava appunto la tolleranza, da parte di alcuni apparati delle nostre istituzioni, dell’operato di organizzazioni terroristiche, come l’FPLP di George Habbash o il gruppo Separat di Carlos, lo sciacallo, e vedevano il Libano come un crocevia di scambio di armi e droga che partivano dall’Italia verso tutti i regimi dittatoriali nel mondo. L’intera operazione di “scarico” dal ministero degli Esteri, istituzionalmente competente dell’incolumità degli italiani all’estero, ai Servizi Segreti, ebbe come regista il piduista Francesco Malfatti di Montetretto, segretario generale dello stesso ministero degli Esteri. Questo ha costituito un precedente per tutti i successivi rapimenti di italiani all’estero, generalmente liberati in seguito ad ingenti riscatti. Santovito e Giovannone in quanto militari senz’altro obbedirono a degli ordini superiori e dovettero depistare per salvare il “lodo Moro” e quindi permettere all’Italia di salvarsi dal baratro.

Con l’imperversare della crisi di Gaza, tutti hanno imparato a conoscere Hamas. Chiunque, adesso, sa che si tratta di un’organizzazione paramilitare e terrorista, contro cui si è scatenata la furia di Israele con quello che ne è conseguito: un vero e proprio genocidio di innocenti, arabi colpevoli semplicemente di essere non ebrei.

Quello che in pochi sanno è come, Hamas, abbia una storia lunga e travagliata: come la stessa sia stata probabilmente vista di buon occhio per lungo tempo dagli israeliani, a causa della sua rivalità con un’altra organizzazione palestinese, l’Olp, fondato, tra gli altri, da Yasser Arafat.

Lo stato ebraico sobilla gli scontri per tentare un’invasione del Libano, nonostante le risoluzioni dell’Onu che intimano ad Israele di ritirarsi. Nel 1982 gli israeliani sferrano l’operazione Pace in Galilea, nella quale vengono bombardati campi profughi con l’eccidio di 17 mila arabi.

Altre aggressioni si susseguono, nel 1992, nel 2006 e, nonostante la preponderante superiorità militare israeliana, gli Hezbollah libanesi resistono e respingono gli attacchi.

Riconoscendo in Hamas il nemico supremo, si dimentica l’Olp. La cui storia sta per tornare a galla. Il motivo è semplice: fu proprio questa organizzazione a scendere a patti col Sismi italiano, nell’ambito del cosiddetto “lodo Moro”, i cui dossier relativi stanno per diventare pubblici…

 

Video: Il caso Toni – De Palo – Un mistero di stato

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/il-caso-toni-de-palo/841/default.aspx

 

Cultura dal basso contro i poteri forti e i loro servi

Rsp (individualità Anarchiche)

 

Il 24/8/1974 viene arrestato l’industriale Andrea Mario Piaggio

Il 24/8/1974 viene arrestato l’industriale Andrea Mario Piaggio. Una sua società avrebbe finanziato l’organizzazione neofascista “La rosa dei venti”…

Andrea Mario Piaggio

La Rosa dei venti fu un’organizzazione segreta italiana di stampo neofascista, collegata con ambienti militari.

L’esistenza dell’organizzazione fu portata alla luce dal magistrato Giovanni Tamburrino.

Tamburrino ordinò gli arresti di numerosi personaggi, tra politici, imprenditori e ufficiali, quali finanziatori del gruppo terroristico, fino all’arresto per falso ideologico del 31/10/1974 del generale Vito Miceli, capo del Servizio Informazioni Difesa (ex SIFAR), ma la Corte di Cassazione renderà vano il lavoro del magistrato portando al trasferimento dell’inchiesta dalla città veneta a Roma….

Il pubblico ministero Claudio Vitalone invocherà il segreto di stato e sull’inchiesta di Tamburrino e sulla questione cadrà il silenzio.

L’organizzazione occulta, Rosa dei venti, era stata usata per il colpo di stato del 1973, successivo a quello denominato “Golpe Borghese”, che aveva nelle sue file esponenti di primo piano come Junio Valerio Borghese, Stefano Delle Chiaie e altri membri e simpatizzanti della destra eversiva italiana e alti ufficiali dei servizi segreti…

La Rosa dei venti era un’organizzazione paragonabile a Gladio, una sorta di filiale locale di un servizio di intelligence NATO operante parallelamente —e su un piano superiore— rispetto ai servizi ufficialmente riconosciuti. Di questa realtà iniziatica si vuole vedere un riflesso nel provvedimento con cui nel 1978 la Corte di Cassazione tolse a Giovanni Tamburrino la titolarità dell’indagine che minacciava di violare il mistero dell’apparato in esame.

Nell’inchiesta sul colpo di stato della rosa dei venti vengono evidenziati tre nomi di un certo spessore militare: generale Francesco Nardella, già comandante dell’Ufficio guerra psicologica di FTASE Verona; il suo successore in tale incarico tenente colonnello Angelo Dominioni; il tenente colonnello Amos Spiazzi, vicecomandante del secondo gruppo artiglieria da campagna e comandante del relativo «Ufficio I».

Amos Spiazzi di Corte Regia è andato in pensione con il grado di brigadier generale. Ha subìto 19 processi ed è sempre stato assolto

Sul piano giudiziario, si cominciò ad aprire uno squarcio di luce nel marzo dello stesso anno, quando l’inquisito Roberto Cavallaro iniziò a collaborare coi giudici di Padova. Cavallaro è un’altra figura piuttosto originale. Dopo aver vissuto l’esperienza del ‘68 francese, era stato attivista sindacale, prima nella CISL e poi nella CISNAL. Nel 1972, dopo un breve idillio con l’MSI, era passato a posizioni più radicali, fondando (con altri) un’organizzazione di picchiatori della “Milano bene”, che aveva un certo seguito soprattutto alla ‘Cattolica’, il Gruppo Alfa. Fino al momento dell’arresto (novembre 1973) Cavallaro avrebbe partecipato a quello che lui chiamava colpo dello stato, agli ordini di un’imprecisata “organizzazione” che tirava le fila della Rosa dei venti e di tanti altri gruppi eversivi di ogni colore, utilizzati prima di tutto come leve di provocazione (il disordine crea la necessità di riportare ordine). L'”organizzazione” —che non sappiamo se si potesse identificare con quello che tempo dopo la stampa battezzò “Supersid” o “Sid parallelo” sarebbe nata contestualmente all’aborto del Piano Solo, ed avrebbe avuto una sorta di battesimo del fuoco nella controguerriglia in Alto Adige…

Forte di queste rivelazioni, Tamburrino iniziò a torchiare Spiazzi. Spiazzi uscì dall’ostinato riserbo mantenuto sino al momento, e rilasciò una serie di dichiarazioni che in gran parte concordavano con quelle di Cavallaro. In particolare confermò che l'”organizzazione” era «parallela alla struttura “I” ufficiale [ed era] sempre stata un’organizzazione in funzione anticomunista.» Nella tarda primavera del 1973 Spiazzi —attraverso canali ufficiali della gerarchia militare e col ricorso a comunicazioni in codice secondo standard NATO— avrebbe ricevuto l’ordine di mettersi dapprima in contatto con due imprenditori liguri, e poi di recarsi a prendere ordini successivi presso la cosiddetta Piccola Caprera, un luogo sul lago di Garda considerato un sacrario fascista. La telefonata in questione, proveniente da una caserma dei carabinieri di Vittorio Veneto, era stata inviata dal maggiore Mauro Venturi, colui che successivamente sarebbe stato preposto ai Centri CS di Roma..

Il giudice Tamburino scrisse la sua indignazione con una lettera al presidente della repubblica Leone: un’inchiesta giudiziaria aveva rivelato l’esistenza di un’organizzazione segreta alla quale appartenevano ufficiali dell’esercito; un membro dell’organizzazione, il tenente colonnello Amos Spiazzi, sosteneva di avere ricevuto l’ordine di prendere contatto con una banda di estremisti di destra e di finanziarla; l’ufficiale, per rivelare il nome di chi gli aveva dato quell’ordine, aveva chiesto il consenso di un superiore; era avvenuto un regolare confronto tra il tenente colonnello e un generale, il generale Alemanno, delegato dal capo del Sid generale Miceli: il generale Alemanno, presenti due magistrati e l’avvocato difensore, aveva ordinato al tenente colonnello Spiazzi, anche con cenni convenzionali, di non rivelare il nome del militare che gli aveva dato quell’ordine.”

Tamburrino chiede al capo dello stato “che fosse designato un generale di grado superiore a quello di Alemanno e che fosse messo nelle condizioni di offrire una effettiva collaborazione alla giustizia liberando il tenente colonnello Spiazzi dal vincolo del segreto”.

La Cassazione intervenne il 30/12/1974, ordinando il trasferimento dell’inchiesta alla Procura di Roma che stava portando avanti le indagini sul Golpe Borghese. Inchiesta che sostanzialmente riguardava un fatto differente, benché vi fosse la comunanza di alcuni nomi. Il processo si chiuse sostanzialmente con esiti assolutori il 29/11/1984.

 

Ma ritorniamo indietro nel tempo per andare ad analizzare il quadro geopolitico dopo la 2 guerra mondiale prima della costruzione dei gruppi clandestini dello stato:

Nel Febbraio 1945 ci fu la conferenza di Yalta organizzata dai capi politici dei tre principali paesi Alleati.

I tre protagonisti furono Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Stalin, capi rispettivamente dei governi degli Stati Uniti d’America, del Regno Unito e dell’Unione Sovietica. I tre leader si accordarono per spartirsi l’Europa (poteri economici finanziari e politici, militari) in sfere d’influenza – predominio ….

 

Nel 1945 in Italia, un gruppo di grandi industriali tra cui Piero Pirelli, Rocco Armando ed Enrico Piaggio, Angelo Costa , Falck e Valletta si riunisce a Torino il 16 e 17/6/’45 per decidere i piani per la “…lotta al comunismo con qualsiasi mezzo…”, sia con la propaganda che con l’organizzazione di gruppi armati, questi ultimi affidati a Tito Zaniboni. Le spese previste sono enormi ma gli industriali sono disposti a finanziare l’avventura…”; 120 milioni sono stanziati subito, e vengono depositati in Vaticano…

Nel 1947 – nasce una fitta rete di organizzazioni reazionarie parafasciste che riceve: “aiuto, connivenza e spesso legittimazione” dai servizi segreti USA. Opera in Italia sotto diverse sigle, tra le quali: Giovane Italia , Fronte Moderato , Partito Nazionale Popolare , Concentrazione Italiana , Lega Italiana , Partito Fusionista , inoltre anche falsi raggruppamenti comunisti e socialisti incaricati di inquinare la sinistra. Nel comitato centrale di uno di questi l’ Armata Italiana della Libertà, il cui vero capo è il generale Sorice , già ministro della guerra di Badoglio, si contano 4 ammiragli, 10 generali e 4 colonnelli.

Nel 1948 con l’appoggio finanziario americano il Vaticano mette in piedi i “Comitati Civici” come forza d’urto anticomunista in vista delle elezioni politiche che si terranno in Aprile. I Comitati fulmineamente raggiungono l’estensione di 20.000 nuclei, possiedono un proprio servizio informazioni, hanno anche una radio segreta.

Il 30/3/’49 vengono ricreati i servizi segreti italiani attraverso una semplice disposizione interna del ministro della difesa, la circolare 365. Verranno chiamati SIFAR , avranno sezioni distaccate (SIOS) alle dipendenze dei capi di stato maggiore dell’esercito, della marina e dell’aviazione. Dovranno svolgere: “attività offensiva e difensiva nel campo delle informazioni”. Nessuna legge specifica ne regola l’attività, invece risulterà poi che fin da allora: “l’attività è regolata da un protocollo segretissimo imposto dagli americani che costituisce una vera e propria rinuncia alla sovranità nazionale della parte italiana”. I principali obblighi sono: fornire agli USA copia di tutte le informazioni e un diritto di supervisione americana sulla scelta del personale, che deve essere tutto di totale gradimento dei competenti servizi USA. De Gaulle denunciò esplicitamente il 7/3/1966 l’esistenza di protocolli simili imposti dagli USA alla Francia nell’ambito degli accordi segreti per la costituzione della NATO. Anche la Germania negli anni ’80 ha ammesso la presenza di tali protocolli.

Nel Luglio del 1949 nel quadro della riorganizzazione della polizia( stato di polizia) vengono istituiti i reparti celere antisommossa armati di autoblindo, mortai e mitragliatrici…..

 

Gladio – Stay Behind Italia – L’esercito segreto della NATO

https://www.youtube.com/watch?v=VWrXdXuPiOs

 

I segreti di Yalta

http://www.raistoria.rai.it/articoli/i-segreti-di-yalta/25766/default.aspx

 

Rsp (individualità Anarchiche)

Il 14 agosto 1974 viene arrestato l’agente del SID Guido Giannettini…

Il 14 agosto 1974 viene arrestato l’agente del SID Guido Giannettini, colpito da mandato di cattura per la strage di piazza Fontana a Milano. Si è costituito l’11 agosto alle autorità italiane a Buenos Aires.

Il 14 agosto 1978 Guido Giannettini, agente “Zeta” del SID accusato della strage di piazza Fontana, sarà liberato per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva….

Ma andiamo a vedere chi è quella merda cattofascista di Guido Giannettini ….

Giannettini negli anni ’50 aderì al Raggruppamento giovanile missino e nel 1954 alla Giovane Italia. Fu attivo nella rete di supporto dell’Oas francese e nel 1961 fu arrestato a Madrid insieme a Pierre Lagaillarde.

Giannettini dai giornali della destra giovanile passò a collaborare a Il Secolo d’Italia, così come con la rivista L’Italiano, diretta da Pino Romualdi (MSI), fino ai giornali Il Roma e Il Giornale d’Italia.

Nel 1963-‘64 iniziò a scrivere per la Rivista Militare, organo ufficiale dell’Esercito Italiano e ha partecipato a varie riunioni NATO.

Il 3-5 maggio 1965 partecipò a Roma (albergo Parco dei Principi), ad un convegno sulla “guerra rivoluzionaria“, organizzato dall’istituto Alberto Pollio e finanziato dal Sifar“, agenzia di spionaggio militare. A seguito di questo incontro, al quale parteciparono circa 20 studenti (tra cui Stefano Delle Chiaie e Mario Pino Rauti, Michele Merlino), Giannettini e altri partecipanti furono assunti dai servizi segreti italiani per attuare il piano della ‘strategia della tensione’

Nel mese di aprile del 1968 Giannettini, partecipò ad un viaggio in Grecia insieme a 60 studenti della “Lega degli studenti greci fascisti in Italia” e a 51 studenti italiani neo-fascisti, organizzato dalla giunta militare greca. Tornati da Atene si “convertirono” improvvisamente all’anarchismo, alla sinistra o al comunismo, preferibilmente filo-cinese…..

Nel 1969, Giannettini accompagnò una delegazione di militari italiani in Germania Ovest per preparare l’acquisto di carri armati Leopard….

Secondo il magistrato Guido Salvini, responsabile delle indagini relative all’attentato di piazza Fontana del 1969, “Guido Giannettini ha anche avuto contatti con Yves Guérin-Sérac in Portogallo (Aginter Press) , fin dal 1964″.

Giannettini, per il suo ruolo di giornalista, fu reclutato dal SID nel 1965. Nel maggio 1969 questi aveva inviato un rapporto al servizio in cui avvisava “che erano in preparazione attentati in luoghi chiusi (strategia della tensione stragi di stato).

Nel gennaio 1974 fu emesso mandato di cattura nei confronti di Giannettini , il capitano Labruna lo aiutò a nascondersi in Francia.

Il 14 agosto 1974 si costituì al consolato italiano di Buenos Aires. Fu condannato il 23 febbraio 1979 in primo grado all’ergastolo per strage al processo di Catanzaro e poi assolto in appello il 20 marzo 1981 e scarcerato (sentenza confermata in Cassazione nel 1982).

Ma andiamo a vedere chi erano i servizi segreti e a chi erano subordinati….

wpe25.gif (3452 byte)

I servizi segreti nacquero ufficialmente il 1 settembre del 1949 sulle ceneri del vecchio SIM, il Servizio d’Informazione Militare nato durante il regime fascista, col nome di SIFAR, Servizio Informazioni Forze Armate. Già la loro costituzione fu anomala: per istituirli non fu necessario alcun dibattito parlamentare ma soltanto una circolare interna firmata dall’allora ministro della difesa Randolfo Pacciardi.

Il primo direttore del SIFAR fu il generale di brigata Carlo Del Re, sotto l’esplicita supervisione dell’emissario della CIA in Italia Carmel Offie. Del Re venne sostituito nel 1951 dal Gen. Broccoli, che diede l’avvio a “Gladio”, sostituito un anno e mezzo dopo dal Gen. Musco, uomo di stretta osservanza CIA, che portò a termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sorse poi la base di “Gladio”17. Una decisiva impennata nelle attività politiche dei servizi segreti si ebbe con l’avvento ai vertici del SIFAR del Gen. Giovanni De Lorenzo, uomo gradito sia all’ambasciatrice americana, Clara Booth Luce, sia alle sinistre. De Lorenzo assunse le redini del SIFAR nel gennaio del 1956 e rimase in carica per quasi sette anni, fino all’ottobre del 1962. Proprio sotto la gestione di De Lorenzo iniziarono le schedature di massa degli italiani: furono raccolti oltre 157.000 fascicoli.

Il gradimento delle sinistre per la nomina di De Lorenzo era dovuto essenzialmente ai meriti resistenziali (…) rivendicati dal generale. Quando De Lorenzo fu nominato Comandante Generale dell’arma dei carabinieri e fu costretto ad abbandonare la guida dei servizi segreti riuscì a mantenerne comunque il controllo facendo in modo che al suo posto venisse designato un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e che i posti chiave fossero occupati da suoi uomini di fiducia: Giovanni Allavena e Luigi Tagliamonte. Fu proprio De Lorenzo a mettere a punto, nel 1964, il Piano Solo, un colpo di stato sotto la cui minaccia venne formato il secondo governo di centrosinistra guidato da Moro.

L’anno successivo al tentativo di golpe il SIFAR venne sciolto e, con un decreto del Presidente della repubblica, il 18 novembre 1965, nacque il SID, Servizio Informazioni Difesa. Il comando del nuovo Servizio Segreto, nuovo solo sulla carta, venne affidato all’Amm. Eugenio Henke, sotto la cui gestione prese avvio la “strategia della tensione” che ebbe come primo, tragico, risultato la strage di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969. Nel 1970 l’Amm. Henke fu sostituito dal Gen. Vito Miceli, sotto la cui direzione prese forma l’operazione “Tora Tora”, il tentativo di colpo di stato, ancora oggi misterioso, del “principe nero” Junio Valerio Borghese. Gli anni della gestione Miceli furono, inoltre, gli anni dello stragismo in Italia: da Peteano alla strage della Questura di Milano, da Brescia all’Italicus.

Il generale Vito Miceli Negli anni ‘70 fu nominato capo del Sid, A Miceli fu affiancato il colonnello Gianadelio Maletti, dirigente dell’Ufficio D (addetto al controspionaggio). Tra i due personaggi sorse ben presto un aspro conflitto, dovuto a divergenze di natura politica: Miceli sosteneva le trame più reazionarie, invece Maletti mirava ad un «golpe bianco», cioè a una svolta in senso conservatore delle istituzioni attraverso processi poco traumatici.

Nell’ottobre del 1977 (dopo vari scandali), si procedette a una riforma complessiva dei servizi di sicurezza, con la creazione di due nuove agenzie investigative: il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare (Sismi), che prese il posto del Sid; il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica (Sisde), che sostituì il Sds.

Negli anni ‘80 una serie di scandali e rivelazioni portarono alla luce la funzione eversiva dei servizi segreti in Italia. Nell’elenco degli affiliati alla Loggia P2, diretta da Licio Gelli, si scoprirono i nomi di ex dirigenti dei servizi (D’Amato, Maletti, Miceli), ma anche del direttore del Sisde Giulio Grassini e del Sismi Giuseppe Santovito.

loggia_p2Emerse, poi, l’esistenza di alcune strutture “deviate” (il “Sid parallelo” e il “SuperSismi”), implicate in attività illegali «che spaziavano dall’occultamento delle prove, alla protezione di sospetti autori di stragi […], dalla diffusione di notizie calunniose verso esponenti politici […], al peculato». Si scoprì, inoltre, che c’erano stati vari depistaggi durante le indagini su stragi e attentati avvenuti negli anni precedenti (Milano, Brescia, Ustica, Bologna) e si comprese l’esistenza di altre organizzazioni occulte legate all’intelligence, come l’Anello e la Rosa dei Venti, coinvolte in tentativi eversivi o in operazioni coperte.

Nella lista di Gelli erano iscritti, tra gli altri, 28 giornalisti, 4 editori e 7 dirigenti editoriali del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, tra cui lo stesso Angelo Rizzoli. I direttori erano 7, quattro dei quali dirigevano testate Rizzoli, a cominciare da Franco Di Bella, allora direttore del Corriere della Sera.

Entrambi i servizi segreti ebbero responsabilità gravi nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, per la quale sono stati condannati per depistaggio alcuni uomini del SISMI, come il Gen. Pietro Musumeci e il Col. Giuseppe Belmonte.

Ma cosa era L’Aginter Press?

L’Aginter Press era un’agenzia di stampa di Lisbona operante dal 1962 al 1974. In realtà era principalmente un centro di reclutamento ed addestramento per guerra non convenzionale, riconducibile alla rete in funzione anticomunista NATO Stay Behind.

Essa operava nel Portogallo governato dalla dittatura di Salazar ed era diretta dal capitano Yves Guérin-Sérac, che prese parte alla fondazione dell’Organisation armée secrète. Le azioni svolte dall’Aginter Press erano finalizzate a:

-diffondere le idee e programmi nazisti nel mondo, in particolare in Europa e Africa.

-reclutare e addestrare agenti per guerra non convenzionale per perpetrare disordini e caos, allo scopo di minare le fondamenta dei governi democratici.

-azioni di spionaggio, per conto dei servizi segreti portoghesi e con connessioni tramite questi ad altri servizi segreti di paesi NATO.

-collaborare a dirigere l’organizzazione internazionale dell’eversione in chiave anticomunista. Questa “internazionale eversiva” usava l’Aginter Press come braccio d’azione per interventi in diversi paesi.

Tra le carte rinvenute nei loro archivi vi era un documento nel quale delineavano la propria linea strategica:

« Noi pensiamo che la prima parte della nostra azione politica debba essere quella di favorire l’installazione del caos in tutte le strutture del regime. È necessario cominciare a minare l’economia dello Stato per giungere a creare confusione in tutto l’apparato legale. […] Questo porterà a una situazione di forte tensione politica, di paura nel mondo industriale, di antipatia verso il governo e verso tutti i partiti: in questa prospettiva deve essere pronto un organismo efficace capace di riunire attorno a sé gli scontenti di ogni classe sociale: una vasta massa per fare la nostra rivoluzione. […] A nostro avviso la prima azione che dobbiamo lanciare è la distruzione delle strutture dello Stato sotto la copertura dell’azione dei comunisti e dei filo-cinesi. Noi, d’altronde, abbiamo già elementi infiltrati in tutti questi gruppi; su di loro dovremo evidentemente adattare la nostra azione: propaganda ed azioni di forza che sembreranno fatte dai nostri avversari comunisti e pressioni sugli individui che centralizzano il potere ad ogni grado. Ciò creerà un sentimento di antipatia verso coloro che minacciano la pace di ciascuno e della nazione; d’altra parte ciò peserà sull’economia nazionale. »

Ma chi era Guérin-Sérac?

Guérin-Sérac (vero nome, Yves Guillou), ex ufficiale dell’OAS approda a Lisbona nel 1962. In quell’anno si può fissare la nascita della pseudo-agenzia di stampa. Nella capitale portoghese cerca un appoggio concreto da parte del governo. Non ottiene un appoggio ufficiale, ma riceve aiuti e “spinte” dalla Legione Portoghese, organizzazione paramilitare del regime. Guérin-Sérac viene incaricato di sfruttare la sua passata esperienza nelle file dell’Organisation armée secrète, per organizzare corsi pratici di sabotaggio, terrorismo e spionaggio, ed ha un rapporto diretto col governo portoghese fin dal 1962. Tra il ’62 e il ’65 gli agenti di Guérin-Sérac viaggiano in lungo e in largo, costruendo quella rete di informatori e collaboratori che, più tardi, si rivelerà piuttosto utile. Fin dai primi anni di attività, uno degli scopi principali dell’Aginter Press è quello di infiltrare i suoi uomini nei movimenti di sinistra e di estrema sinistra d’Europa e nei movimenti di liberazione in Africa.

Dopo aver raccolto attorno a sé un nutrito ed eterogeneo gruppo, tra cui spiccava Robert Leroy, ex SS della Legione Vallona di Léon Degrelle, Guérin-Sérac prestò il proprio gruppo ad operazioni di destabilizzazione politica e di eversione terroristica in Europa, fungendo nel contempo da centro di reclutamento per mercenari da inviare in Angola a combattere contro gli indipendentisti. Tra le operazioni condotte dall’Aginter Press, l’infiltrazione in gruppi della sinistra extraparlamentare di stampo maoista e trozkista in Italia, Francia e Svizzera, il tentato golpe in Algeria nel 1966 e la regia congiunta nell’attentato di Piazza Fontana a Milano del dicembre 1969…..

La Rivoluzione dei garofani dell’aprile 1974 segnò la fine del regime salazarista di Marcelo Caetano in Portogallo, comportando l’apertura della prigione fortezza di Caxies e la nascita di commissioni d’inchiesta sulle violenze perpetrate dalla dittatura attraverso la polizia politica, la Pide-DGS. Nell’ambito di queste indagini, nel maggio dello stesso anno vi fu la scoperta della sede, ormai deserta, dell’Aginter Press nei locali di un elegante palazzo nel centro di Lisbona. Guérin-Sérac e i suoi sodali si trasferirono in Spagna, progettando ulteriori azioni terroristiche di stampo atlantista come la guerra civile in Portogallo contro il governo di Vasco Gonçalves, la tentata secessione delle isole Azzorre e successivamente, in collaborazione con fuoriusciti italiani di estrema destra come Stefano Delle Chiaie, parteciparono attivamente alle azioni di guerriglia anti-ETA nei Paesi Baschi e alla progettata restaurazione franchista.

 

Documentario: I rapporti (segreti) tra America e Italia – mafia e stato.

 

La nascita della Stasi e il ruolo del KGB nella DDR

https://www.youtube.com/watch?v=zMOw5yckk30

 

Rsp (individualità Anarchiche)

Brescia, Piazza della Loggia: condannati i mandanti della strage di stato…

BRESCIA, PIAZZA DELLA LOGGIA:

CONDANNATI I MANDANTI DELLA STRAGE DI STATO…

Piazza della Loggia, Maggi e Tramonte condannati all'ergastolo

La strage di Piazza della loggia fu una delle tante stragi di stato attuate dai servizi segreti atlantici, che addestrarono i gruppi di estrema destra, come esecutori della strategia della tensione.

Il 22 luglio 2015 c’è stato Il processo d’appello bis sulla strage di piazza della Loggia a Brescia. La Seconda Corte d’assise d’appello di Milano ha condannato all’ergastolo l’ex ispettore veneto di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi e l’ex fonte ‘Tritone’ dei servizi segreti Maurizio Tramonte.

Maurizio Tramonte

Il processo d’appello bis si è celebrato dopo che la Cassazione aveva annullato l’assoluzione di Maggi e Tramonte in relazione alla strage che il 28 maggio del 1974 causò otto morti e 102 feriti nel corso di una manifestazione antifascista nel cuore di Brescia. Per l’accusa Tramonte avrebbe partecipato a tutta la fase di preparazione all’attentato, mentre Maggi, che oggi ha 80 anni, sarebbe stato il mandante.

Risultati immagini per maggi freda ventura

Il 15 maggio 2008 erano stati rinviati a giudizio per la strage di Piazza della loggia sei imputati principali: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi. I primi tre erano all’epoca militanti di spicco di Movimento Politico Ordine Nuovo, gruppo neofascista fondato nel 1963 da Clemente Graziani, sulle ceneri del Centro Studi Ordine Nuovo di Pino Rauti.

Ordine Nuovo fu sciolto nel 1973 per disposizione del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani con l’accusa di ricostituzione del Partito Fascista. Francesco Delfino ex generale dei carabinieri, nel 2001 è stato condannato per truffa aggravata e degradato a carabiniere semplice nel 2007 è stato rinviato a giudizio, e poi assolto in via definitiva, in relazione alla strage di Piazza della Loggia…

Il 14 aprile 2012 la Corte d’Assise d’Appello conferma l’assoluzione per tutti gli imputati, condannando le parti civili al rimborso delle spese processuali, tuttavia indica la responsabilità di tre ordinovisti ormai defunti, Carlo Digilio, Ermanno Buzzi e Marcello Soffiati..

Carlo Maria Maggi è stato Responsabile della cellula veneta di Ordine Nuovo assieme a Franco Freda e a Giovanni Ventura.

Maggi venne assolto con sentenza definitiva, dopo una condanna in primo grado all’ergastolo, per la strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969) e per quella alla questura di Milano (17 maggio 1973)….

Ma andiamo indietro col tempo, ritornando al periodo della fine della II guerra mondiale, quando prende il via la strategia statunitense del mantenimento dello status quo, in funzione antisovietica, per mantenere inalterati gli equilibri di Yalta….

La strategia della tensione (stragi di stato) fu organizzata al convegno dell’istituto Pollio nel 1965, patrocinato dallo Stato Maggiore della Difesa e organizzato dai Servizi Segreti (ufficio REI, diretto dal colonnello Rocca), finanziato dal SID.

Tra gli altri, vi parteciparono oltre a Rauti, Giorgio Pisanò, Beltrametti, Giannettini e Stefano Delle Chiaie, Mario Merlino.

Dalle inchieste della magistratura oggi sappiamo che vi fu una massiccia presenza di organizzazioni di destra golpiste, in questa prima parte della strategia della tensione, insieme ai golpisti bianchi. Dai settori dirigenti del Msi al Fronte di Borghese, a Ordine nuovo di Clemente Graziani e Pino Rauti, ad Avanguardia nazionale di Delle Chiaie, Freda e Giannettini, al Mar del partigiano bianco Fumagalli, al movimento Pace e libertà dell’altro partigiano bianco, Edgardo Sogno, uomo Fiat, massone P2 iscritto al Pli, a Luigi Cavallo, fino al padre della II repubblica Pacciardi, repubblicano e massone di palazzo Giustiniani. Gruppi paramilitari, mercenari che collaboravano con i servizi segreti Sid di Miceli e Maletti, dall’ufficio affari riservati di Federico D’Amato e dalla Nato attraverso la Rosa dei venti. I nomi dei politici che in quegli anni coprirono e depistarono le inchieste ponendo il segreto di stato sono noti: Andreotti, Moro, Rumor, Tanassi, Fanfani e Leone ….

governoandreotti2

La strategia della controguerra rivoluzionaria e stata attuata per acuire le tensioni sociali, nel mostrare il pericolo che doveva essere evidenziato tramite attentati da attribuire alla sinistra, ma anche attraverso infiltrazioni a sinistra ( partigiani bianchi antifascisti, che nel ‘47 diventano anticomunisti atlantici…. si infiltrano nei partigiani rossi e nei movimenti di sinistra).

Il piano militare atlantico chiamato strategia della tensione si basa su una serie preordinata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario. La bomba di piazza Fontana costituì la risposta di parte delle forze più reazionarie(repubblicani e liberali) della società italiana, di gruppi neofascisti, ma anche di settori deviati degli apparati di sicurezza dello stato, non privi di complicità e legami internazionali, alla forte ondata di lotte sociali del 1968-‘69 e all’avanzata anche elettorale del Partito comunista italiano. L’arma stragista fu usata ancora nel 1970 (strage di Gioia Tauro), nel 1973 (strage della questura di Milano), nel 1974, all’indomani della vittoria progressista nel referendum sul divorzio (strage dell’Italicus, strage di piazza della Loggia), e ancora nel 1980 (strage di Bologna), ma non fu l’unica espressione della strategia della tensione , la quale passò anche attraverso l’organizzazione di strutture segrete, in alcuni casi paramilitari e comunque eversive (Rosa dei Venti, Nuclei di difesa dello Stato, loggia P2 ordine nuovo, Mar ecc.), i collegamenti internazionali (le strutture Gladio o Stay-behind), la progettazione e la minaccia di colpi di stato (il ‘piano solo’ del 1964, il tentato golpe Borghese del ‘70), e infine la sistematica infiltrazione nei movimenti di massa e nelle organizzazioni extraparlamentari, comprese quelle di sinistra, al fine di innalzare il livello dello scontro sociale …

Cultura dal basso contro i poteri forti e i loro servi

Rsp (individualità Anarchiche)

G8 DI GENOVA 2001: STRATEGIE DI COLPO DI STATO PER LA SICUREZZA EUROPEA

G8 DI GENOVA 2001: STRATEGIE DI COLPO DI STATO PER LA SICUREZZA EUROPEA

G8 3.jpg

Cos’è accaduto a Genova durante il vertice dei G8 del 2001? Cosa c’è di misterioso, d’irrisolto in una manifestazione di piazza di ampie dimensioni, attaccata e dispersa dalle forze dell’ordine? Il governo di centrosinistra fece la riforma dell’arma dei carabinieri (legge 78/2000), concedendole più poteri e autonomia (stato di polizia – dittatura militare), accentuando le rivalità tra polizia e carabinieri (e quindi anche l’escalation militare e “durista”). Il ministro della giustizia era Oliviero Diliberto. La risposta sta proprio in ciò che a Genova è accaduto; l’oggetto misterioso, è quindi la gestione dell’ordine pubblico in Italia, con le sue degenerazioni nel 1° anno del XXI secolo. Ma è possibile che sia bastato che facesse la sua comparsa un movimento d’opposizione, trasversale, non organizzato, non parlamentare, con ramificazioni internazionali, fondamentalmente caratterizzato dal pacifismo, ma forte e radicato, perché la gestione dell’ordine pubblico in Italia tornasse a mostrare il volto di sempre, il volto della repressione più dura, becera e sfrenata della strategia della tensione!!?? E’ bastato che un nuovo movimento invadesse le piazze perché i corpi dello stato tornassero a sparare, a caricare, a malmenare, violando il diritto costituzionale di manifestare il proprio dissenso. La stagione del 1968 vide bloccare con gli scontri nelle piazze, ma soprattutto con le bombe e le stragi, la crescita e la maturazione di un movimento studentesco e la sua possibile alleanza con un solido movimento operaio impegnato in un autunno di rivendicazioni non solo salariali. Nove anni dopo, un nuovo movimento, del tutto diverso dal precedente, subì la stessa fine: il movimento del ’77, l’ultimo tentativo d’aggregazione politica giovanile di massa in Italia, fu sconfitto con l’identico sistema: la repressione più indiscriminata, ancora una volta con la polizia e i carabinieri chiamati a tenere le piazze con le armi e ad aprire il fuoco. I metodi polizieschi (nonostante la riforma della polizia del 1981 e il supposto processo democratico che ha investito l’insieme delle forze dell’ordine) sono rimasti fascisti. E così un altro movimento ha dovuto confrontarsi con qualcosa che gli preesisteva. Nel pomeriggio di venerdì 20 luglio 2001, quando ormai da ore polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno preso il controllo della piazza, abbandonandosi a cariche indiscriminate contro cortei in grandissima parte formati da pacifisti (donne, anziani e bambini compresi), avviene il fatto più cruento che farà del vertice del G8 organizzato in Italia il 1° a dover contare una vittima. La tragedia avviene in piazza Alimonda. Uno spezzone di uno dei tanti cortei massacrati dalle cariche decide di organizzare un minimo di risposta attiva in funzione di autodifesa. Tra gli scontri e i manifestanti finisce un gippone dell’arma che termina la sua corsa contro un muro. L’attacco dei dimostranti è cruento. I tre carabinieri, lanciano dalla jeep un estintore che viene raccolto da Carlo Giuliani, 20 anni, romano di nascita, figlio di un sindacalista della CGIL, da tempo a Genova. Dal finestrino posteriore del gippone ormai intrappolato spunta una pistola. La impugna Mario Placanica, carabiniere di leva, 20 anni. Anziché sparare in aria, Placanica secondo la versione ufficiale, apre il fuoco contro Giuliani, colpendolo alla testa: Carlo muore sul colpo, mentre il suo corpo viene per 2 volte travolto dal Defender che si allontana dal luogo della tragedia. Placanica afferma esplicitamente di essere un capro espiatorio usato per coprire qualcuno, e di non avere ucciso lui Carlo Giuliani. “Quella mattina del 20 ci hanno posizionato vicino la “Fiera” insieme ad alcuni poliziotti. Ci sono state delle cariche sul lungomare, ma solo di alleggerimento. Abbiamo partecipato alle cariche in cui venne dato alle fiamme il blindato dei carabinieri. In quella situazione mi è stato affidato il compito di sparare i lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Però dopo un po’ il maggiore Cappello mi ha preso il lanciagranate perché diceva che non ero capace. Io stavo sparando a “parabola”, così come mi è stato insegnato, e invece lui ha iniziato a sparare ad altezza d’uomo, colpendo in faccia le persone. Cose allucinanti. Sul Defender, c’eravamo io, Filippo Cavataio, l’autista del defender, e Raffone, un ausiliario seduto dietro insieme a me. Accanto avevamo un’altra camionetta con a bordo il colonnello Truglio, [allora tenente colonnello e comandante dei Ccir compagnia di contenimento e intervento risolutivo, creata ad hoc per il G8 e poi sciolta, oggi colonnello dei cc]. Il responsabile del nostro mezzo era il maggiore Cappello. C’era anche il plotone dei carabinieri davanti a noi che ci faceva da scudo. I carabinieri sono scappati, ci hanno superato, noi abbiamo fatto retromarcia e siamo rimasti incastrati contro un cassonetto. Dopo i 2 spari, sul defender è salito un altro carabiniere che si chiama Rando di Messina e ha messo lo scudo sul vetro che avevano rotto. Davanti è salito un maresciallo dei Tuscania di cui non ricordo il nome. E siamo partiti. Ho saputo della morte di Carlo Giuliani alle 23 quando sono venuti in ospedale, mi hanno comunicato la notizia. Mi hanno fatto dimettere, mi hanno fatto firmare la cartella e mi hanno portato in caserma. Lì mi hanno detto che avevo ucciso un manifestante. I colleghi hanno fatto festa, mi hanno regalato un basco dei Tuscania,”benvenuto tra gli assassini” mi hanno detto. I colleghi erano contenti di quello che era capitato, dicevano morte sua vita mia”. Ma perché alcuni militari hanno “lavorato” sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra? Sulle prime, un funzionario di polizia cerca di addebitare l’orrenda uccisione ad un sasso lanciato dai dimostranti. E’ una tragica menzogna. I cc Mario Placanica e Filippo Cavataio, vengono incriminati per omicidio volontario, ma il 7/5/’03, il giudice della rep. Franz, ha deciso l’archiviazione ritenendo i 2 non colpevoli: Placanica ha sparato per legittima difesa e Cavataio, che alla guida del defender passò 2 volte sul corpo di Carlo, non ha alcuna responsabilità della morte di quest’ultimo. L’epilogo è sempre lo stesso: lo stato che dopo aver predisposto la trappola di Genova, aveva armato e ordinato di sparare su chi si sarebbe opposto alla politica e all’economia incarnata dal G8. L’archiviazione dell’omicidio di Carlo è stata un’ ingiustizia sociale, perché ha evidenziato ancora una volta il potere e le protezioni delle forze dell’ordine, che hanno potuto sperimentare la licenzia di uccidere e la loro immunità (legge 78/2000 stato di polizia-dittatura militare).

Di lacrimogeni a Genova, secondo la magistratura, ne sono stati sparati 6200 nel giro di 24 ore. In termini tecnici, la sostanza irritante prodotta dall’inaccessibile stabilimento SIMAD dell’Aquila, è il gas GS, considerata” arma chimica” dal protocollo di Ginevra che ne proibisce l’uso in tempo di guerra. Un articolo della rivista Journal of Chromatography dimostra che il GS, se portato ad una temperatura tra i 300 e i 900 gradi, dà origine a 20 sostanze organiche, di cui solo 8 sono conosciute. Le spese fatte per l’allegorica organizzazione sono: £200 miliardi spesi per i lavori di abbellimento della città; 5 le navi e 5 i traghetti che ospiteranno delegazioni straniere, giornalisti e forze dell’ordine nel porto di Genova; 2411 le camere d’albergo prenotate per gli ospiti; 42 miliardi di lire spesi per l’organizzazione del summit; 18000 gli agenti di polizia, cc, finanzieri e militari previsti. Ora, noi comuni mortali ci riflettiamo sopra e ci domandiamo: ma non era meglio spendere quei soldi pubblici per i cittadini meno abbienti, o per il diritto di spazi e opportunità ai giovani che hanno bisogno di esprimersi e realizzarsi? Martedì 23/10/’07, i pm di Genova Anna Canepa e Andrea Canciani hanno chiesto per 25 manifestanti accusati di tutto quello che è successo durante le giornate contro il G8, 225 anni di carcere per devastazione e saccheggio,(art. 419 del codice penale): è un reato che non era stato più contestato dall’immediato dopoguerra e che è stato rispolverato dalla procura di Genova per i fatti del G8 del 2001, dopo un tentativo fallito, a Torino, alla manifestazione per la morte di Baleno del 4/4/’98. Il cosiddetto processo ai 25 è stato costruito in questi anni su 350 ore di filmati e 15.000 fotografie, senza evidenziare nessun sopruso, e la scelta fatta dalla procura, è quella di usare un reato desueto che il codice penale ha previsto per situazioni postbelliche, e non certo per scontri di piazza.

a019fcd942e66d53acb7d71b9f388d77--499x285

Le giornate di Genova non sono state solo caccia all’uomo, cariche sconsiderate, militarizzazione della citta. Sono state anche il teatro prescelto per scontri di potere militare europei, all’interno delle stesse forze dell’ordine. In materia di ordine pubblico i carabinieri non possono fare nulla senza l’autorizzazione del funzionario di polizia Gianni De Gennaro che ne accompagna i contingenti. Fini sostituisce il ministro degli interni Scajola, e si trovava nella caserma di San Giuliano, il centro di controllo dei cc, nonché (con Bolzaneto) carcere temporaneo per gli arrestati, a testimonianza del rapporto privilegiato dell’arma con la destra italiana. Una polizia che giunge al G8 con De Gennaro (oggi presidente di Finmeccanica), desideroso di dimostrare la propria lealtà anche ai nuovi padroni del centrodestra (era stato nominato nel maggio 2000 dal centrosinistra). Ai testimoni delle forze dell’ordine giunti in aula è stato più volte chiesto il riconoscimento di coloro che menavano mazzate contro i manifestanti: a Guido Ruggeri, il comandante dell’ex battaglione Tuscania, transitato nel 2002 dalle dipendenze della brigata Folgore alla II brigata mobile dei carabinieri, vengono mostrate scene di pestaggi. Il tentativo è scaricarsi sui colleghi: “Sono poliziotti”, dice in aula, “non personale del Tuscania. Eravamo riconoscibili per il cerotto arancione dietro al casco e per lo stemma verde sul petto”. Infine, di fronte all’ennesimo video, non può che ammettere: “Riconosco un militare del Tuscania». Amnesty International nel suo rapporto parla di “violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste nella più recente storia d’Europa”. Nel rapporto si afferma che a Genova furono sparati almeno 15 colpi di pistola. Sul raid notturno compiuto dalle forze dell’ordine nei locali di una scuola, utilizzata come dormitorio per i manifestanti e segreteria del Genoa social forum, le accuse contro gli agenti comprendono l’abuso di autorità, e la fabbricazione di prove false che schiacciano Massimiliano Di Bernardini, vicequestore aggiunto della squadra mobile presente alla scuola Diaz. Il pm contesta a Bernardini di aver prodotto prove false e illegali introducendo 2 molotov all’interno della Diaz. La mattina del 16/1/’07 nel corso di un udienza del processo, il presidente Gabrio Barone, dopo aver constatato la sparizione delle molotov, ha dato l’incarico alla procura di rintracciarle negli uffici giudiziari. L’episodio della (falsa) coltellata ricevuta da Massimo Nuocera dai manifestanti della Diaz, risulterebbe per il pm un’iniziativa dell’ispettore Maurizio Panzeri, che avvallò il racconto del collega falsificando le prove. Le 93 persone arrestate nel corso del raid all’interno della scuola dichiararono di non aver opposto resistenza, come invece sostenuto dalla polizia, e di essere state sottoposte a percosse deliberate e gratuite. Almeno 82 di esse vennero ferite; 31 furono trasferite in ospedale, 3 in condizioni critiche. Alcuni di essi ricevono cure mediche ancora oggi. Amnesty International ha ripetutamente sollecitato l’Italia a recepire il Codice di etica della polizia, adottato dal consiglio d’Europa nel settembre 2001, e ad assicurare che i suoi pubblici ufficiali siano obbligati a mostrare in maniera evidente alcune forme di identificazione individuale, come un numero di matricola, al fine di evitare il ripetersi di situazioni violenza e d’impunità. Amnesty ha notato con preoccupazione che gli agenti sotto processo, non sono stati sospesi dal servizio e, in alcuni casi, sono stati addirittura promossi…. La maggior parte delle persone arrestate nel corso dei raid venne trasferita nel centro di detenzione temporanea di Bolzaneto. Vi transitarono oltre 200 persone, molte delle quali furono private dei fondamentali diritti riconosciuti a livello internazionale ai detenuti, tra cui il diritto di avere accesso agli avvocati e all’assistenza consolare e quello di informare i familiari sulla propria situazione. Nel corso di un’udienza preliminare, i pm hanno illustrato in modo efficace le prove degli abusi verbali e fisici subiti dai detenuti. Hanno descritto, tra l’altro, come i detenuti fossero stati presi a schiaffi, calci, pugni e sputi; sottoposti a minacce, compresa quella di stupro, e ad insulti anche di natura oscena e sessuale; obbligati a rimanere allineati e in piedi per ore a cantare faccetta nera, a gambe divaricate contro un muro; privati di cibo e acqua per lunghi periodi; soggetti a perquisizioni corporali effettuate in modo volutamente degradante, con uomini costretti ad assumere posizioni umilianti e donne forzate a denudarsi di fronte ad agenti di sesso maschile. I pubblici ministeri hanno citato singoli casi di abuso: una ragazza la cui testa è stata spinta in un gabinetto, un ragazzo obbligato a camminare a quattro zampe e ad abbaiare, il pestaggio di un detenuto non in grado di rimanere in piedi per ore poiché aveva un arto artificiale. La pubblica accusa ha chiesto l’incriminazione di 15 agenti di polizia, 11 carabinieri, 16 agenti di custodia e 5 membri del personale medico per vari reati tra cui abuso di autorità, coercizione, minacce e lesioni fisiche, accusandoli di aver torturato i detenuti con trattamenti crudeli, inumani e degradanti in violazione dell’art.3 della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali. Amnesty sottolinea che per prevenire la tortura e i maltrattamenti, è fondamentale che i tribunali siano pronti a infliggere pene severe nei confronti di chi ordina, condona o perpetra la tortura, dissuadendo questi ultimi dal reiterare i propri crimini, chiarendo ad altri che i maltrattamenti non saranno più tollerati. Amnesty deplora che a 17 anni dalla ratifica della Convenzione dell’Onu contro la tortura e nonostante ripetuti solleciti da parte di organismi intergovernativi, tra cui il Comitato dell’Onu contro la tortura e il Comitato sui diritti umani, l’Italia non abbia ancora introdotto nel codice penale il reato di tortura, così come previsto nella Convenzione dell’Onu contro la tortura. Sulla scena della macelleria messicana è presente la punta di lancia del viminale, i funzionari della digos di Genova, uomini della digos di Roma e Napoli, uomini del reparto mobile di Vincenzo Canterini, il dirigente dello Sco Franco Gratteri, il suo vice Gilberto Caldarozzi, l’allora direttore dell’ Ucigos Arnaldo La Barbera, Andreassi, Fiorentino, Luperi, Murgolo, Colucci, e il vicequestore Pietro Troiani, arrivato da Roma per essere accorpato alla logistica del reparto mobile, per fare l’ufficiale di collegamento tra la questura e i reparti celere sul terreno, rimasto finora nell’ombra.

Il controllo sociale è sempre stato un’arma repressiva, in mano alla chiesa e al re e adesso alla repubblica liberale. Poteri che dominano la penisola fin dai tempi del medioevo e usano i loro servi (sbirri senza cervello, addestrati ad obbedire e a non pensare) contro chi si ribella alle ingiustizie sociali e non si vuole sottomettere al più forte …….

 

07/04/2015

La Corte europea dei diritti dell’ uomo ha condannato l’Italia sulla base del ricorso presentato a Strasburgo da Arnaldo Cestaro, una delle vittime della perquisizione alla scuola Diaz avvenuta il 21 luglio 2001, alla conclusione del G8 di Genova. Nel ricorso, l’uomo, che all’epoca dei fatti aveva 62 anni, afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell’ordine tanto da dover essere operato, e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite. Cestaro, rappresentato dall’avvocato Nicolò Paoletti, sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi. La Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione. Non solo hanno riconosciuto che il trattamento che gli è stato inflitto deve essere considerato come “tortura”. Nella sentenza i giudici sono andati oltre, sostenendo che se i responsabili non sono mai stati puniti, è soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. Inoltre la Corte ritiene che la mancanza di determinati reati non permette allo stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze e torture da parte delle forze dell’ordine……

 

Non sono i delitti punibili dalla legge quelli a cui bisogna imputare i peggiori mali del mondo. Sono i torti legalizzati, i crimini che godono di impunità, giustificati e protetti dalle leggi e dai governi.

A.Berkman

 

Solidarietà alle arrestate e agli arrestati per il G8 di Genova

 

Rsp (individualità Anarchiche)

Le trame occulte di un potere militare sovranazionale (P2) e gli intrallazzi dei loro servi (i servizi segreti)

LE TRAME OCCULTE DI UN POTERE MILITARE SOVRANAZIONALE (P2)

E GLI INTRALLAZZI DEI LORO SERVI (SERVIZI SEGRETI)

I Servizi Segreti Usa, già nel 1942 durante il fascismo, allacciano rapporti con la mafia siciliana e determinati settori politici (massomafia…), e instaurano durature alleanze coi gabellotti.

Il SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate) fu istituito il 1°/9/1949 ed era subordinato ai servizi segreti che facevano parte della Nato. Il Sifar era simile al vecchio SIM fascista. Fu istituito, con procedura anomala, senza nessun dibattito parlamentare. Il repubblicano ministro della Difesa, Randolfo Pacciardi, firmò una semplice circolare interna. Il primo direttore del SIFAR, il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re, operava sotto l’esplicita supervisione dell’emissario della Nato in Italia, Carmell Offie.

Nel 1951 il gen. Umberto Broccoli, almeno sulla carta, darà l’avvio a “Gladio“.

La NATO fu creata In Italia nell’aprile del 1949, e fu istituita non solo per evitare che il comunismo entrasse nel potere politico, ma anche per controllare la situazione politica nei paesi che facevano parte dell’Alleanza atlantica…

Le attività “antisovversive”, cioè le azioni per arginare la crescita elettorale dei partiti di sinistra, cominciarono prima ancora che in Italia venissero ricostituiti i servizi segreti.

Gli Stati Uniti avrebbero fornito “assistenza militare e economica al movimento clandestino “Osoppo” formata da partigiani bianchi, che costituirono l’ossatura della gladio( bianca e nera) atlantica.

Ad esempio, durante le elezioni del 18/4/1948, l’organizzazione “Osoppo” ( l’antenata di Gladio), composta da 4.484 uomini, venne schierata segretamente lungo il confine orientale per contrastare una ipotetica invasione dell’esercito sovietico.

All’Italia, con la sua adesione al Patto Atlantico, furono imposti numerosi obblighi, tra cui quello di passare notizie riservate e ricevere istruzioni da una speciale centrale della CIA, chiamata in codice “Brenno“.

Il SIFAR, servizio informazioni difesa, del generale Giovanni De Lorenzo reggerà le fila del controllo occulto della politica italiana degli anni caldi precedenti al rivoluzionario decennio aperto dalla contestazione del 1968 ( gli studenti con gli operai).

Si infittirono i rapporti coi servizi segreti della Nato, che fin dal dopoguerra avevano installato un’importante centro operativo in Italia.

La stazione CIA di Roma funzionerà egregiamente, gli americani furono in grado di tessere una fitta ragnatela che piegherà le decisioni del governo alla volontà degli alleati d’oltreoceano.

La rete Stay Behind, cioè in Italia la Gladio, era attiva anche in molti altri paesi europei, coordinata da accordi che intercorrevano tra i vari servizi segreti che avevano aderito al Patto atlantico. Nel caso italiano la CIA e il SIFAR, come ha rilevato lo stesso giudice Casson nella sua indagine, operavano a condizionare e a scavalcare qualsiasi decisione del nostro Parlamento, unico organismo in grado di ratificare trattati internazionali di questa natura, qualora essi fossero ritenuti legittimi.

E’ vecchia abitudine, questa, di organizzare reti clandestine totalmente svincolate da qualsiasi controllo, per piegare una democrazia, già vacillante in realtà sotto i colpi delle feroci repressioni operaie del Ministro dell’Interno, on. Mario Scelba, protagonista della repressione di operai e braccianti negli anni immediatamente a ridosso della proclamazione della Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Mario Scelba va ricordato come il fondatore del reparto Celere della polizia di stato (negli anni divenuto tristemente famoso per i metodi antiguerriglia, nella repressione delle agitazioni operaie e popolari di piazza).

Come lo stesso Scelba conferma in un’intervista comparsa nel 1988 “[…] Posso aggiungere che non mi limitai a reclutare forze di Polizia affidabili, ma creai una serie di poteri per l’emergenza, una rete parallela a quella ufficiale che avrebbe assunto automaticamente ogni potere in caso di insurrezione.”   Durante gli anni del generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, che assunse la dirigenza del SIFAR nel 1955, fu creato il progetto del “Piano Solo” per un colpo di stato e gli agenti del SIFAR (brigata meccanizzata dei carabinieri comandati da De Lorenzo …) cominciarono a schedare in massa gli italiani: oltre 155.000 esponenti della sinistra istituzionale e non, semplici simpatizzanti, sindacalisti, operai.

Si volle far credere che la schedatura generalizzata del SIFAR fosse una operazione “deviata” messa in atto per iniziativa singola del generale De Lorenzo, mentre gli erano complici autorevoli esponenti democristiani del governo italiano, con l’appoggio dei servizi segreti della Nato.

In un accordo, stipulato coi servizi segreti Usa nel giugno 1962, De Lorenzo impegnava il SIFAR a programmare azioni di emergenza coi servizi segreti atlantici, senza avvertire il governo.

Nel marzo 1963 William Harvey, il responsabile dell’assassinio di Patrice Lumumba, l’eroe della lotta per l’indipendenza del Congo, diventava “capostazione” della CIA a Roma.

Col colonnello Rocca concordava la formazione di “bande d’azione” che dovevano attaccare sedi della DC, per fare ricadere la responsabilità sulle sinistre.

Il col. Rocca organizzò le squadre di Milano, Torino, Genova e Modena, aiutato da Luigi Cavallo, un ex militante del PCI, espulso dal Partito come spia.

Nominato sul finire del 1962 comandante generale dell’arma dei Cc e quindi costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De Lorenzo comunque mantenne il controllo del SIFAR, facendo nominare al suo posto un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e facendo occupare i posti chiave da suoi fedelissimi: Giovanni Allavena – responsabile, contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del CCS (controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR- e Luigi Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile) incarico di responsabile dell’amministrazione del SIFAR e capo dell’ufficio programmazione e bilancio dell’Arma…

Tra il 1960 e il 1964 i socialisti riuscirono ad entrare nell’area di governo.

Nel giugno del 1960, il governo Tambroni, aveva ottenuto la fiducia coi voti determinanti del MSI e della Confindustria, autorizzò il MSI a tenere il suo congresso nazionale a Genova, ci fu una rivolta popolare durata tre giorni, perché si ritenne questa autorizzazione una sfida alle tradizioni operaie e antifasciste della città. Altre manifestazioni antigovernative, dilagate in molte città, furono represse dalla polizia, in qualche caso anche con le armi, che provocò una decina di morti. Cinque nella sola Reggio Emilia.

Uno stato di polizia che usava ancora metodi fascisti (vili e infami). La DC dovette, quindi, sconfessare Tambroni, il fondatore delle polizie parallele…

i protagonisti di quel periodo. Da sinistra Amintore Fanfani, il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Fernando Tambroni

Da sinistra nella foto: Amintore Fanfani, il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e Fernando Tambroni

Nel marzo 1962 si formò un nuovo governo Fanfani, concordato coi socialisti che si impegnavano a dare il loro appoggio ai singoli progetti legislativi. Nelle elezioni politiche dell’aprile del 1963 ci fu una fortissima avanzata del PCI.

La ragnatela massomafiosa atlantica e anticomunista si mobilitò: Nel luglio del 1964, si fece udire il famoso “rumòr di sciabole”, di cui parlò l’allora segretario socialista Pietro Nenni: la formazione del secondo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro, fu minacciata dalla possibile messa in atto del già progettato colpo di stato, il “Piano Solo”, che sarebbe scattato se il governo di sinistra avesse adottato un programma veramente progressista.

Carabinieri, gruppi di civili, ex parà e repubblichini di Salò, addestrati nella base segreta di Gladio di Capomarrargiu e reclutati dal col. Rocca, capo dell’ufficio Rei (Reparto enucleandi interni) del SIFAR, avrebbero partecipato al golpe. La Confindustria e alcuni circoli militari, legati all’ex ministro della Difesa Pacciardi, avrebbero finanziato alcune formazioni paramilitari……

In un elenco, rinvenuto negli archivi della CIA di Roma, c’erano i nomi di circa duemila anticomunisti che si dichiaravano pronti a compiere anche atti terroristici. Il “Piano Solo” prevedeva la cattura degli “enucleandi”, cioè di dirigenti comunisti, socialisti, e di sindacalisti; e l’occupazione armata delle sedi dei partiti di sinistra, le redazioni dell’Unità, le sedi della Rai e le prefetture.

Nel 1965 il SIFAR fu sciolto. Ed era l’ennesimo scioglimento di facciata di un servizio segreto corrotto e “deviato”.

Con un decreto del Presidente della Repubblica, il 18/11/1965, nacque il SID (Servizio Informazioni Difesa), che del vecchio servizio continuerà a mantenere uomini e strutture cattofasciste.

Il comando del SID venne affidato all’amm. Eugenio Henke, molto vicino al ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani, democristiano. Sotto la gestione Henke – che resterà in carica fino al 1970 – prenderà avvio la “Strategia della tensione” che avrà come primo, tragico, risultato la strage di piazza Fontana (12/12/1969).

Il 18/10/1970 Henke venne sostituito dal gen. Vito Miceli, che già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio informazioni) dell’Esercito.

Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti, capeggiati dal “principe nero” Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, mise in atto un tentativo di colpo di stato, nome in codice “Tora, Tora“, passato alle cronache come il “Golpe Borghese“.

Il tentativo di colpo di stato fallì e ancora oggi per molti aspetti appare velato di “misteri”.

Il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli, molto legato ad Aldo Moro e nemico giurato del potente democristiano on. Giulio Andreotti, tacque di quel tentativo di golpe, prima di tutto con la magistratura.

Quando nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul golpe Borghese arriverà alla sua stretta finale, Miceli aveva già lasciato il servizio, a causa delle incriminazioni che lo porteranno ad essere arrestato per altri fatti, ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione della Rosa dei Venti, un’altra struttura militare para-golpista (al servizio del Viminale) e dello scontro durissimo col capo dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio Maletti.

gianadelio maletti

Il generale Maletti faceva parte della corrente filo-israeliana( Mossad), mentre il suo rivale, Il generale Miceli, stava coi servizi segreti filoarabi (Enrico Mattei ex partigiano bianco)…

Gli anni della gestione Miceli sono stati gli anni dello stragismo in Italia: da Peteano, alla strage alla Questura di Milano, dalla strage di Piazza della Loggia a Brescia, all’Italicus. Come era già accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà la sua carriera in Parlamento: eletto, anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così come anni dopo capiterà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen. Antonio Ramponi, nelle file dell’Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini.

Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti furono coinvolti fino al collo nel caso Moro, in quei 55 giorni che trascorsero fra il sequestro del presidente della DC da parte di un commando delle Br e l’uccisione dell’uomo politico (16 marzo-9 maggio 1978).

Nei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro accaddero una incredibile serie di stranezze, misteri, coincidenze, buchi nelle indagini, al punto da far pensare che il sequestro Moro fosse stato teleguidato da qualcuno (Nuclei clandestini dello stato), che nulla aveva a che fare coi brigatisti “puri”.

Era ministro dell’Interno l’on. Cossiga, che la mattina del rapimento di Moro stava andando in Parlamento dove doveva nascere un governo con l’appoggio esterno del Partito comunista…

Qualche settimana prima, Aldo Moro era uscito sconvolto da un colloquio avuto negli USA con Henry Kissinger, allora segretario di stato. “Mi ha intimato di non fare il governo con l’appoggio dei comunisti”, dirà ai suoi collaboratori Moro.

Anche in Italia, molti la pensavano come quell’anticomunista, liberale e cattofascistoide di Kissinger: la massoneria, la destra DC e larghi settori del mondo industriale.

Durante il rapimento Moro venne costituito un comitato di crisi presso il ministero dell’Interno, comitato che risulterà composto tutto da aderenti alla P2 (Gelli operava con un proprio ufficio presso la Marina Militare…).

Tra gli esperti, chiamati da Cossiga per il comitato di crisi nei giorni del sequestro, c’era Steve Pieczenick, del dipartimento di stato americano. Cossiga lodò il consulente americano. Non disse nulla, però, della attività svolta da Pieczenick, che in un documento, di cui esiste copia presso l’ambasciata americana di Roma, così si esprimeva: “E’ essenziale dimostrare che nessun uomo è indispensabile alla vita della Nazione”. Sembra, insomma, che Piecznick fosse interessato più alla svalutazione di Moro nella politica italiana che alla sua liberazione.

Il magistrato Libero Mancuso, al processo di primo grado per le bombe del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, esprime la sua opinione al giornalista Gianni Barbacetto, nel libro “Il grande vecchio“:

“Con le nostre inchieste abbiamo capito che quella in cui abbiamo vissuto é una democrazia limitata, con forti condizionamenti all’esterno. Si sono utilizzati mezzi di ogni tipo per impedire qualunque mutamento degli equilibri di potere nel nostro paese. Sono fatti, proseguiti negli anni. Tutti i tentativi eversivi in Italia hanno avuto alle spalle le forze armate, i nostri servizi di sicurezza, la massoneria e i finanziamenti atlantici. Questo é stato il filo nero di questi nostri anni, coperto da segreti di stato, menzogne, attacchi, processi insabbiati, conoscenze disperse. Chi ha lavorato sui misteri d’Italia sa bene cosa deve aspettarsi. Mi hanno definito un capocordata.

E’ stato deprimente vedere attacchi provocatori e meschini partire dai vertici dello Stato, di cui le vittime sono servitori. Volevano farmi passare come un uomo di uno schieramento, che aveva fatto inchieste, non sulla base di indagini, ma per tesi e complotti.”

In questo caso sono stati condannati per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, assieme a Licio Gelli, alcuni uomini del SISMI, come il gen. Pietro Musumeci, il col. Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza.

In seguito, costoro furono imputati anche per aver creato, all’interno del servizio segreto militare, una super-struttura occulta, (il cosiddetto SUPERSISMI), addirittura sospettata di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata (patto stato-mafia- massomafia)…

La Loggia P2, era una loggia massonica formata dagli alti gradi militari: arma, aereonautica, esercito, marina, un vero e proprio servizio segreto atlantico, trasformata anche in una sede di raccordo e di incontro tra tutte le strutture parallele (servizi segreti) che gestivano il potere reale in Italia.

Nelle liste della P2, rinvenute il 17/3/1981 nella villa di Gelli di Castiglion Fibocchi, risultavano iscritti numerosi nomi di dirigenti dei servizi segreti: Miceli, Maletti, La Bruna, D’Amato, Fanelli, Viezzer.

Vi risultavano anche Giuseppe Santovito, Grassini e Walter Pelosi, capo del CESIS dal maggio 1978.

C’erano i nomi di numerosi altri dirigenti, tra cui Musumeci, capo della segreteria di Santovito, Sergio Di Donato e Salacone, dell’ufficio amministrativo…

Risultati immagini per cia p2

I legami tra CIA e P2 sono stati confermati in un’intervista al TG1 nel 1990, dalle rivelazioni di Richard Brenneke (nella foto) e Razin, ex agenti della CIA, sui finanziamenti dei servizi segreti Usa alla P2.

Presero, quindi, l’avvio le inchieste che portarono a scoprire il ruolo della CCI, la “Kriminal Bank”, usata dai servizi segreti ( che facevano parte della Nato) e dai trafficanti internazionali di valuta, di droga e di armi…

Aveva ragione Shakespeare, già allora, a dire: “con tutti questi sbirri in circolazione (assedio militare- stato di polizia) chi controlla poi il controllore ?”…

 

Cultura dal basso contro i poteri forti e i loro servi

Rsp (individualità Anarchiche)