7 maggio 1889: sollevazione popolare a Milano

7 maggio 1889: SOLLEVAZIONE POPOLARE A MILANO

Passano i secoli ma la strategia di repressione militare, dello stato di polizia (per difendere i poteri forti), è sempre la stessa: occulto, violento e vigliacco, sempre pronto a usare qualsiasi mezzo meschino pur di reprimere il dissenso ed etichettarlo come terrorismo, per imporre l’autoritarismo e la (finta) pace sociale.

Risultati immagini per 1898 milano

Nel 1898, l’assetto formale del Regno d’Italia era quello tipico dello Stato liberale ottocentesco(repubblica monarchica), così come si era delineato anche mediante l’esperienza risorgimentale. In particolare, la partecipazione alla vita politica era ancora riservata ad una minoranza di cittadini, appartenenti ai ceti agiati della nobiltà: la scelta del suffragio censitario, adottata per motivazioni varie e talora contrastanti, era stata poi conservata, pur con progressive estensioni, anche dai governi della Sinistra storica, nonché sostenuta da un fervente repubblicano quale Francesco Crispi, soprattutto in ragione delle gravi condizioni di analfabetismo in cui, ancora alla fine del secolo, versava gran parte della popolazione italiana…..

Milano all’epoca, con quasi mezzo milione di abitanti, era la seconda città italiana più popolata dopo Napoli e già era la capitale finanziaria della nazione: la città più importante dove sperimentare nuovi modelli di una società semi-industrializzata in una fase cruciale di sviluppo ed emancipazione del ceto popolare eterodiretto da un ceto borghese milanese intellettuale e illuminato.

La situazione nazionale era già problematica per la notevole disoccupazione e i bassi salari, ma il fatto decisivo per il malcontento di massa fu l’aumento del costo del grano e quindi del pane da 35 a 60 centesimi al chilo a causa degli scarsi raccolti agrari e, in parte, all’aumento del costo dei cereali d’importazione dovuto alla guerra Ispano-Americana. Alcuni politici tentarono di organizzare la protesta in modo pacifico per poter ottenere dal governo riforme in senso democratico, ma il malessere popolare era tale che il movimentismo spontaneo di tendenza anarchica, radicale e socialista prevalse: pur non essendoci un progetto rivoluzionario, nel 1898 l’avversione popolare contro tutte le istituzioni statali e coloro che le rappresentavano toccò il suo apice in Italia.

Le prime rivolte popolari si verificarono in Romagna e Puglia il 26 e 27 aprile, e in seguito in tante città e paesi: nei tumulti diversi rivoltosi morirono. Il 2 maggio 1898, il Ministero dell’Interno, considerata la situazione generale del regno

(insurrezioni popolari), aveva autorizzato i Prefetti ad affidare, in caso di necessità, il ristabilimento dell’ordine all’autorità militare (dittatura) . Il 5 maggio, il Prefetto di Milano, barone Antonio Winspeare, comunicò al generale Fiorenzo Bava Beccaris che per il giorno seguente si temevano gravi disordini in città. Il generale provvide così a richiamare in città anche il 5º Reggimento Alpini.

Il 6 maggio 1898 verso mezzogiorno, alcuni agenti di polizia s’infiltrarono tra gli operai della Pirelli di via Galilei; approfittando della pausa pranzo, in fabbrica venivano distribuiti volantini di protesta, su cui fra l’altro stava scritto che il governo era il vero responsabile della carestia che travagliava il Paese. La polizia arrestò sindacalisti e operai: dovette muoversi Filippo Turati, deputato dal 1896, per farli rilasciare quasi tutti, e in questura ne restò solo uno. I lavoratori della Pirelli reclamarono la liberazione del compagno e la loro protesta ebbe la solidarietà degli operai di altre fabbriche cittadine.

Il giorno seguente, 7 maggio, venne proclamato uno sciopero generale di protesta al quale la cittadinanza aderì in massa riversandosi nelle strade principali della città. Agli operai provenienti dagli stabilimenti della periferia milanese, si aggiunsero quelli delle attività presenti in città, oltre a un’imponente massa di popolazione appartenente alle più varie categorie, dalle tabacchine ai macchinisti ferrotramviari. Massiccio fu anche il concorso di giovani e comunque di cittadini non organizzati, oltre alla ovvia e cospicua presenza di attivisti anarchici, c’erano anche i repubblicani, i socialisti, aderirono anche i cattolici intransigenti (per detenere, infiltrare e manovrare le masse), sostenitori del potere temporale del papa, il cui punto di riferimento era don Davide Albertario, direttore dell’Osservatore Cattolico.

Quel 7 maggio 1889 ci fu una sollevazione popolare contro le dure condizioni di vita e il generale Bava-Beccaris, ordinò all’esercito di sparare sulla folla (donne, anziani, bambini e padri di famiglia) che manifestavano a Milano contro l’aumento del prezzo del pane. Fu una delle prime stragi di stato, i morti furono più di 300.

In segno di riconoscimento per quella che dalla monarchia fu giudicata una brillante azione militare, Bava-Beccaris ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia, e il 16 giugno 1898 ottenne un seggio al Senato. Aderì al movimento interventista che propugnava la partecipazione dell’Italia alla I guerra mondiale. Favorevole al fascismo, nel 1922 fu tra i generali che consigliarono al re Vittorio Emanuele III di affidare il governo dell’Italia a Benito Mussolini. Numerosi disordini e tumulti si susseguirono in altrettanti comuni italiani sino alla I guerra mondiale. L’eco della violenza sbirresca nelle manifestazioni contro i civili, (stragi di stato), sollevò grande impressione nelle numerose comunità italiane all’estero, formate dai milioni di emigranti che, nell’ultimo quarto del XIX secolo, erano espatriati in cerca di lavoro, costretti dalle disastrose condizioni economiche nazionali.

La 1 strage di stato fu nel 1861, con la morte di Ippolito Nievo e la sparizione della nave a vapore Ercole. La nave subì un attentato alla caldaia e affondò, nascondendo in fondo al mare documenti scottanti che non dovevano vedere la luce, perché avrebbero rivelato l’ingerenza pesante del Governo corrotto di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie …..

Dietro le trame oscure del governo londinese, c’era il regno dei Savoia, Crispi e Cavour, che sovvenzionavano la milizia armata dei garibaldini contro i borboni, per l’unità d’Italia.

I poteri che dominavano il regno delle due Sicilie, prima del 1861, erano Austria e Russia.

 

Rsp (individualità Anarchiche)

26 aprile 1933: nasce in Germania la polizia segreta di stato: GESTAPO

26 aprile 1933: nasce in Germania la polizia segreta di stato: GESTAPO

Risultati immagini per himmler gestapo 1934

La GESTAPO fu la temibile polizia politica del regime nazista, creata da Hermann Göring, il 26 aprile di 82 anni fa; se le SS rappresentarono il braccio armato del nazional-socialismo, la GESTAPO ne fu la mano invisibile, un macabro spettro che trasformò la vita dell’Europa occupata in un drammatico incubo.

La famigerata polizia segreta era infiltrata in tutti gli ambienti, attraverso una rete capillare che la vedeva presente negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, tra gli operai, pronta a colpire e a materializzarsi in qualsiasi momento, comparendo dal nulla, assolvendo il compito di individuare, arrestare e deportare gli oppositori, veri o presunti, del regime; era sufficiente una semplice denuncia, anche anonima, per vedersi confinati nei campi di concentramento.

Nell’aprile del 1934 la GESTAPO entrò nell’orbita delle SS, passando sotto il controllo di Himmler, che divenne, nel giugno 1936, comandante incontrastato di tutte le polizie tedesche; una volta assunta tale carica il reichsfuhrer delle SS, ristrutturò tutto l’apparato, suddividendolo in due grandi arterie, la polizia di sicurezza (Sicherheitspolizei, diretta da Reinhard Heydrich) e la polizia d’ordine (Ordnungspolizei, diretta da Kurt Daluege); sulla base di tale riforma, se la polizia d’ordine inglobava la polizia di vigilanza (Shutzpolizei), la polizia municipale ( Gemeindepolizei) e la gendarmeria, la GESTAPO venne ricompresa, insieme alla polizia criminale (Kriminalpolizei), nella polizia di sicurezza.

Il 10/2/1936 fu il giorno del famigerato decreto Goring, che consentiva alla GESTAPO di agire su vasta scala e soprattutto nessun giudice aveva il diritto di intraprendere azioni legali contro i suoi membri; la polizia segreta si trovò quindi ad operare nell’assoluta illegalità, forte di un potere sconfinato e di un arbitrio assoluto, immune dal giudizio dei tribunali; era, di fatto, la legalizzazione del terrore.

Dotata, quindi, di un potere illimitato, la GESTAPO aveva la sua sede centrale nella Prinz-Albrechtstrasse di Berlino, ma poteva contare su sedi ramificate in ogni angolo, in ogni luogo, in ogni regione degli sterminati territori caduti sotto la dominazione della svastica.

Simbolo della feroce persecuzione del nazional-socialismo, fu messa al bando durante il congresso di Norimberga, al pari delle altre, macabre, strutture di potere create dal delirio nazional-socialista.

 

EUROGENDFOR, la nuova polizia europea con poteri illimitati

Risultati immagini per eurogendfor vicenza

 

Praticamente non ne ha parlato nessuno. Praticamente la ratifica di Camera e Senato è avvenuta all’unanimità. Praticamente stiamo per finire nelle mani di una superpolizia dai poteri pressoché illimitati. Che sulla carta è europea, ma che nei fatti è sotto la supervisione statunitense (stay behind). Tanto è vero che la sede centrale si trova a Vicenza, la stessa città dove c’è il famigerato Camp Ederle delle truppe USA.

Il Trattato Eurogendfor venne firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 da Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Italia. L’acronimo sta per Forza di Gendarmeria Europea (EGF): in sostanza è la futura polizia militare d’Europa. E non solo. Il raggio d’azione: «EUROGENDFOR potrà essere messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche» (art. 5). La sede e la cabina di comando: «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza. Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR» (art. 3).

La Gendarmeria europea assume tutte le funzioni delle normali forze dell’ordine (carabinieri e polizia), indagini e arresti compresi; la Nato, cioè gli Stati Uniti, avranno voce in capitolo nella sua gestione operativa; il nuovo corpo risponde esclusivamente a un comitato interministeriale, composto dai ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi firmatari. In pratica, significa che avremo per le strade poliziotti veri e propri, che non si limitano a missioni militari, sottoposti alla supervisione di un’organizzazione sovranazionale in mano a una potenza extraeuropea cioè gli Usa, e che, come se non bastasse, è svincolata dal controllo del governo e del parlamento nazionali.

Ma non è finita. L’EGF gode di una totale immunità: inviolabili locali, beni e archivi (art. 21 e 22); le comunicazioni non possono essere intercettate (art. 23); i danni a proprietà o persone non possono essere indennizzati (art. 28); i gendarmi non possono essere messi sotto inchiesta dalla giustizia dei paesi ospitanti (art. 29). Come si evince chiaramente, una serie di privilegi inconcepibili in uno Stato di diritto.

Il 14 maggio 2010 la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana ratifica l’accordo. Presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442: tutti, nessuno escluso. Poco dopo anche il Senato dà il via libera, anche qui all’unanimità. Il 12 giugno il Trattato di Velsen entra in vigore in Italia. La legge di ratifica n° 84 riguarda direttamente l’Arma dei Carabinieri, che verrà assorbita nella Polizia di Stato, e questa degradata a polizia locale di secondo livello. Il quartiere generale europeo è insediato a Vicenza nella caserma dei carabinieri “Chinotto” fin dal 2006. E a Vicenza da decenni ha sede Camp Ederle, a cui nel 2013 si affiancherà la seconda base statunitense al Dal Molin che è una sede dell’Africom, il comando americano per il quadrante mediterraneo-africano….

La deduzione è quasi ovvia: aver scelto proprio Vicenza sta a significare che la Gestapo europea dipende, e alla luce del sole, dal Pentagono.

Rsp (individualità Anarchiche)

STATO DI POLIZIA 4° parte: IL FASCISMO DI RITORNO (1943-1960)

STATO DI POLIZIA 4° parte:

IL FASCISMO DI RITORNO (1943-1960)

Uno dei primissimi atti legislativi del governo Badoglio, il governo dei 45 giorni, fu la “concessione delle stellette” al corpo di PS, ovvero, la sua integrazione nelle forze armate (d.l. 31/7/1943, n° 687), un gesto significativo che testimoniava una precisa volontà di gestione della politica dell’ordine pubblico con la maniera forte. Un decreto dell’anno seguente restituiva all’organismo il nome primigenio di Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza (d.Ut. 2/11/1944, n° 365). In una situazione politica confusa oltre che assai precaria (in cui oltre alla PS e ai carabinieri, organismi peraltro scompaginati, specialmente i secondi, entravano in azione numerose polizie più o meno private e segrete, tutte in reciproco contrasto e facenti un regolare uso della tortura nei loro ‘trattamenti’), l’esigenza del governo provvisorio era quella del rafforzamento della PS che era la forza di polizia conservatasi più intatta, giacché a differenza dei CC, ‘arma’ dell’esercito, non aveva partecipato agli eventi bellici. Sulla polizia poi, si poteva fare maggiore affidamento in ragione del suo tenersi relativamente ‘al di fuori della mischia’ al fine di ritardare, se era proprio impossibile evitare, gli orrori della guerra civile. La scelta di stare in mezzo alle parti in contesa, fu dovuta al fatto che “c’erano ragioni per accettare la tesi monarchica e la contraria, la fascista e l’antifascista, la tesi della fedeltà all’Asse e quella favorevole agli Alleati” mentre i carabinieri si erano in certa parte schierati dalla parte degli anglo-americani, per spirito di fedeltà alla monarchia e non per solidarietà con la resistenza, verso la quale svolsero anzi funzione di freno e di controllo. La PS sarebbe passata così dai 17.565 uomini nel 1938, ai 25.059 nel 1942, ai 31.900 nel 1943, ai 51.367 nel 1946. Nel 1945 (d.l.lt. 13 febbraio, n° 43) nelle file della PS era assorbito anche il personale del famigerato corpo della ‘polizia dell’Africa italiana’ (PAI), polizia tra le polizie adusa ai metodi più biecamente razzisti e colonialisti, guidata da alcuni tra i peggiori elementi del regime fascista. Ma nella PS entrarono anche molti partigiani, mentre i CLN riuscivano a nominare e a insediare numerosi prefetti e questori e sindaci nelle zone liberate; con la fine dell’AMG (il governo militare alleato) tutti i funzionari di nomina resistenziale vennero posti davanti alla scelta ricattatoria, accettata da comunisti e socialisti (ministro dell’interno era il ‘socialista’ Romita), di entrare nel servizio di carriera, e quindi di farsi passivi esecutori delle disposizioni che sarebbero loro venute dall’alto e che certamente non sarebbero state le più gradite ad eseguirsi per dei ‘combattenti della libertà’; oppure di abbandonare le cariche conquistate armi in pugno: la quasi totalità scelse la seconda via, tanto che, al 1/1/1947, si contavano solo 8 prefetti su 133 immessi in carriera dopo la caduta del fascismo. Alla fine del 1946 un nuovo provvedimento, in apparenza tecnico-amministrativo, purgava anche a livello di truppa la polizia dai ‘rossi’. I provvedimenti del decreto (entrato in vigore il 27/12/1946) formalmente parlavano di ‘riorganizzazione’ del corpo delle guardie di PS, ma si trattava, come si esprime una fonte ufficiale, di “ricomporre, nell’assoluta legalità, le file di un organismo che, per cause di forza maggiore, aveva perduto la fisionomia di una forza ordinata ed inquadrata su adeguate basi normative. A sostituire i poliziotti partigiani vengono richiamati in servizio vecchi arnesi sui 60, quasi tutti pratici di manette, ma che sanno pochino a leggere e scrivere, e quel che è peggio vengono presi in servizio elementi della PAI, vengono riassunti i repubblichini, i fucilatori, i collaborazionisti, persino quelli che sono stati finora in galera per crimini fascisti e che l’amnistia ha rimesso in circolazione con relativi assegni arretrati”.

Ancora una volta lo strumento precipuo della ricostruzione del regime di polizia fu il prefetto. L’assemblea costituente (comitato sul decentramento) aveva votato all’unanimità la soppressione dell’istituto prefettizio. Ma “i prefetti non furono soppressi subito, non furono soppressi in seguito, non saranno soppressi mai più”, almeno come tutori supremi dell’ordine e della sicurezza pubblica in provincia. Fu appunto questo, d’altronde, il ruolo che dell’istituto i nuovi governi repubblicani furono subito portati ad accentuare, nel clima quarantottesco dominato dalla convulsa paura del comunismo e dell’anachismo, che la chiesa e la DC inculcavano in larga parte delle masse, soprattutto piccolo-borghesi, e di fronte al quale la strategia del gruppo dirigente del PCI, rigidamente chiusa ad ogni possibilità rivoluzionaria, si rivelava assolutamente impotente.

Agli inizi degli anni ’50, nel prefetto si rifletteva il regime restaurazionista democristiano. Il maggior requisito per giudicare la capacità professionale del prefetto, divenne la sua abilità a mantenere con fermezza il controllo della sua provincia, di dominare gli agitatori anarchici e di sinistra, distribuendo equamente minacce e repressioni violente. Il 2° dopoguerra richiama per troppi versi il 1°: come nel periodo 1918-’20, tra il ’45 e il ’48 le masse chiedono “diritti”, l’atmosfera politica del paese è surriscaldata dalla tensione sociale crescente, e, mentre si ricostruiscono gli apparati della “prevenzione” appresi dal fascismo (le spese per i confidenti di polizia passano da 8 milioni, nel 1948, a 112 milioni, nel 1949!), la repressione, intesa come attacco brutale contro il movimento operaio (dunque non come la intendeva uno Zanardelli quasi un secolo avanti), diviene la nuova tattica del governo di uno stato che è irrimediabilmente rimasto poliziesco. “Ignoranza e polizia” sono le armi decisive del nuovo regime. L’attacco contro contadini, operai, studenti e tutti i militanti del movimento di classe che l’Italia degasperiana consuma in questo scorcio di anni a cavallo tra le due metà del secolo, ripete, in una certa misura, l’attacco che polizie e fascismo squadrista scatenarono tra il 1921 e il ’24 contro socialisti, comunisti, repubblicani e anarchici di allora; cosi come la riorganizzazione dei reparti celeri della PS, operata proprio in questi anni del primo dopoguerra, ricorda, nei fini perseguiti dal governo come nei metodi adottati dal “corpo mercenario,” la costituzione della guardia regia nel 1919.

 

Le imponenti lotte sociali che dalle città e dalle campagne scuotono il paese vedono ripetuti scontri, anche a carattere di massa, tra forze dell’ordine e contadini, operai, popolani; la polizia non è ancora ‘riorganizzata’ e spesso subisce l’iniziativa dei manifestanti, come a Catanzaro (gennaio 1946), dove la folla assale la prefettura e l’esattoria; ad Andria (marzo), dove la popolazione tiene per alcuni giorni in mano la città, avendo preso in ostaggio CC e agenti; a Caccamo (agosto), dove una sorta di battaglia tra popolazione e carabinieri ha come esito una dozzina di morti e un centinaio di feriti; a Roma (ottobre), punto culminante di questa fase di agitazioni a carattere insurrezionale, dove alcune migliaia di disoccupati e di lavoratori edili minacciati di licenziamento, assaliti da carabinieri a cavallo e da reparti celeri, reagiscono ingaggiando uno scontro con le forze dell’ordine che vedrà queste ultime retrocedere, lasciando via libera ai manifestanti che assalgono il Viminale riuscendo a penetrare fin nello studio di De Gasperi, che si salva fortunosamente.

Ma il 1946 rappresenta una trincea arretrata della linea padronale-governativa; solo dal 1947 in poi (anno di nascita dei reparti ‘celeri’) eliminati gli ‘alleati’ scomodi del PCI, organizzata la scissione saragattiana di

Palazzo Barberini preannuncio di quella, decisiva, dei sindacati cattolici e socialdemocratici dalla CGIL che sarebbe avvenuta poco dopo e, con tali garanzie, ottenuto l’appoggio incondizionato degli americani, la repressione e l’assassinio di lavoratori divengono premeditata norma e programma di governo. I grossi capitalisti, ritornati nuovamente al comando e ancora pieni di paura, impongono la linea politica del terrorismo di classe. La ‘celere’, la più potente organizzazione di polizia, è lo strumento principe della repressione; il ministro Scelba ne è il protagonista. Nel gennaio del 1948 un arruolamento speciale assumeva temporaneamente in servizio 18.000 guardie di PS, 2.000 sottufficiali e 300 ufficiali, sulla base di requisiti straordinariamente lati. Una circolare del capo della polizia dell’8/7/1947 indirizzata a tutti i questori della repubblica, a nome del ministro, vietò ogni comizio o assemblea all’interno delle fabbriche. I prefetti proibiscono qualsiasi forma di assembramento nelle piazze, sciolgono con la forza ogni riunione non autorizzata, impediscono qualsiasi forma di critica al governo e al ministro dell’interno in particolare (giungendo sino al ridicolo, secondo il buon costume fascista), sciolgono tutta una serie di amministrazioni comunali e provinciali rette dalle sinistre “per ragioni di ordine pubblico“. Cominciano arresti in massa dei militanti del movimento, gli stessi parlamentari comunisti e socialisti non vengono risparmiati: 172 sono i procedimenti penali intrapresi contro i parlamentari del PCI, 37 contro quelli del PSI, accusati ora per fatti relativi alla lotta partigiana, ora per “attentati all’ordine costituito”, come istigazione a delinquere (per aver esclamato un parlamentare, davanti allo scioglimento violento di un comizio, che i cittadini possono riunirsi “dove e quando avessero voluto non essendo necessario alcun permesso”) o istigazione a disobbedire alle leggi. Rinasce altresì il tristo fenomeno dello squadrismo agrario, finanziato e organizzato dai proprietari terrieri e appoggiato dalle forze dell’ordine: Il nemico principale è infatti in questo periodo il, risorgente movimento contadino, che assume, negli anni tra il 1945 e il 1950, il valore di continuazione storica nel mezzogiorno della resistenza al nazifascismo, fenomeno pressoché esclusivamente settentrionale.

Davanti alla politica del binomio Scelba -De Gasperi (come non rammentarsi di altre ‘coppie’ divenute famose nel mantenimento dell’ordine pubblico? Depretis-Nicotera, Mussolini-Bocchini), fondata sull’abuso e sulla violenza, la costituzione cominciò ad apparire a qualche mente illuminata quello che effettivamente era: “una pura e semplice esercitazione accademica che 500 sciagurati costituenti decisero di scrivere per loro passatempo, ma di cui non si tiene nessun conto!” Significativa la frase di un capitano dei carabinieri che alla domanda postagli nel corso di un dibattimento per uno dei tanti processi montati dallo scelbismo, se non avesse mai sentito nominare la costituzione, rispose: “Nessuno mi ha mai detto che io debbo conoscere la costituzione. Io conosco il codice penale e le leggi di polizia”. Lo stesso Scelba, in un’intervista concessa al Corriere della Sera l’1/9/1949, aveva precisato senza reticenze: “Quando divenni ministro dell’interno, mi resi subito conto che per fare la dittatura in Italia non occorrono leggi speciali; basta interpretare in un dato modo quelle vigenti.” Ciononostante il Partito comunista rimaneva arroccato sulla linea della difesa ad oltranza della costituzione, linea che i suoi dirigenti non furono disposti ad abbandonare neanche in seguito all’attentato del 14/7/1948 a Palmiro Togliatti. Intanto crescono gli effettivi di polizia (nel 1948 la PS contava 68.378 uomini, nel 1949, 75.604; mentre gli organici dei CC e della guardia di finanza raggiungono, le 180.000 unità complessive, si dilatano i bilanci della sicurezza pubblica (PS+CC: dai 9:8 miliardi del 1944 – ’45 ai 79,3 miliardi del 1947-’48, ai 93,3 miliardi del 1949-’50).

Tre diverse fonti danno queste cifre, sulle persone uccise da parte delle forze di polizia nel corso delle manifestazioni di piazza, delle occupazioni di terre, degli scioperi rivendicativi e politici: 60 morti nel periodo 1947- ’50; 62 morti nel periodo 1948-’50; 75 morti nel periodo 1948-’54.

La celere, è una creazione postbellica basata su una tradizione fascista e il loro metodo di lavoro è stato usato dalla polizia scelbiana. I suoi uomini credono, obbediscono, combattono. La sua funzione secondo le direttive segrete è quella di ‘garantire l’ordine pubblico, allo stato presente e in prospettiva’. Questa formula consente la più comoda interpretazione. Essa organizza ‘preventivamente’ nei minimi particolari le cariche e le sparatorie; anche ‘preventivamente’ vengono preparate ad uso della stampa governativa e indipendente le versioni relative alle armi in possesso dei lavoratori, versioni che dovranno poi giustificare l’uso delle armi da parte della polizia. La politica dell’ordine pubblico dello scelbismo: la repressione come sublimazione della prevenzione.

220px-emilio_notte_-_la_strage_di_melissa_-_19531

Due episodi, meglio di ulteriori argomenti, serviranno a esplicitare la prassi poliziesca dello scelbismo. Il 1° è esemplarmente illustrativo della rabbiosa reazione padronale al grandioso moto di occupazione delle terre, che riuscì a strappare decine di migliaia di ettari all’assenteismo dei baroni agrari: Melissa, 30/10/1949. All’alba di quella domenica un nutrito gruppo di contadini, accompagnati dalle famiglie, si incolonna verso le terre incolte del feudo Fragalà, proprietà del marchese Berlingieri: 21.000 ettari di incolto cespuglioso. Il marchese, soltanto una settimana avanti, aveva espresso, nel corso di un incontro col prefetto della provincia di Catanzaro, la propria opinione, chiara e definitiva, che non poteva che essere accolta come un ordine dal rappresentante della pubblica autorità: “Sulle mie terre”, aveva detto il marchese “quei pezzenti non ce li voglio.” Ma i pezzenti calabresi del territorio circumvicino a Melissa quell’ultima domenica di ottobre si dirigono decisi e semplici, con la coscienza di chi è nel suo diritto, proprio sulle terre Berlingieri. Vi arrivano dopo 3 ore di marcia, e subito si pongono al lavoro, con la gioia di chi suda sulla sua terra, con la fermezza che deriva loro da una miseria antica. I contadini di Melissa iniziano senza frapporre indugi a preparare il terreno per il dissodamento. Dopo una breve pausa a metà della giornata, nel primissimo pomeriggio il lavoro riprende. Sono le 14 quando un ragazzo si precipita giù dalla collina annunciando “la celere!” I contadini continuano tranquilli nella loro opera; dirà un bracciante dopo la tragedia: “Quando ho visto i poliziotti mi sono sentito tranquillo. Temevamo solo l’aggressione di qualche campiere del barone, qualche provocazione. Ora la polizia ci difenderà, mi sono detto”. I camion della celere aggirano la collina, e poco dopo un centinaio di poliziotti arrivano alle spalle dei contadini, ricurvi sulla terra. “Gettate le armi!” intima il tenente che guida il reparto. Un attimo dopo i suoi agenti ubriachi del vino appena abbondantemente tracannato in un’osteria lungo il cammino aprono il fuoco coi mitragliatori e le bombe a mano. Un ragazzo di 15 anni, Giovanni Zito, e un bracciante di 29, Francesco Nigro, muoiono subito; altre 15 persone rimangono sul terreno, tutte colpite alle spalle; Angelina Mauro, 25 anni, morirà dopo un’agonia durata 9 giorni. Non vale nemmeno la pena di raccontare lo sviluppo successivo della strage di Melissa (completata, aggiungiamo, da una brutale caccia prolungatasi nella campagna circostante per un’ora, nella quale gli sbirri si accanirono contro gli anziani, i bambini, i feriti), con le ciniche versioni della polizia, accreditate dal ministro (“I contadini ci hanno aggredito con lancio di bombe a mano che ha provocato feriti tra gli stessi dimostranti”), e con la montatura imbastita attraverso la corruzione di un medico (al fine di ottenere un certificato attestante una “ferita provocata da arma da fuoco” in un agente), e, infine, conclusa, inutile specificarlo, dall’impunità per gli assassini. Lo stesso piano militare usato al G8 di Genova nel 2001 per difendere i potenti, che quel giorno decidevano non solo i piani di business del capitale globale, ma anche a chi toccava il ruolo principale della sicurezza europea; ecco il motivo per cui è scattata la trappola degli sbirri, con metodi fascisti e sleali, studiati a tavolino per terrorizzare migliaia di manifestanti: hanno picchiato e insultato donne, anziani e bambini e torturato e umiliato i giovani, fino ad uccidere il ventenne Carlo Giuliani. E poi il solito alone di impunità secolare: dopo i processi, tutti assolti.

Il 2° episodio storico illumina l’attacco antioperaio portato avanti da Scelba e i suoi uomini: Modena, 9/1/1950, è il corrispettivo esatto di Melissa; al Sud i poliziotti assalgono i contadini schierandosi dalla parte degli agrari, al Nord attaccano gli operai schierandosi al fianco degli industriali. Il padrone questa volta è l’industriale Orsi, titolare delle omonime fonderie. In seguito alla minaccia di licenziamento di 560 operai, tra i quali è compresa la componente politica e sindacale della fabbrica. Le maestranze nell’ultimo mese del ’49 danno vita a una dura e combattiva lotta; per battere la resistenza operaia Orsi attua la serrata. Il 9 gennaio, a un mese dall’inizio della serrata, a Modena viene dichiarato lo sciopero generale a sostegno della lotta operaia. Il lungo corteo di lavoratori si dirige verso le fonderie; un impressionante schieramento di polizia lo attende. Gli operai si fermano davanti ai cancelli presidiati dalla forza pubblica. (Quale ironia definire pubblica una forza armata che funziona soltanto come presidio del potere delle classi dominanti: a Modena la polizia difendeva l’illegale serrata di un padrone e aggrediva i lavoratori esercitanti un legittimo diritto di sciopero). Non appena il corteo si arresta, la polizia incomincia a far fuoco; cadono i primi morti, i primi feriti. Un gruppo di parlamentari e sindacalisti si precipita in questura per far cessare il massacro; li attendono le due supreme autorità di pubblica sicurezza. Il prefetto assale gli arrivati accusandoli, in quanto “caporioni” degli scioperanti, dell’uccisione di 2 uomini della forza “pubblica” (naturalmente si tratta di una volgare provocazione) e conclude minaccioso: “Ritirate immediatamente tutti i vostri dalle fonderie, o qui succederà una strage! Abbiamo tante forze da sterminarvi tutti!”; “sarà un macello”, sentenzia il questore. La commissione non ha il tempo di ritornare: il macello è già avvenuto. Agli ordini di un vicequestore imbizzarrito, che da una camionetta segnala ai suoi uomini quali sono i “facinorosi” su cui indirizzare i colpi delle armi, mentre altri agenti appostati sui tetti delle case si divertono a giocare al tiro a segno, le forze dell’ordine capitalistico ammazzano 6 operai e ne feriscono 50. Per evitare la diffusione di notizie che precedano la versione ufficiale degli “scontri”, il ministro dell’interno dispone il blocco della città: il comunicato della questura, accolto naturalmente dal ministro e dalla stampa “indipendente”, affermerà che “alcune migliaia di operai assaltavano le forze di polizia presidianti gli stabilimenti, usando armi da fuoco, bombe a mano, martelli, sassi e bastoni”. Una versione davvero plausibile, codesta, se si pensa che un tale “assalto” operaio contro la polizia aveva come frutto la contusione di 3 agenti! Con spirito meno sofistico la piazza, individuando in Mario Scelba l’espressione corporea del terrorismo borghese contro gli operai in quegli anni, cantava: “ministro dell’interno è un certo Mario Scelba che spara sulla folla e poi prega il padreterno…”.

2-fonderie-riunite_9-gennaio-50

Il problema fondamentale del capitalismo italiano negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra mondiale era stato quello della ricostruzione del ciclo economico del capitale; negli anni ’50 il problema è l’incremento della produttività, il quale sfocerà nel “miracolo economico” del triennio 1960-’62. “L’interesse generale del sistema alla fine degli anni ’40 appare diverso dall’interesse generale della seconda metà degli anni ’50: prima occorreva procedere in profondità liberandosi dei rami secchi, poi sembra più necessario procedere in estensione su tutto il sistema, magari recuperando le zone ‘arretrate’, tutelando la piccola industria, facendo concessioni al settore contadino e in una certa misura alla classe operaia”. Lo scelbismo, che può essere definito come la politica dell’ordine pubblico sotto il centrismo, vive il suo periodo d’oro negli anni in cui si imposta la riorganizzazione produttiva dell’economia del paese (gli anni che vanno, grosso modo, dalla rottura del tripartito [1947] alla sconfitta della “legge truffa” [1953]): in questa fase di ricostruzione e riorganizzazione, di ripresa e rilancio, il sistema borghese si trova nell’esigenza di scoraggiare la classe operaia dalle pretese ‘eccessive’, di dissuadere il PCI da eventuali velleità diverse dal ruolo che esso stesso peraltro ha abbondantemente dimostrato di voler ricoprire, di capofila dell’opposizione di sua maestà. Di qui la linea dura, la polizia come unico mezzo di dialogo con le classi subalterne, la strategia dell’attacco contro il movimento contadino, la repressione come estremo sviluppo consequenziale dell’attività di prevenzione. La sconfitta della legge truffa segna l’avvio del “declino politico del centrismo come formula parlamentare quadripartita e metodo di governo”; De Gasperi definisce la DC un “partito di centro che guarda a sinistra”: nascono i piani che sfoceranno un decennio più tardi nel centrosinistra. Ma la strategia morbida è per il momento solo una meta anche se la fase terroristica dello scelbismo accenna a scemare, per cedere il passo a una più ‘normale’ attuazione della teoria preventiva, il bilancio di 19 morti operai per mano delle forze dell’ordine nel periodo 1951-’59 parla da sé. La costante della storia italiana contemporanea è il fuoco della polizia contro i lavoratori e i civili. I “luttuosi incidenti” dovevano venire considerati dall’opinione pubblica alla stregua di eventi inevitabili e iscritti nell’ordine delle umane cose democristiane: a tal fine tendevano ovviamente i comunicati e gli interventi di parte filogovernativa.

Mario Scelba lascia il ministero di polizia nel 1951; Fanfani e Andreotti gli succedono per 2 brevi gestioni ‘ordinarie’; quindi è di nuovo Scelba alla guida del Viminale: ma un ‘uomo nuovo’ bussa alle porte. Egli, in un discorso tenuto il 15/8/1955 a Badia Prataglia (Arezzo), vale a dire poco più di un mese dopo essersi insediato al ministero, si presenta con queste parole: “Una polizia moderna è al servizio dello Stato nella sua continuità di tradizioni e di scopi e la fatica che ogni giorno essa compie è nobilissima. Difendere le libere istituzioni rafforzare gli strumenti della difesa, aumentare il margine di sicurezza della democrazia, garantire i cittadini dell’effettivo esercizio della libertà. Una libertà che non deve essere impedimento all’esercizio della libertà altrui, ma armonia di diritti e di doveri, rispetto sostanziale di tutte le leggi, soggezione ideale e sincera ai superiori interessi della comunità nazionale: in una parola sola, alla Patria”. L’uomo che con tali nobili espressioni si insediava nel suo ministero era Fernando Tambroni. Due mesi soli più tardi il linguaggio del nuovo ministro dell’interno è radicalmente mutato: scoprendo le proprie carte nel discorso pronunciato alla camera il 15 ottobre egli afferma: “Ogni tentativo di minaccia alle istituzioni (l’ho già detto, ma mi pare che nel nostro Paese vi sia molta gente con l’ovatta nelle orecchie), e quindi di pericolo per la libertà, sarà decisamente contenuto e, ove sia necessario, senza esitazioni, e per il bene della collettività decisamente represso.” Tambroni era un fascista (aveva anche ricoperto il grado di ‘centurione’ della milizia), con in più una forte mania di persecuzione e un arrivismo personale che passava al di sopra di tutto; quale fosse la sua strategia del ‘contenimento’ e della ‘prevenzione’ si seppe con abbondanza di particolari solo nel 1960, quando le manovre anticostituzionali di Gronchi, la colpevole acquiescenza della DC, le pressioni della destra reazionaria, portarono alla presidenza del consiglio l’ex centurione dell’invitta e gloriosa milizia, il quale in 4 giorni avrebbe scatenato la polizia sulle piazze del paese ottenendo il brillante risultato di 12 morti. Ma prima degli omicidi del luglio 1960, che avvennero con l’avallo del ministro dell’interno dell’epoca, il democristiano di destra Spataro, ma a cura del capo del governo, il nostro uomo nella sua conduzione del Viminale aveva istaurato un metodo di lavoro e una prassi di polizia che riprendeva pari pari i più tipici sistemi ‘preventivi’ del regime fascista. Il neoministro infatti creò un “ufficio psicologico“, cui prepose due suoi sgherri ,e un ‘ufficio speciale di polizia politica’, affidato all’ex questore di Trieste, De Nozza che alcuni anni dopo si sarebbe distinto nel guidare le forze dell’ordine nella battaglia di piazza Cavour contro il movimento studentesco romano. Ruggero Zangrandi su Paese sera, definendo il De Nozza uomo “assai intrinseco dei servizi segreti americani” richiamava come modello di paragone l’OVRA; mentre Gianni Corbi sull’Espresso, sempre nel luglio ’60, dopo la caduta di Tambroni, scriveva che con quelle sue primissime iniziative Tambroni “sperava di riuscire a creare una polizia simile al servizio segreto che negli USA è diretto da Allen Dulles”. Il golpe del ‘piano solo‘ del luglio ’64, l’inchiesta sul SIFAR, fa capire meglio il senso delle iniziative tambroniane, che meritano tutta la considerazione che va tributata all’opera degli antesignani rispettosi delle tradizioni dei padri. Servendosi di quegli speciali ‘uffici’, Tambroni riuscì ad acquistare nell’amministrazione della pubblica sicurezza, un potere enorme di tipo personale basato su alleanze di uomini, intrighi, scambi di ‘favori’: doveva davvero trattarsi di un potere significativo se nel corso della crisi del luglio ’60 lo stesso Moro, segretario della DC, si sentiva “minacciato nella sua persona” e ricorse, in via cautelativa, alla protezione dell’arma fedelissima, la quale aveva si sparato sui cittadini proprio come la PS, ma non condivideva “l’impostazione data dal Viminale ai fatti di luglio”. Inoltre l’uso spregiudicato della polizia per pedinare, spiare, schedare avversari politici e gli stessi colleghi di partito coi quali aveva rapporti di rivalità, avevano posto Tambroni in una posizione di sicurezza da eventuali attacchi politici, dandogli in mano un abbondante materiale di ricatto e di pressione, cosa che dovette non poco servirgli a tenerlo in sella in quei difficili momenti della ‘coalizione imperfetta’ coi missini.

Gli avvenimenti verificati si nel mese di luglio del 1960 sono troppo noti perché si debbano qui rievocare particolareggiatamente: gli scontri di Genova (dove una mobilitazione decisa e cosciente della popolazione riuscì ad avere la meglio sulle forze di polizia, sconfiggendo fascisti e governativi); i morti di Licata, Palermo e Catania (qui Salvatore Novembre diciannovenne operaio edile è abbattuto a colpi di manganello: “mentre egli perde i sensi, un poliziotto gli spara addosso ripetutamente, deliberatamente. Uno, due, tre colpi fino a massacrarlo, a renderlo irriconoscibile. Poi il poliziotto si mischia agli altri, continua la sua azione. Ma Salvatore non è ancora morto: alcuni sbirri ne prendono il corpo martoriato ,e lo trascinano fino al centro della piazza dove si svolgono gli incidenti: deve servire da esempio e da orribile monito alla cittadinanza catanese: cosi finiscono gli attentatori all’ordine democratico e tambroniano. Alcuni CC rimangono a guardia del corpo che va lentamente diventando un cadavere, impedendo, mitra alla mano, a chicchessia di avvicinarsi e prestare soccorso al giovane: egli finirà dissanguato”; le cariche, rimaste famose per la tecnica multipla (con le camionette, i cavalli, gli idranti, e una coscienziosa caccia al manifestante), di Porta San Paolo a Roma. Tuttavia, il massacro di Reggio Emilia del 7 luglio, quando carabinieri e celerini spararono ininterrottamente per 40 minuti ammazzando 5 persone, merita di essere brevemente raccontato, almeno nella sua fase saliente; lo facciamo con le parole di Piergiuseppe Murgia, che al luglio 1960 ha dedicato un intero libro: “… e poi, d’un tratto, ancora tra il fumo accecante, si sente lo sgranare degli spari. La polizia spara. Spara sulla folla. La gente per un attimo si ferma, stupita. Non sa rendersi conto. Sparano da ogni parte della piazza. Sparano a distanza ravvicinata. Sugli uomini. Sparano senza sosta. Il primo a cadere è Lauro Ferioli, 22 anni, padre di un figlio. Ai primi spari, si è lanciato incredulo verso i poliziotti come per fermarli; gli agenti sono a cento metri da lui: lo fucilano in pieno petto, gli sparano sulla faccia. Dirà un ragazzo testimone: ‘Ha fatto un passo o due, non di più, e subito è partita la raffica di mitra. lo mi trovavo proprio alle sue spalle e l’ho visto voltarsi, girarsi su se stesso con tutto il sangue che gli usciva dalla bocca. Mi è caduto addosso con tutto il sangue. Intanto l’operaio Marino Serri che piangeva di rabbia si è affacciato oltre l’angolo della strada per protestare gridando: ‘Assassini, assassini!’ Un’altra raffica lo ha subito colpito e anche lui è caduto.’ Ovidio Franchi, un ragazzo operaio di 19 anni, muore poco dopo. Un proiettile l’ha ferito all’addome. ‘Ferito, cercava di tenersi su, aggrappandosi a una serranda. Un altro, ferito lievemente, lo voleva aiutare, poi è arrivato uno in divisa e ha sparato su tutti e due. Emilio Reverberi, 30 anni, operaio, ex partigiano: lo spezza in due una raffica di mitra. L’operaio Afro Tondelli, 35 anni, viene assassinato freddamente da un poliziotto che s’inginocchia a prendere la mira in accurata disposizione di tiro e spara a colpo sicuro su un bersaglio fermo. Prima di spirare Afro Tondelli dice: ‘Mi hanno voluto ammazzare: mi sparavano addosso come alla caccia’. I feriti cadono a mucchi.”

 

Rsp (individualità Anarchiche)

Intelligence in agitazione per l’Expo, il Giubileo e la Sindone: cosa si staranno inventando?

Intelligence in agitazione per l’Expo, il Giubileo e la Sindone: cosa si staranno inventando?

TERRORISMO PSICOLOGICO CREATO APPOSTA PER INCUTERE TIMORE E DISCRIMINARE IL DIVERSO, QUELLO NON FACILMENTE OMOLOGABILE, QUELLO CHE SI RIBELLA AI SOPRUSI E ALLA SOPRAFFAZIONE, FORSE UN PO’ TROPPO UTOPISTA PER QUESTO MONDO DI MERDA DOVE NON C’è NIENTE DI BUONO NE’ DI BELLO….

Anche quando successe la strage di piazza fontana, le forze del disordine portarono avanti la strategia del terrorismo psicologico, e gli anarchici vennero perseguitati , vedi l’esempio di Pinelli, ucciso in questura dagli sbirri (codice rocco) per nascondere una strage organizzata da loro, e sovvenzionata dalla Nato, che addestrò la destra per compiere le stragi di stato e poi incolpare i movimenti di lotta che soprattutto in quel periodo protestavano per le condizioni di sfruttamento e di miseria subita dai lavoratori nel periodo del bum economico (solo per la borghesia), e per ottenere lo statuto dei lavoratori che prevedeva più diritti per gli operai ( art.18). Il Patto atlantico usa e addestra la destra per attuare il piano anti comunista e anti anarchico, la strategia della tensione ……. Ci vogliono TUTTI mansueti e OMOLOGATI, PER POI MANOVRARCI MEGLIO e ARRICCHIRSI ALLE SPALLE DEL PIU’ DEBOLE, con crimini ambientali, sanitari, economici e finanziari (crisi) ……..

Il terrorismo psicologico serve anche per giustificare I MILIARDI DI EURO CHE IL MINISTERO DEGLI INTERNI DISTRIBUISCE( ATTRAVERSO GARE D’APPALTO) ALLE 3 FORZE MILITARI, per creare un clima da guerra civile, imporre la dittatura militare e stabilizzare il potere politico che, in quel momento, domina di più in Italia (centro destra )……

Risultati immagini per sindone 2015

02 aprile 2015

Allarme dei servizi per la sicurezza della Sindone

L’ostensione della Sindone a Torino, insieme all’Expo e al Giubileo è uno dei tre prossimi grandi eventi sui quali si stanno concentrando le attenzioni dei servizi segreti italiani. A quanto si apprende, questo avrebbe detto il direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi), generale Arturo Esposito, nel corso di un’audizione davanti al Copasir. Il lavoro si concentrerà sui luoghi più sensibili, come aeroporti, porti e stazioni. Sarà un “lavoro delicato”, è stato spiegato, che durerà circa 15 mesi.

Le minacce non sarebbero legate a gruppi jihadisti, ma nel corso degli eventi ci potrebbero essere “momenti di tensione” quando arriveranno alcune delegazioni di capi di stato e di governo. C’è quindi una “attenzione particolare” da parte dei servizi, anche per alcune manifestazioni in programma nel corso del mese di aprile e per quella del Primo maggio, anche perché, sarebbe ancora stato osservato, ci sarebbe “fermento” nel mondo anarco-insurrezionalista, che vorrebbe’ farsi sentire’ in momenti diversi.

Compagni, bisogna restare in allerta!! Attenzione alle trappole e alle provocazione sbirresche, la storia ci insegna che quando vogliono creare un clima civile di terrorismo psicologico, dobbiamo aspettarci di tutto……

Ricordiamo cosa diceva già allora Shakespeare: Ma poi chi controlla i controllori? ……

E intanto quei porci corrotti (massomafiosi) dei nostri politici, sprecano e si abbuffano alla faccia di noi poveracci …..

 

03 aprile 2015

Sanità, il manager è indagato per gli appalti truccati: la Regione Lombardia lo reintegra

La Regione Lombardia reintegra Mauro Lovisari, direttore generale indagato nell’inchiesta sulla “cupola” di Gianstefano Frigerio. Il manager era stato sospeso a maggio, dopo la richiesta d’arresto a suo carico. Su cui, dopo un iter fatto di ricorsi e contro ricorsi, si è espressa a titolo definitivo la Cassazione a febbraio, rigettandola. Di qui il reintegro, anche se in una sede diversa: dal 13 aprile Lovisari sarà dg dell’Asl di Sondrio. E non dell’ospedale di Lecco, dove era dal 2011 in quota Lega e dove ora resterà come commissario Giuseppina Panizzoli.

La delibera che sancisce il reintegro (pensata anche per prevenire ricorsi davanti al tribunale del lavoro) parte dalla valutazione fatta dalla commissione che la Regione ha istituito per indagare sulla questione. E si ingarbuglia non poco. Visto che nell’atto si spiega che Lovisari, che per i pm dopo l’intermediazione di Frigerio avrebbe favorito l’aggiudicazione di un appalto, secondo la commissione avrebbe violato «i canoni di riservatezza (se non segretezza)» sulla procedura di gara. Con una condotta incompatibile «con gli obblighi di servizio» nonché con «i principi etico comportamentali contenuti nel codice etico aziendale».

Nonostante ciò la giunta sceglie di far rientrare il manager in servizio. Ritenendo il rapporto fiduciario tra il dg e la Regione «incrinato ma non definitivamente pregiudicato». La scelta fa seguito a quanto deciso anche per i massomafiosi: Paolo Moroni (ex dg di Melegnano, ora all’Asl di Lecco) e Luca Stucchi (nella foto sotto), numero uno del Carlo Poma a Mantova. Anche loro coinvolti in inchieste e sospesi, ma tornati ai vecchi ruoli.

Rsp (individualità Anarchiche)

Carlo Giovanardi verso il processo dopo le parole su Federico Aldrovandi

 

01 aprile 2015

Carlo Giovanardi verso il processo dopo le parole su Federico Aldrovandi, il ragazzo adolescente, picchiato e ucciso da 4 sbirri fascisti (1 contro 4), che forse lo avevano scambiato per un immigrato senza documenti …..

La Giunta immunità del Senato vota l’autorizzazione a procedere per diffamazione aggravata.

Giovanardi aveva replicato alle accuse di diffamazione sostenendo di non aver mai detto che “la foto fosse modificata”. “Ho sempre detto che la foto mostrata dalla signora Moretti era vera, altra questione è rappresentata dalle differenti versioni che nel processo e fuori dal processo sono state date di quello che appare nella foto.”

Sempre per quanto riguarda il caso Aldrovandi, solo pochi giorni fa la Corte dei Conti ha deciso che i 4 agenti condannati per la morte del ragazzo dovranno risarcire lo stato pagando 560mila euro.

Giovanardi dichiara ai mass media: “Io non chiedo scusa. Quella foto non c’entra niente con le cause della morte di Aldrovandi. Io non mi sono mai permesso di dire nulla di irriguardoso nè di offensivo nei riguardi della signora Moretti, di cui comprendo benissimo il dolore ma non per questo non partecipo anche al dramma di 4 poliziotti la cui vita è stata rovinata da quel tragico episodio senza nessun comportamento doloso da parte loro”…..

Siamo in uno stato di polizia, dove gli assassini, delle forze del disordine (strategia della tensione) uccisero con feroce violenza un adolescente, rimanendo inpuniti……

Di Giovanardi che dire: questo è il livello infido di chi ci governa, persone spregiudicate, pronti a vendersi al più forte, e a schiacciare il più debole, pur di arrivare al potere, arrogante, meschino e ipocrita …..

Quando l’infamia e la spregiuticatezza sostituisce l’etica e la morale, vengono fuori esseri ignobili come Giovanardi che rappresenta il livello mediocre dei nostri politicanti (mangia pane a tradimento) …..

Scandaloso Carlo Giovanardi, oramai erettosi a simbolo della volgarità punitiva in salsa emiliana. Anche nel febbraio 2013 espresse parole di odio nei confronti di Ilaria e Stefano Cucchi, rei a suo dire di avere rovinato la vita a tre poliziotti “innocenti” che guadagnano soli 1200 euro al mese. Evocando la retorica pasoliniana intorno alle forze dell’ordine e mettendosi ciecamente al loro fianco, Giovanardi cerca di rastrellare qualche voto tra coloro che credono che manganello e olio di ricino siano la ricetta sociale migliore per raddrizzare la schiena a chi non ha stili di vita borghesi e salottieri. Carlo Giovanardi si definisce un cattolico praticante. Proviene dall’area centrista, prima di essere approdato al Pdl.

Se Giovanardi fosse un pesce, sarebbe un pesce gatto, perchè sguazza bene nel torbido e nella melma….

Rsp (individualità Anarchiche)

21/3/1978 viene emanato il cosiddetto “decreto Moro”

21/3/1978 VIENE EMANATO IL COSIDDETTO “DECRETO MORO” 

moro-e-cossiga
Dopo 6 giorni dal sequestro Moro (che fu ucciso perchè rivelò ai suoi carcerieri cos’erano Gladio e i nuclei clandestini dello stato, segreti top secret, poi desecretati nel 1991), “la situazione precipita”…. o meglio, così vorrebbe raccontarcela lo stato. Ma prima di Moro la situazione era già precipitata, il restringimento delle libertà individuali era in corso da tempo, come è successo in Grecia, in Portogallo, in Cile e in Spagna con Franco, dove volevano imporre la dittatura militare attraverso colpi di stato e stragi, per poi spartirsi il potere politico, economico, finanziario e militare.
Moro aveve rivelato un segreto di stato, come aveva fatto Sossi che fu poi liberato. Sossi si salvò perche rivelò un segreto italiano (il doppio Sid) e non internazionale come fece Moro …
Il giudice Sossi era allora il pubblico Ministero nel processo al Gruppo XXII Ottobre (organizzazione della Sinistra extraparlamentare, attiva a Genova tra il 1969 ed il ’71). Sossi viene rapito il 18/4/1974. Due i brigatisti che afferrano materialmente Sossi. Uno è Bonavita, l’altro è l’infiltrato nelle Br dell’Ufficio Affari Riservati, Marra detto Rocco.
Rocco è un paracadutista, addestratosi in Toscana e in Sardegna all’uso delle armi e degli esplosivi (proprio come gli appartenenti a Gladio) che, prima di infiltrarsi nelle Br, si era specializzato nella pratica della “gambizzazione”, un’arte per la quale farà da istruttore ai brigatisti… A differenza di Pisetta, dopo il sequestro Sossi, “Rocco” non venne bruciato… Proseguì alacremente la sua attività nelle Br per conto dell’Ufficio affari riservati; Pubblico Ministero nel processo al Gruppo XXII Ottobre. Sossi, subito dopo la sua liberazione non si fidò della questura e o dei carabinieri, ma se ne tornò solitario a Genova in treno e infine si presentò alla Guardia di Finanza della sua città….
Lo sbaglio di Moro fu quello di non rendere pubblici i colpi di stato avvenuti in Italia, da buon cattolico codardo perdonò gli esecutori, e impose il segreto di stato, quella fu la sua condanna perchè coprì i mandanti ( anticomunisti) del suo sequestro.
Il 21/3/1978 viene emanato il cosiddetto “decreto Moro” (convertito, con alcune modifiche, nella legge n.191 del 18/5/1978). In questo modo avviene il passaggio dalla “società disciplinare” alla “società del controllo” (dittatura militare). Il governo approva il decreto anti-terrorismo, restituendo alle forze dell’ordine parte di quei poteri che negli ultimi 10 anni sono stati attribuiti alla magistratura per “assicurare ai cittadini maggiore democrazia”. È introdotta una nuova figura di reato, quella del sequestro politico: pene previste, da 30 anni di carcere all’ergastolo (in caso di morte dell’ostaggio). La polizia può fermare le persone da identificare e trattenerle per un massimo di 24 ore; può interrogare anche in assenza di un avvocato (il contenuto dell’interrogatorio non potrà comunque essere utilizzato nel processo); potrà ricorrere alle intercettazioni telefoniche anche per mesi, col semplice rinnovo del nulla osta del magistrato.

Oronzo Reale
La legge Reale n. 152 “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”, è precedente al decreto Moro, risale infatti al 22 maggio 1975. La legge fu promulgata nella VI Legislatura sotto il 4° governo Moro e il principale redattore della legge fu il Ministro di Grazia e Giustizia, appartenente al Partito repubblicano italiano, Oronzo Reale (nella foto sopra).
Anche in Italia, con l’attuazione della “strategia della tensione”abbiamo avuto almeno 5 colpi di stato militari:
piano Solo 1964, fatto dalla brigata dei carabinieri per contrastare la prima formazione di governo di centro/sinistra fondata da Moro; il golpe Borghese (colpo di stato militare) fu attuato la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) e organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale. Borghese, noto anche col soprannome di principe nero, era in precedenza conosciuto per essere stato il comandante della Xª Flottiglia MAS fin dal 1º maggio 1943 e dopo l’8 settembre 1943 col proprio reparto aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana; il golpe bianco 1972, che avrebbe dovuto avvenire in Italia negli anni ’70, al fine di costringere l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone a nominare un governo che mettesse mano alle riforme istituzionali, per ostacolare, nell’ambito della guerra fredda contro l’Unione sovietica, l’ascesa del Partito comunista italiano o di altri gruppi comunisti, e realizzare una repubblica semipresidenziale come quella di Charles de Gaulle in Francia. Il progetto, fu promosso principalmente dagli ex partigiani antifascisti e anticomunisti come Edgardo Sogno, militare e agente segreto italiano. Eroe della Resistenza, diresse l’Organizzazione Franchi, un gruppo di partigiani badogliani, di fede politica monarchica, liberale; colpo di stato Rosa dei venti attuato nel 1973. La Rosa dei venti fu un’organizzazione segreta italiana di stampo neofascista, collegata con ambienti militari successivo a quello denominato “Golpe Borghese”, che aveva annoverato nelle sue file esponenti di primo piano come Junio Valerio Borghese, Stefano Delle Chiaie e altri membri e simpatizzanti della destra eversiva italiana, oltre ad alti membri delle forze armate e dei servizi segreti della NATO; il G8 di Genova del 2001 (strategie di colpo di stato – stato di polizia), e 12 stragi di stato: partendo dalla “infanzia delle stragi”, Portella delle ginestre, del 1947, seguita dalle stragi sui treni del 25/4/1969, piazza Fontana il 12/12/’69, Gioia Tauro del 31/5/’72, di nuovo a Milano il 17/5/’73, piazza della Loggia (Brescia) del 28/5/’74, il 4 agosto 1974 una bomba esplose su una carrozza del treno Italicus, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, il 2 agosto 1980 una bomba esplose nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, il 23/12/’84 una bomba esplose su una carrozza del Rapido 904, ancora presso la Grande Galleria dell’Appennino a San Benedetto Val di Sambro, fino ad arrivare alla strage della Uno bianca del dicembre 1990, Capaci 3/5/’92, via d’Amelio 19/7/’92 e le altre stragi del 1992/’93.
Successivamente le sanzioni previste dall’art. 5 furono ulteriormente inasprite dal decreto-legge 27 luglio 2005 n. 144, convertito in legge 31 luglio 2005 n. 155 (cosiddetta “legge Pisanu”).
Ma quali erano gli intrighi e le dinamiche geopolitiche, dietro al rapimento Moro?
Iniziamo ad analizzare la nascita di “stay behind”.
I servizi segreti, italiano e americano, sottoscrivono un accordo relativo all’organizzazione della rete clandestina denominata “Stay Behind”. Sono le basi dell’operazione “Gladio”, che ha l’obiettivo di svolgere in Italia attività di controllo e contrasto del Partito Comunista. Fu organizzata dalla Central Intelligence Agency per contrastare una ipotetica invasione dell’Europa occidentale da parte dell’Unione Sovietica e dei paesi aderenti al Patto di Varsavia, attraverso atti di sabotaggio, guerra psicologica e guerriglia dietro le linee nemiche, con la collaborazione dei servizi segreti e di altre strutture appartenenti al Trattato Nord Atlantico, conosciuto come Patto Atlantico fondato nel 1949 e stipulato tra le potenze dell’Atlantico settentrionale (“guerra fredda”). Le 12 nazioni che lo siglarono (per contrastare Yalta e il suo antifascismo) saranno poi le prime fondatrici della NATO e furono: i servizi segreti degli Stati Uniti, del Regno Unito, Canada, Francia, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Islanda e Norvegia. In seguito vi aderirono anche: Grecia (1952), Turchia (1952), Germania Ovest (1955), Spagna (1982), Polonia (1999), Rep. Ceca (1999), Ungheria, (1999) Bulgaria (2004), Estonia (2004), Lettonia (2004), Lituania (2004), Romania (2004), Slovacchia (2004), Slovenia (2004), Albania (2009), Croazia (2009).
Francesco Cossiga, che ebbe, durante il periodo in cui era sottosegretario alla difesa, la delega alla sovrintendenza di Gladio, e che spesso è stato indicato come uno dei fondatori, affermò molti anni dopo che «i padri di Gladio sono stati Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del Sifar. Io ero un piccolo amministratore». Affermò altresì che gli uomini di Gladio erano ex partigiani bianchi, che nel ’45 fecero parte del patto di Yalta ….
La mattina del 16 marzo 1978 al Comitato di crisi del Viminale istituito per la liberazione di Moro, tra i convocati c’erano molti affiliati alla loggia P2.
La P2, i cui affiliati controllavano i punti chiave dello stato, fu chiara soltanto dopo il ritrovamento della lista a Casa di Licio Gelli, il 17/3/1981. In questa lista erano presenti diversi personaggi che ricoprivano ruoli importanti nelle istituzioni durante il sequestro Moro e le successive indagini, alcuni promossi ai loro incarichi da pochi mesi o durante il sequestro stesso: tra questi il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi, il prefetto Walter Pelosi, direttore del CESIS, il gen. Giulio Grassini del SISDE, l’ammiraglio Antonino Geraci, capo del Sios della Marina Militare, Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, il gen. Raffaele Giudice, comandante generale della Guardia di Finanza ed il gen. Donato Lo Prete, capo di stato maggiore della stessa, il generale dei Carabinieri Giuseppe Siracusano (responsabile per quello che riguardava i posti di blocco effettuati nella capitale durante le indagini sul sequestro, che vennero considerati ben poco efficaci dalla Commissione Moro).
Giovanni Senzani (in una recente foto, sotto), si sospetta che appartenesse già alle BR mentre era in corso il sequestro di Aldo Moro, di cui sarebbe stato una delle menti operative. E’ stato il capo più ambiguo delle Br: E’ nato a Forlì nel ’42 e faceva parte dell’alta borghesia. E’ ricordato soprattutto per il crudele rapimento in stile mafioso del giovane Roberto Peci, colpevole di essere fratello di un “pentito”, che egli “interrogò” per settimane e di cui filmò minuziosamente l’esecuzione.
Criminologo e docente, fu consulente del ministero di Grazia e Giustizia ed ebbe incarichi universitari a Firenze e Siena. Visse per anni una doppia vita, lavorando per il ministero e operando ai vertici delle Brigate Rosse. A Roma, negli anni ’70 abitava in un appartamento che condivideva con un informatore dei servizi segreti che era anche produttore cinematografico di film porno…..
Scrisse persino un libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e Liberazione!

senzani

E’ più facile militarizzare un civile che civilizzare un militare! (scritta murale)

 

Rsp (individualità Anarchiche)

 

Intrecci massomafiosi – Tangenti su Grandi opere -Tav – Expo: bufera sul ministro Lupi

Lupi

16 marzo 2015
Intrecci massomafiosi – Tangenti su Grandi opere -Tav – Expo: bufera sul ministro Lupi
Quattro arresti e oltre 50 indagati
Nel mirino la gestione illecita degli appalti delle cosiddette Grandi opere. Tra i 4 arrestati c’è il superdirigente del Ministero dei Lavori Pubblici (ora consulente esterno) Ercole Incalza. Gli altri sono gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, e Sandro Pacella, collaboratore di Incalza. Agli indagati, tra cui ci sarebbero anche dei politici, vengono contestati i reati di corruzione induzione indebita, turbata libertà degli incanti ed altri delitti contro la Pa (pubblica amministrazione). Il valore delle gare era aumentato del 40%.
Spunta anche il nome di Antonio Acerbo, l’ex manager di Expo già arrestato lo scorso ottobre nel filone d’inchiesta milanese sulla ‘cupola degli appalti’. E’ accusato di turbativa d’asta per aver pilotato la gara per il ‘Palazzo Italia’.
“Stefano Perotti -scrive il gip di Firenze nell’ordinanza di custodia cautelare per i 4 arrestati nell’inchiesta sui grandi appalti- ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi”, figlio del ministro Maurizio Lupi.
Tutte le principali Grandi opere (in particolare gli appalti relativi alla Tav ed anche alcuni riguardanti l’Expo, ma non solo) sarebbero state oggetto di un “articolato sistema corruttivo che coinvolgeva dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori”.
Le indagini sono coordinate dalla procura di Firenze, perché (sempre secondo quanto è stato possibile apprendere) tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia.
Le ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione dalle prime ore di questa mattina a Roma e a Milano, con decine di perquisizioni nei domicili degli indagati e anche negli uffici di diverse società tra cui Rfi e Anas international Enterprise. In primo piano nell’indagine, i rapporti tra il manager dei lavori pubblici Ercole Incalza e l’imprenditore Stefano Perotti cui sarebbero state affidate nel tempo la progettazione e la direzione dei lavori di diverse grandi opere in ambito autostradale e ferroviario, dietro compenso.
Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza (definito “potentissimo massone e dirigente” del ministero dei Lavori Pubblici, dove è rimasto per 14 anni, attraversando 7 governi, fino all’attuale) il principale artefice del “sistema corruttivo” scoperto dalla procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di ‘dominus’ della Struttura tecnica di missione del ministero dei Lavori pubblici, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, col diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati. Riguardo agli altri due arrestati, Pacella è un funzionario del ministero, stretto collaboratore di Incalza, così come gravitava nell’ambito del dicastero anche Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato.
E’ un paese il nostro in cui la corruzione è un tumore come la mafia”. Lo ha detto, a margine di un’iniziativa a Firenze, il prefetto del capoluogo toscano, Luigi Varratta, in merito all’inchiesta sulle grandi opere. “Sono dell’avviso -ha aggiunto- che la corruzione va combattuta come la criminalità organizzata.” Il procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo ha reso noto che “il totale degli appalti affidati a società legate a Perotti è di 25 miliardi di euro”……
Fra gli indagati anche politici ( massomafia) già sottosegretari come Vito Bonsignore, ex Forza Italia e Ncd e Antonio Bargone, Pd ed ex sottosegretario ai lavori pubblici nei governi Prodi e D’Alema, in relazione alla promessa della direzione lavori all’ingegnere Stefano Perotti da parte della sociatà consortile Ilia Orme che proponeva il project financing per la realizzazione dell’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre. Tra i politici coinvolti anche Stefano Saglia, ex Pdl e Ncd ed ex sottosegretario al Ministero per lo sviluppo economico per turbativa d’asta in relazione al bando di gara emessa dall’autorità portuale di Trieste per il collaudo della Hub portuale di Trieste in cui compare anche il nome di Rocco Girlanda, ex Pdl.
Uno degli imprenditori arrestati vive a Firenze ed è titolare di una società di ingegneria impegnata in alcuni grandi lavori, come Tav Firenze, City Life e Fiera Milano, Metro 5 Milano, Fiera di Roma, Autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’inchiesta nasce dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città…..
Il gip annota che il 21/10/2014, uno degli indagati, Giulio Burchi, “racconta al dirigente Anas, ingegner Massimo Averardi, che Stefano Perotti ha assunto il figlio del ministro Maurizio Lupi”. Segue l’intercettazione: “Ho visto Perotti l’altro giorno, tu sai che Perotti e il ministro sono non intimi, di più. Perché lui ha assunto anche il figlio, per star sicuro che non mancasse qualche incarico di direzione lavori, siccome ne ha solo 17, glieli hanno contati, ha assunto anche il figlio di Lupi, no?”. “Perotti -continua il gip- nell’ambito della commessa Eni, stipulerà un contratto con Giorgio Mor, affidandogli l’incarico di coordinatore del lavoro che, a sua volta, nominerà quale ‘persona fissa in cantiere’ Luca Lupi” per 2 mila euro al mese.
Nell’ordinanza si parla anche di regali che gli arrestati avrebbero fatto al ministro Lupi e ai suoi familiari: un vestito sartoriale e un Rolex da 10mila euro al figlio, in occasione della laurea. A regalare il vestito al ministro sarebbe stato Franco Cavallo, uno dei 4 arrestati oggi che secondo gli inquirenti aveva uno “stretto legame” col ministro (ciellino esoso) Lupi, tanto da dare “favori al ministro e ai suoi familiari”……
Ma ricordiamoci cosa dichiarò il 22/12/2014 ai mass media quell’ipocrita ciellino maledetto Lupi, in visita in Valle di Susa, (facendo riferimento alle recenti assoluzioni a Torino e all’incendio a Firenze) : “Questo è terrorismo.” ….
Lupi arrivò a Chiomonte poco dopo la sentenza che scagionò dall’accusa di terrorismo i 4 anarchici arrestati a dicembre 2013.
Lupi (ciellino ambizioso e cattofascista) per giustificare il business dell’alta velocità e l’invasione militare, dichiara sui mass media: “Proprio a causa di quelle azioni di sabotaggio, i costi del cantiere sono aumentati di 20 milioni”…..
Il 27/1/2015 il ministro dei Trasporti e alle Infrastrutture Maurizio Lupi commentò la sentenza del maxi processo No Tav dichiarando: «Oggi il tribunale di Torino ha giustamente condannato per violenza a pubblico ufficiale, lesioni e danneggiamento 47 attivisti No Tav per gli incidenti provocati in Val di Susa nell’estate del 2011». Di 53 imputati, 47 sono stati condannati per un totale di 140 anni di carcere. Pene ingiuste e spropositate per dei compagni che lottano per un mondo più giusto, contro il business della massomafia e contro l’invasione militare che reprime e discrimina un movimento che, per piu di 20 anni ha resistito e lottato contro un’opera inutile e dannosa per l’ ambientale e i suoi abitanti…..
Ma chi è questo grosso stronzo ciellino infame? È stato vicepresidente della Camera dei deputati per il Popolo della libertà per la XVI legislatura, riconfermato nella XVII fino alla nomina, dal 28 aprile 2013 al 22/2/2014. Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del governo Letta, carica riconfermata nel Governo Renzi (scautino ambizioso, cattosinistroide).
La sua carriera politica è iniziata nel 1993 come consigliere comunale a Milano, della Democrazia Cristiana, un partito cattolico che governò per 20 anni come una dittatura… E per non rinunciare al potere politico militare e finanziario, aderì anche al piano militare della strategia della tensione (stragi di stato). Lupi, ciellino infame e ipocrita è stato indagato per tentata truffa e tentato abuso d’ufficio per la concessione a una federazione della Compagnia delle Opere della Cascina San Bernardo, vicino a Chiaravalle (sede storica dei templari…), e sul suo uso post-ristrutturazione, insieme al collega Verro, membri di Forza Italia. Comprarono profumatamente gli avvocati (come fa la mafia, che garantisce gli amici degli amici) e si fece raccomandare dal plurindagato ciellino Formigoni, per non pagare i reati commessi, quindi da impuniti, vennero prosciolti in udienza preliminare…..
Nel gennaio 2011 ha firmato, insieme a Roberto Formigoni ed altri, una lettera aperta per chiedere ai cattolici italiani di sospendere ogni giudizio morale nei confronti del pedofilo massone P2 Silvio Berlusconi, indagato dalla procura di Milano per concussione e prostituzione minorile. Il 16/11/2013, contestualmente alla sospensione delle attività del Popolo della Libertà e al rilancio di Forza Italia, aderisce al Nuovo Centrodestra guidato da Angelino Alfano. Il camaleonte Lupi, dopo aver sostenuto il dimissionario Governo Letta, assicura la fiducia anche al Governo Renzi, che lo conferma Ministro dei Trasporti……
Nel febbraio 2013, Lupi senior è stato indagato dalla Procura della Repubblica di Tempio, che avrebbe ipotizzato nei suoi confronti il reato di concorso in abuso in atti d’ufficio, per aver nominato (raccomandato) a commissario dell’Autorità portuale sarda, incarico che varrebbe 250 mila euro l’anno, l’ex senatore del PDL Fedele Sanciu, il quale non aveva le competenze specifiche né i titoli accademici per poter ricoprire il ruolo…..

Libertà per gli anarchici/ anarchiche No Tav arrestati/e
Ribellarsi alle ingiustizie sociali è un diritto !!!

Sole e Baleno sono vivi e lottano insieme a noi, le nostre idee non cambieranno mai !!!!
Terrorista e stragista è lo stato e i suoi apparati militari occulti

Rsp (individualità anarchiche)

PLAZA DE MAYO, Nora sfida chiesa e governo

argentina

04 marzo 2015
Plaza De Mayo, Nora sfida Chiesa e governo

‘In nome dei nostri figli, riaprite gli archivi’…..

“Il capo dell’esercito era ufficiale nella zona dove mio figlio e altri giovani furono inghiottiti dal regime della dittatura militare”.
Parla la madre di un desaparecido.
Sono passati 38 anni e Nora, di Carlos Gustavo, non ha mai saputo più nulla.
Quello che sa è che l’attuale capo dell’esercito, Cèsar Milani, nominato dalla presidente Cristina Kirchner, “si è reso responsabile di violazione dei diritti umani” e potrebbe essere stato coinvolto nella sparizione di suo figlio o in quella di altri desaparecidos. Nè i governi che si sono succeduti né la Chiesa hanno voluto fare piena luce sulla pagina nera della storia del suo Paese quando in Argentina tra il 1976 e il 1983 c’è stata la messa in pratica sistematica di un terrorismo di Stato da parte di una dittatura sanguinaria con sequestri, torture, omicidi di giovani
oppositori politici cui strapparono anche i neonati.
Dal lontano 30 aprile del 1977, quando per la prima volta lei e altre 13 madri, decisero di andare in Plaza de Mayo a manifestare di fronte alla sede del governo trasformando il dolore per la perdita dei propri figli in coraggio nel fronteggiare la dittatura, le sue cariche a cavallo e le sue crudeli vendette, Nora non si è mai arresa e non intende farlo ora. Il movimento delle Madres de Plaza de Mayo, che ha unito migliaia di donne in quella piazza simbolo, da quel sabato e poi tutti i giovedì da allora sino ad oggi, è ora raccontato nei libri di scuola dei suoi nipoti come un pezzo fondamentale nel processo di democratizzazione in Argentina. Ma lei, che oggi ha 87 anni, non ci pensa proprio a farsi rinchiudere tra le pagine di un libro e ritiene, contrariamente ad altre Madres che hanno “diluito” la loro lotta, che l’impegno per la ricerca della verità debba proseguire senza sconti.
Nora Cortinas non ha mai saputo più nulla di suo figlio Carlos Gustavo dopo che la dittatura lo ha inghiottito insieme ad altri 30mila desaparecidos. E da questa donna cattolica parte una sfida a Papa Francesco, che all’epoca ebbe un ruolo di peso come Provinciale dei gesuiti in Sud America. “Si vanta di essere moderno: dimostri la sua modernità chiamando l’episcopato argentino e ordinando che vengano aperti gli archivi della Chiesa per fare piena luce su quello che avvenne”.
Quando l’attuale capo dell’esercito fu nominato, attacca Nora, la presidente Kirchner “sapeva” dei “sospetti” su Milani ma lo ha nominato lo stesso….
Niente sconti neanche alla Chiesa da questa donna: “Sono dimostrate le complicità dei vertici con la dittatura, cappellani militari davano l’estrema unzione ai desaparecidos prima che questi venissero gettati nel Rio de la Plata, il vertice, 4 o 5 vescovi, di cui solo uno credo oggi sia vivo, sono sempre stati schierati col regime” e non c’è “mai stato un mea culpa”, ricorda Nora Cortinas.
Una cosa è certa: gli anni della dittatura non sono stati ancora raccontati nella loro interezza, ci sono processi in corso, alcune condanne, e verità che, nonostante i passi avanti, incontrano resistenze. “Ho tre nipoti e ho tre bisnipotine e continuerò a lottare fino a quando mi rimarrà l’ultimo alito di vita”, afferma questa donna dall’energia inesauribile, con l’ostinazione di chi non intende scendere a compromessi su questioni che non ritiene negoziabili…..
Nora, sostiene che i Kichner hanno messo in atto un’operazione per “cooptare” il movimento delle Madri di Plaza de Mayo….
Il 29 gennaio scorso, a pochi giorni dal misterioso omicidio/suicidio del giudice che stava indagando su Cristina Kirchner e che ha messo a nudo la fragilità della democrazia argentina, a Plaza de Mayo c’erano due gruppi di donne arrivate a distanza di un quarto d’ora l’uno dall’altro. Nora era tra queste, giunte come tutti i giovedì a spiegare a chi ha voglia di fermarsi perché la loro lotta non è finita, con uno striscione dove si ricordavano i 30mila detenutos-desaparecidos vittime della dittatura.
Sul numero dei 30mila detenutos-desaparecidos in Argentina ancora si discute, con chi tiene a puntualizzare che sono stati di meno, anche se bastano le frasi del mai pentito dittatore Videla (finito in carcere solo nel 2003 e morto quasi due anni fa) a dare la misura di quanto è avvenuto. Videla amava ripetere: “prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi”.
Le vetrate dell’Esma, la scuola di addestramento della Marina che durante la dittatura si era trasformata (come altri luoghi sparsi in tutta l’Argentina) in scenario dell’orrore, sono ricoperte da migliaia di piccole foto che ritraggono i volti dei desaparecidos, foto caparbiamente conservate e diffuse dalle madri in tutti questi anni alla ricerca di qualsiasi notizia potesse restituire qualcosa, qualsiasi cosa, sui loro figli inghiottiti dal regime. Certamente quello che sappiamo è che sono migliaia, come sappiamo che ai prigionieri veniva dato un numero, da 1 a 999, e che a partire dal millesimo desaparecido i militari ricominciavano a contare. Si è scoperto che lo stesso numero era appartenuto a più detenuti”….
I bambini strappati dal seno delle proprie madri, che sono stati affidati a famiglie di militari o legate al regime, si stima siano stati circa 500. Di questi, grazie alla ricerca instancabile delle loro nonne, che si costituirono nel movimento delle Abuelas, ne sono stati “recuperati” sinora 116. Un processo, quello della identificazione, lungo e doloroso, rifiutato peraltro da alcuni a causa dell’enormità nello scoprire che chi ti ha cresciuto è stato il carnefice dei tuoi veri genitori.
Tanto ancora è da ricostruire e non solo in Argentina: pochi giorni fa, nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, si è aperto il processo Condor (dal nome del Piano messo in atto negli anni ’70 capeggiato dagli Stati Uniti in diversi Paesi del Cono Sud dell’America latina per imporre il neoliberismo “a tutti i costi”, ricorda Nora). Quarantatré giovani di origini italiane sono stati sequestrati e uccisi tra il 1973 e il 1978 in Argentina, Perù, Bolivia, Uruguay e Cile e tra gli imputati, nessuno è di nazionalità Argentina perché l’Argentina non ha collaborato con la giustizia italiana e non ha notificato, come richiesto, gli atti per consentire agli imputati di partecipare al processo.
E in Argentina? A più di trent’anni dalla fine della dittatura, molti processi sono ancora in corso.
Il giudizio contro la giunta militare, aperto nel 1985, fu chiuso con rapidità. E dopo le prime condanne, arrivò un colpo di spugna con le leggi sull’impunità……

Rsp (individualità Anarchiche)

 

 

7/2/1945: Eccidio di Porzûs (2° parte)

Sogno in divisa

7/2/1945: Eccidio di Porzûs (2° parte)

La Brigata Osoppo
Formazione partigiana bianca, foraggiata dagli alleati, che all’inizio agisce principalmente in Friuli, e nella quale verranno arruolati diversi fascisti che abbandonano la RSI. Nel Febbraio del ’45, la Brigata Osoppo partecipa ad un accordo con l’Organizzazione Franchi (rete spionistica collegata all’Intelligence Service e diretta da Edgardo Sogno), e la X MAS (il corpo speciale della RSI, comandato dal “principe nero” Junio Valerio Borghese), per contrastare le brigate partigiane jugoslave dopo la sconfitta dell’esercito d’occupazione nazista. Dalla Osoppo nasceranno nel maggio ’45 le formazioni armate anticomuniste: II Corpo Volontari delle Libertà, Volontari per la Difesa dei Confini, Gruppi Tricoloristi. Le radici della cosiddetta destra bianca eversiva, com’è accaduto e accade per quasi tutte le cose peggiori in Italia, affondano in un complesso sistema di ingerenze esterne (in prevalenza da parte delle superpotenze vincitrici del 2° conflitto mondiale: vaticano, Usa e Urss) nella vita politica, militare, economica e civile del nostro Paese. Nel 1948 esistevano nuclei armati di irriducibili di Salò, i quali confluirono nella brigata Osoppo, e che non volevano accettare la nuova situazione nazionale.
Ma questi non erano in grado di progettare freddamente ed analiticamente una strategia di lotta anticomunista, allo scopo di operare quello che, in uno dei vari contributi offerti dalla disciolta Commissione Stragi, viene definito “un cordone sanitario” nei riguardi della sinistra italiana. I reduci irriducibili di Salò erano pochi, emarginati e ridotti alla fame. All’immediata vigilia di quel crocevia di ogni futura spinta rivoluzionaria che fu la scadenza elettorale dell’aprile 1948, così si esprimeva il National security council americano a proposito dell’impegno anticomunista in Italia: “La dimostrazione di una ferma opposizione degli Usa al comunismo e la garanzia di un effettivo sostegno americano, potrebbe incoraggiare gli elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo, anche a costo di una guerra civile, per prevenire il consolidarsi di un controllo comunista”.
La conclusione fu la proposta di fornire a tali elementi, concreti appoggi finanziari e militari. Come si vede, nel nostro paese, più o meno nello stesso momento, le 2 superpotenze affilavano le armi e raffinavano le strategie di penetrazione nell’economia e nella finanza, sulla testa degli italiani, che eran solo un dettaglio collaterale nel grande schema della Guerra fredda: questo è lo scenario in cui nacque la guerra civile permanente, da cui si crearono le condizioni, in momenti di particolare tensione, per una drammatica ripresa delle ostilità. Ma non più con le armi convenzionali, ma attraverso i princìpi e le regole dei conflitti a bassa intensità. Prima fra tutte con l’applicazione della dottrina della guerra psicologica. Come è noto, nelle elezioni del ’48 stravinse la Dc, atlantista e filoamericana. Ma gli Usa, dopo lo scampato pericolo, ritennero di non dovere ripetere il rischio e si diedero da fare per creare una fedele struttura clandestina permanente, che vigilasse in silenzio, sotto l’egida delle neonate istituzioni democratiche, in vista di un’eventuale invasione militare da Est: così nacque l’organizzazione “O” (dove “O” sta per Osoppo), come la formazione partigiana che, 6 mesi dopo la fine della guerra, fu ricostituita per sorvegliare i confini con la Jugoslavia, e che diede molti uomini alla neonata struttura, cambiando presto la sua denominazione in Volontari Difesa Confini Italiani.
La Vdci, immediata antesignana della rete Stay Behind, assunse ben presto la funzione di difesa e protezione degli obiettivi sensibili, in momenti di grave perturbazione pubblica, riassumendo, nel 1950, il suo nome originario, per diventare, alla fine del 1956, la “Stella Alpina”, che sarebbe diventata una delle 5 articolazioni di Gladio: non si trattava di una struttura da poco se, nel ’50, poteva contare su circa 6.500 uomini mercenari tra ufficiali, sottufficiali e truppa. Nel ’47, inoltre, fu affidato al col. Ettore Musco (che nel ’52 divenne comandante del Sifar), il comando dell’Armata italiana della libertà (Ail), organizzazione fascista finanziata dalla Cia. Il capo era Sorice già min. della guerra Badoglio. Nel suo comitato centrale si contano 4 ammiragli, 10 generali e 4 colonnelli), che lui stesso aveva fondato.
È in questo contesto che si colloca, intorno alla metà degli anni ’50, anche l’attività del movimento anticomunista Pace e libertà, fondato dalla medaglia d’oro al valor militare Sogno, che appare legato da relazioni semiufficiali con i ministri Scelba e Moro, (Moro lo raccontò ai suoi carcerieri nel ’78) in chiave di difesa-protezione civile con forte impostazione antisovietica. Sulla strada della creazione di Gladio, si collocano anche 2 piani lanciati su scala europea dagli americani: il 1° è il Demagnetize (in Francia si chiamerà Cloven), che aveva l’obiettivo di arginare ogni attività sovversiva comunista in Italia. Questo vasto ed articolato piano, giunto alla sua fase operativa a metà del 1952, assunse il nome di piano Clydesdale, ed ebbe come principale nemico l’asse Pci-Cgil, individuato come un potere comunista italiano. La strategia del piano era semplice: repressione delle attività comuniste e promozione dello sviluppo sociale ed economico dell’Italia in chiave filoamericana, scollando sempre di più i sindacati dalla sinistra. Protagonista delle relazioni internazionali che favorirono la nascita di questo vasto progetto, fu Alcide de Gasperi, che, tuttavia, fu sempre attentissimo a non far trapelare le sue reali relazioni con gli States, simulando un’assoluta autonomia di scelte, che era invece fittizia. Nei secondi anni ’50, proseguì alacremente questa attività resistenziale segreta, con la creazione del Reparto Guerra Psicologica (’57) e l’allestimento del gruppo d’indagine sui dirigenti comunisti guidato dal questore Domenico De Nozza (’58). Molte di queste strutture si appoggiavano a elementi neofascisti, che pure, spesso, venivano arruolati in modo diretto dai servizi occidentali (come per Carlo Digilio, Marcello Soffiati e Marco Affatigato). Per alcuni pare evidente il legame tra queste attività e quelle che erano state le strutture dell’Ovra, la polizia segreta di Mussolini, da cui vennero spesso uomini e programmi della lotta anticomunista occulta del 2°dopoguerra. Tuttavia, nelle liste degli informatori dell’Ovra vi erano molti elementi “agganciati” nel Partito comunista, nel Partito socialista e in altri movimenti di sinistra.
Celebre, ormai, la figura del mercenario Giorgio Conforto, per decenni il capo della rete di spionaggio del Kgb in Italia, fonte informativa privilegiata dell’Ovra di Guido Leto. Tutto questo fervere di sigle, piani e operazioni portò, inevitabilmente, da una parte, a una spaventosa commistione tra attività istituzionali e attività clandestine e, dall’altra, alla necessità di creare una sovrastruttura che queste attività le comprendesse tutte, nel bene e nel male: è Stay Behind, più nota come Gladio. Un caso a se stante è quello riferito ai Nuclei di difesa dello stato (Nds), in parte svelati dal col. Amos Spiazzi, il quale ha raccontato che questa rete di resistenza clandestina, attiva in prevalenza nel Nord Est del Paese è stata attiva fino al 1973: anno cruciale per tutte le organizzazioni parallele operanti dal dopoguerra: da Stay Behind alla Gladio rossa. Nell’estate del ’73, la rete dei Nuclei di difesa dello stato (poiché scarsamente fedele all’atlantismo made in Usa) venne smantellata. La dirigenza del Pci di quegli anni aveva una totale connivenza col nemico di allora, cioè l’Urss, e che, pertanto, lo stato democratico avesse il diritto-dovere di tutelarsi, in funzione antisovietica e antinvasione.
Lo Stato ha dato vita a delle strutture ampiamente clandestine, alcune delle quali non solo inutili, ma del tutto illegali. Gladio, i Nds, il Gruppo Siegfried (sempre dei Nds) di ex repubblichini, avrebbero dovuto intervenire su piani come il piano Solo. Dal nome Solo perché fatto solo dalla brigata meccanizzata dei carabinieri, nato negli anni ’50, ma rispolverato nel 1964 dal governo dell’epoca e affidato al gen. Giovanni De Lorenzo. Esistevano presso il ministero dell’Interno e le Prefetture piani di emergenza in caso di gravi turbamenti dell’ordine pubblico che prevedevano, con prassi dettagliate e precise, lo stato di fermo per tutta una serie di persone ritenute pericolose per la sicurezza nazionale. Ufficialmente, Gladio nacque nel novembre 1956, con un accordo tra il Sifar (dipendente dal ministero della Difesa) e la Cia. Dato che, però, l’investitura istituzionale di Gladio è legata all’accordo del 1959 che ammise il Sifar nella struttura Nato del Coordination and Planning Committee, bisogna ritenere che la struttura, almeno tra il ’56 ed il ’59, agisse senza un’adeguata legittimazione istituzionale. Tuttavia, proprio per le esigenze di sicurezza, al fine di tenere il più possibile questa materia lontana dalle curiosità interessate del Pci (legato a doppio filo a Mosca, non solo per la questione dei finanziamenti), le “nostre autorità” centrali decisero che la questione non avrebbe mai e poi mai potuto entrare nel dibattito parlamentare.
L’Italia, sia nelle attività della maggioranza parlamentare che in quelle dell’opposizione, è stata per decenni un Paese a doppio Stato, e quindi a sovranità limitata, con un Parlamento in cui gli uni tenevano all’oscuro gli altri (e viceversa) delle attività clandestine legate alla guerra fredda. Questo clima di guerra civile continua, è forse la principale ragione dell’incapacità oggettiva dell’Italia di fare i conti con la propria storia e di tirare una riga sul proprio passato: finché sarà in vita la generazione impunita che fu protagonista di questa drammatica lotta sotterranea, questi conti resteranno in sospeso. Così come il giudizio su quei personaggi che ne furono, nel male, protagonisti.
Nei mesi che avevano preceduto la caduta di Mussolini, mentre si profilava l’inevitabile sconfitta dell’Asse, la diplomazia Usa aveva sondato orientamenti e desideri della chiesa, l’unica istituzione che in un paese segnato dallo sfacelo bellico mostrava di aver mantenuto la sua compattezza e di essere ancora in grado di tenere in mano le masse. Nell’occasione la Santa Sede si espresse in favore di un sistema monarchico conservatore e spese la sua parola a sostegno di quegli uomini politici appartenenti alla classe dirigente prefascista o che avevano militato nella compagine fascista moderata, mostrando invece la sua diffidenza, se non l’ostilità, nei riguardi delle personalità schierate nel campo dell’antifascismo. Come ha scritto Pietro Scoppola: “L’idea prevalente negli ambienti vaticani era quella di una sorta di continuità di un regime autoritario senza più Mussolini che avrebbe avuto nel mondo cattolico e nelle sue organizzazioni il suo punto di forza”. Indicativa, a questo proposito, la lettera inviata dopo la caduta di Mussolini e datata 11/8/’43 da Luigi Gedda, pres. centrale della Gioventù cattolica, al nuovo capo del Governo Badoglio. Nella missiva si consigliava al I ministro di utilizzare le forze inquadrate nell’Azione cattolica in modo da rafforzare la compagine statale contro il pericolo di sovversione, rappresentato sia dai fuoriusciti sia dall’antifascismo in genere, avanzando contemporaneamente l’idea di una prossima successione dei cattolici alla guida del paese. Di fronte all’ipotesi ormai più che realistica della sconfitta dell’Asse, la chiesa si mostrava più che altro preoccupata per l’avanzata del comunismo e cercava di porvi un argine concedendo il proprio appoggio a quelle forze che apparivano propense a ridisegnare gli assetti politici e sociali senza mettere in discussione ciò che essa conquistò nel corso del ventennio fascista. L’atteggiamento estremamente prudente della chiesa rimase tale anche dopo la fuga della monarchia e la divisione dell’Italia. Un futuro nel quale non erano escluse le istanze di rinnovamento che, comunque, doveva essere contrassegnato da uno sviluppo politico lento e controllato. Queste prese di posizione mostrano la diffidenza che la chiesa nutriva nei riguardi di quei movimenti armati che combattevano non inquadrati in reparti regolari.
Questo scetticismo si dissolse solo nell’estate del 1944 dopo che, prima la svolta di Salerno compiuta dal Pci, poi la liberazione di Roma, infine la creazione di un unico comando militare partigiano riconosciuto dagli alleati, attenuarono molto i timori del vaticano. Ciò nonostante sul piano politico fu proprio la santa sede, coi radiomessaggi natalizi del 1942, ’43 e ’44, ad incentivare la discussione e l’aggregazione dei cattolici. I 3 testi, che affrontarono rispettivamente i temi dell’ordine interno degli stati, della civiltà cristiana e del problema della democrazia, costituirono la grande cornice entro la quale il mondo cattolico poté muoversi alla ricerca di una nuova identità.
I 3 messaggi, che non indicavano una linea politica ben definita, rompevano però decisamente col passato poiché definivano la democrazia non più una fra le tante forme di governo possibili, ma bensì come la scelta tendenzialmente ottimale, affinché fosse garantito il rispetto della stessa chiesa e della coscienza religiosa. Aperture e chiusure convivono a fianco una dell’altra evidenziando come la santa sede si trovò ad agire su più livelli differenti, secondo una linea di comportamento molto spesso ambigua e oscillante che sfociava in direttive le cui norme eran poco applicabili nei casi concreti. Secondo Enrico Mattei partigiano bianco, che prese parola al I congresso della Dc nell’aprile del 1946 sull’argomento della partecipazione alla Resistenza, le forze messe in campo dai cattolici furono nell’ordine di 65.000 uomini distribuiti in 180 brigate o unità corrispondenti destinati a toccare la punta di 80.000 nella fase preinsurrezionale. Mattei per stimarne il loro apporto numerico alla fine della lotta di liberazione dichiara che il totale dei combattenti all’inizio del ’45 era di circa 130.000 uomini destinati a toccare la cifra di 200.000 a metà dell’aprile successivo.
Di creazione democristiana fu la Brigata Osoppo e le brigate del popolo, la cui organizzazione fu avviata nell’estate del ’44 e che mantennero una diffusione prevalentemente cittadina.

Gladio Bianca
Nel 1947 i dirigenti nazionali della Dc prendevano sul serio il pericolo di una insurrezione comunista ed erano convinti che essi, come paventava Giuseppe Dossetti, erano in grado «di massacrare i nostri quadri periferici con pochi uomini». La questione dell’insurrezione armata comunista venne posta in 2 fasi diverse: nel dicembre ’47, quando era imminente il ritiro dall’Italia delle truppe americane; poi nell’estate 1950, dopo lo scoppio della guerra in Corea. Secondo lo storico Piero Caveri, il Pci disponeva di un vasto apparato militare la ‘Gladio Rossa’, pronto ad agire se i russi sceglievano lo scontro con l’occidente. Il movimento dei cattolici-comunisti o partito della sinistra cristiana erano formazioni che operarono nella resistenza antifascista e che ebbero tra i loro esponenti Franco Rodano, Felice Balbo, Adriano Ossicini. Fu Stalin, in quella fase, a bocciare l’ipotesi insurrezionale, raffreddando gli ardori di Pietro Secchia e confortando la linea cauta di Palmiro Togliatti. Ma la Dc non stava a guardare. Nel timore che il ritiro Usa inducesse i russi a tentare un colpo di forza, fu avviata la costituzione di gruppi paramilitari (Gladio bianca) sulla base delle formazioni partigiane moderate che, come quelle ‘rosse’, non avevano consegnato le armi. Si decise allora di coordinare l’iniziativa con il piano anti-insurrezionale predisposto dal min. dell’Interno, Mario Scelba. Prima del voto (aprile 1948), la Dc attuò «una progressiva militarizzazione del partito, aprendosi al sostegno di tutti coloro che ritenevano in pericolo la democrazia, senza alcuna pregiudiziale politica», né verso la destra nostalgica né verso la massoneria. I 2 partiti, dunque, si tenevano entrambi pronti a un conflitto cruento, anche se va sottolineato che, mentre i comunisti avevano al loro interno un’anima rivoluzionaria (frenata da Togliatti e da Mosca), i democristiani, assegnavano ai loro nuclei armati clandestini, sostenuti anche dagli americani, un compito difensivo.
Il fantasma della guerra civile parve materializzarsi nel luglio 1948, quando l’attentato a Togliatti innescò una sanguinosa sollevazione popolare. Il Pci non smobilitò le sue forze paramilitari. E così pure la Dc. Successivamente, mentre in Corea ci si combatteva, il tema tornò al vaglio della direzione democristiana. Qui, il 18/7/1950, si manifestò un dissidio che non era emerso nel ’47. Mentre il ‘falco’ Domenico Ravaioli presentava la questione comunista come ‘un problema che va risolto in termini di forza’, e anche Taviani chiedeva di far in modo che fosse ‘tutto pronto’ per metter eventualmente fuori legge il Pci, il segretario Gonnella, propose una linea più ottimistica e prudente, convinto che la minaccia si potesse fronteggiare in altro modo. Si tratta di notizie che gettano nuova luce sulle organizzazioni segrete che operarono nella Slavia (Porzus) con la motivazione di difendere i confini dalle invasioni jugoslave, la loro funzione era subordinata alla politica nazionalista. Il termine cattocomunismo ha un significato prevalentemente spregiativo, e tende a indicare, in ambito filosofico/politico, quelli di fede cattolica, che optarono per una scelta politica e programmatica in senso comunista, senza aderire totalmente al marxismo. Molto diffuso nella pubblicistica politica a partire dagli anni ’70, è servito a indicare il processo di avvicinamento tra Pci e Dc nell’ambito della strategia berlingueriana del compromesso storico e di quella morotea della terza fase.
Da allora, il termine cattocomunista è usato per definire gli esponenti della sinistra Dc (molti dei quali di derivazione dossettiana), poi confluiti prevalentemente nella Margherita, poi Ds, Pds, Pd, ecc.
Negli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi e sul terrorismo per quanto riguardano gli anni 1978/’79 ci indicano una struttura segreta paramilitare con funzione organizzativa antinvasione, ma che aveva poi debordato in azioni illegali, con funzioni di stabilizzazione del quadro interno; struttura che ha origine sin dal periodo della resistenza attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizazioni di altra tendenza. Alcune formazioni comuniste erano state infiltrate durante la resistenza al fine di portarle all’annientamento. Questo gruppo avrebbe poi continuato a funzionare nel dopoguerra e avrebbe costituito la ”tecnostruttura” destinata a muovere anche in seguito le fila sia del terrorismo di destra, sia del terrorismo di sinistra. Una descrizione che assomiglia decisamente al modo in cui Franceschini (fondatore BR), ha descritto l’Hyperium sull’intervista di Sabina Rossa sul libro “Guido Rossa, mio padre” , Spiega che Moretti non era una spia, questa è sempre stata una traduzione giornalista, semplificata, brutalizzata, del suo pensiero. Moretti era un terminale delle relazioni internazionali delle Br, un punto di congiunzione tra l’organizzazione interna e il contesto internazionale. Andava a Parigi per incontrare gli uomini della scuola di lingue chiamata Hyperion, suoi vecchi compagni sin dai tempi del Superclan, che era un livello delle Brigate Rosse ancora piu’ occulto. Da Parigi partivano anche i contatti con le organizzazioni europee e tutti i traffici di armi. Franceschini, preferisce parlare di Moretti non come una spia ma come un infiltrato. Da parte di chi? ”del terzo livello”. Un termine nuovo, per il terrorismo, che vuol dire? ”Il primo livello [spiega Franceschini] era il movimento rivoluzionario e il secondo le Br, che quel movimento infiltrarono al fine di reclutare militanti. Poi c’è stato il terzo livello rappresentato da chi utilizzava anche la lotta armata per garantire gli equilibri del mondo sanciti a Yalta [servizi segreti], nel 1945 quando l’Est e l’Ovest rappresentati da Roosvelt, Churchill e Stalin si spartirono il mondo”. Secondo il parere di Renato Curcio (fondatore Br) nell’intervista di Sabina Rossa spiega che lui l’idea che si è fatto, è che esistessero due livelli delle Br, non comunicanti tra loro, anzi crede che il 2° livello, che aveva rapporti internazionali, in modo particolare con la Francia (Moretti andava spesso a Parigi) agisse in una dimensione ancora più occulta e fosse adirittura ignoto al primo.
Quella tecnostruttura, nata nel dopo guerra, lavorava per indebolire il più possibile la componente comunista della resistenza, non si era mai sciolto ed era ancora attivo negli anni ’70. Sin dai tempi della guerra nel biellese operava segretamente un gruppo di agenti anticomunisti che avevano infiltrato le brigate di Moranino per annientarle. Gli agenti ifiltrati nelle formazioni comuniste erano persone che qualche servizio segreto alleato impiegava per colpire le formazioni di estrema sinistra, comunisti, socialisti. Insomma partigiani che infiltravano altri partigiani per portarli all’annientamento. L’esito della guerra era ormai scontato e si sapeva che sarebbe finita con la vittoria alleata (Stay Behaind – Gladio Bianca) e ci si preparava già per il dopo. Il problema del dopo era stato individuato nella presenza di un forte partito comunista, che già nella guerra di lberazione aveva un’efficiente rete militare; “Gladio Rossa”.

L’ambiguità del brigatista Mario Moretti
La famiglia di Moretti è lontana dalla tradizione della sinistra, alcuni parenti sono fascisti, lui stesso frequenta parrocchie e scuole religiose e, dopo la morte del padre, fa le scuole superiori, professando idee di destra, in un convitto di Fermo (Ascoli Piceno) grazie all’aiuto economico della nobile famiglia milanese dei Casati Stampa di Soncino, quei Camillo e Anna protagonisti nel 1970 di un clamoroso caso di cronaca, quando il marchese Camillo uccise la bellissima moglie e il giovane amante di lei. La loro villa San Martino di Arcore sarà poi acquistata dal giovane imprenditore piduista Silvio Berlusconi. Finiti gli studi, Moretti si trasferisce a Milano, si iscrive all’Università cattolica con una dichiarazione del viceparroco che garantisce che il giovane “professa sane idee religiose e politiche” e, grazie alla raccomandazione dei Casati Stampa, viene assunto alla Sit-Siemens, dove si iscrive alla Cisl (sindacato cattolico). Alla Sit-Siemens avviene la politicizzazione di Moretti, che frequenta il Cpm (Collettivo politico metropolitano) guidato da Renato Curcio e Corrado Simioni. Quando le strade dei due si divaricano, con Curcio che fonda le Brigate rosse e Simioni che segue il proprio progetto di una organizzazione superclandestina (da cui il nome di ‘Superclan’) che infiltri tutte le realtà della sinistra rivoluzionaria, Moretti segue Simioni, ma poi rientra nelle Br (lo stesso farà poco dopo Gallinari) portando avanti una linea che privilegia l’aspetto ‘militarista’ rispetto a quello ‘politico’. Moretti era il braccio destro di Simioni e Senzani (Giovanni Senzani. Criminologo, collaboratore del ministero di Grazia e Giustizia, infine capo spietato delle ultime Brigate rosse, il colpevole della barbara esecuzione di Roberto Peci, “fratello” del pentito Patrizio).
Moretti, negli anni successivi, si recherà numerose volte a Parigi, sfuggendo tranquillamente a tutti i controlli….
Nel settembre 1974, l’ infiltrato ‘Frate Mitra fa arrestare Curcio e Franceschini, che avevano con se’ gli schedari portati via qualche mese prima dalla sede del ‘Comitato di Resistenza Democratica’ di Edgardo Sogno. Una soffiata sulla minaccia arriva a Moretti, che non avverte in tempo i suoi compagni, e resta così il principale leader delle Br, anche perchè, poco dopo, Mara Cagol sarà uccisa e Giorgio Semeria gravemente ferito, entrambi in circostanze ancora poco chiare….
La storia di Moretti si intreccia spesso con quella della ‘strategia della tensione’ e con quella di Edgardo Sogno e dei suoi principali collaboratori, gli ex comunisti Luigi Cavallo e Roberto Dotti, quel Roberto Dotti al quale Simioni aveva raccomandato a Mara Cagol di rivolgersi per qualsiasi emergenza. Sembra quasi che l’obiettivo sia comune: attaccare il Pci e ridurre il suo peso nella società italiana. La fidanzata e i futuri suoceri di Moretti abitavano nello stesso edificio dove c’era la sede di Luigi Cavallo e che, dopo il matrimonio, Moretti e la moglie vanno a vivere in una piccola strada dove abitano anche Roberto Dotti e il capo dell’Ufficio politico della Questura Antonino Allegra. Con la leadership di Moretti, la ‘Primula rossa’ che per 10 anni sfugge a tutte le ricerche, le Br alzano il tiro e passano alla ‘propaganda armata’. Anche nelle Br qualcuno sospetta che Moretti sia una spia, ma l’inchiesta fatta da Bonisoli e Azzolini lo scagiona. Nel 1981 Moretti viene arrestato a Milano. Pochi mesi dopo, nel carcere di Cuneo, Moretti è aggredito e ferito con un coltello da un ergastolano comune, per motivi mai chiariti, ma che sembrano un avvertimento. Cominciano i processi e Moretti si ritrova con sei condanne all’ergastolo. A gennaio 1993, dopo meno di 12 anni di carcere, usufruisce del primo permesso premio. Nell’estate dello stesso anno, Moretti, in una lunga intervista a Carla Mosca e Rossana Rossanda, racconta la sua versione, che diventa un libro pubblicato da un editore ex militante del Superclan…..
Moretti avalla la ricostruzione del caso Moro fornita da Morucci e Faranda e si accolla la responsabilità di aver ucciso Moro, scagionando Gallinari. Passano quattro anni e, nell’estate del 1997, il capo delle Br ottiene la semilibertà. Nel delitto Moro c’è stato il coinvolgimento dei servizi segreti e ‘collusioni atlantiche’.
Nel 1994 Mario Moretti ottiene la libertà condizionata. Ora abita a Milano ed è stato riciclato dal cattolico integralista Roberto Formigoni, come coordinatore del laboratorio di informatica della Regione Lombardia…

Rsp (individualità Anarchiche)

Strage nella redazione di Charlie Hebdo: muoiono 12 civili

Strage nella redazione di Charlie Hebdo: muoiono 12 civili

colonialismo
Colonialismo, imperialismo, guerra di religione e di potere, guerra sporca per il petrolio
Francia: 7 gennaio 2015, due uomini armati fanno irruzione nella redazione parigina di Charlie Hebdo. A terra rimangono i cadaveri crivellati di colpi di dodici persone. Tra questi il direttore Stephane Charbonnier, che firma le vignette, Charb, e altri sette giornalisti.
Durante la strage gli assalitori urlarono “Allah Akbar!” e dire che hanno “vendicato Maometto”. Una testimone, la vignettista Coco, ha detto che gli assalitori si dichiaravano membri di Al Quaeda. Questo è bastato perché molti francesi denunciassero un attentato di matrice islamica.
La colpa di Charb e dei disegnatori di Charlie Hebdo? Aver pubblicato vignette satiriche su Maometto…. Vengono incolpati per quella strage i fratelli Cherif e Said Kouachi. Dopo la strage i due fratelli riescono a scappare facendo perdere le loro tracce e si rifugiano in una tipografia a Dammartin-en-Goele. Dopo sette ore di trattative, è scattato il blitz delle teste di cuoio che uccidono gli assalitori. I fratelli Kouachi erano professionisti!! Sapevano maneggiare le armi e hanno sparato a colpo sicuro. Non erano vestiti alla maniera dei jihadisti, ma come un commando militare.
Il fatto che siano dei professionisti ci obbliga a distinguerli dai loro probabili mandanti. E non c’è nulla che provi che questi ultimi siano francesi. I mandanti dell’attentato sapevano che il gesto avrebbe provocato una rottura tra francesi mussulmani e francesi non mussulmani.
Questo attentato può essere considerato come il 1° episodio di un processo finalizzato a creare una situazione di guerra civile. Non è al Cairo, a Riad, o a Kabul che si patrocina lo «scontro di civiltà», ma a Washington e a Tel Aviv. La strategia dello «scontro di civiltà» è stata formulata da Bernard Lewis per il Consiglio di Sicurezza Nazionale USA, ed è stata poi divulgata da Samuel Huntington non più come strategia di conquista ma come situazione prevedibile. Tale strategia intendeva convincere i popoli membri della NATO circa un inevitabile scontro che avrebbe preventivamente preso la forma di «guerra al terrore». I mandanti dell’attentato contro Charlie non intendevano soddisfare qualche jihadista o talebano, ma dei neo conservatori o dei falchi liberali.
11 Gennaio 2015 in tutta la francia si è svolta una manifestazione che ha visto la partecipazione di due milioni di persone in piazza per reclamare la strage alla redazione parigina di Charlie Hebdo e per rivendicando il diritto alla libera espressione.
Purtroppo erano presenti anche i (Boia) capi di stato europei e internazionali. Questi presidenti che hanno sfilato alla manifestazione, sono gli stessi che attraverso le guerre di conquista e le “missioni di pace”, hanno rubato le materie prime dei paesi in via di sviluppo, creando una condizione sociale di sopravvivenza e di miseria irreversibili….
C’era anche quell’idiota cattosinistroide scautino di Renzi insieme a Poroshenko, a Lavrov, a Cameron, passando per il presidente palestinese Abu Mazen, a pochi passi dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Senza dimenticare gli altri 40 capi di stato e di governo europei e internazionali. Tutti schierati in testa al corteo e applauditi dai cittadini…..
Assente il presidente Usa Barack Obama.
Durante la manifestazione l’pparato militare Francese mette in campo oltre 5mila agenti e 1350 militari per le strade della capitale. Mai come ora è valido il dilemma di Shakespeare: “Chi controlla poi il controllore?”.
Julian Assange non ha usato mezzi termini, accusando di “incompetenza” l’intelligence transalpina. Il fondatore di Wikileaks ha ricordato come gli assalitori fossero dei “ben noti jihadisti” lasciati incontrollati dalla polizia francese, forse perché agivano come “informatori”.
Prima della manifestazione i ministri dell’Interno e della Giustizia Ue e Usa si sono riuniti a Parigi per mettere a punto nuove misure di lotta al terrorismo, con l’obbiettivo primario di controllare ed egemonizzare i paesi arabi.
Uno dei due fratelli autori dell’attacco a Charlie, Said Kouachi, durante il suo soggiorno in Yemen, per una o due settimane a Sanaa fu compagno di stanza di Umar Farouk Abdulmutallab, il giovane responsabile del fallito attentato di natale del 2009 sul volo Amsterdam-Detroit con delle mutande-bomba.
Susan Rice consigliere per la sicurezza nazionale, ammette che gli Usa hanno dato armi ad Al Qaeda in Siria. “E’ per questo che gli Stati Uniti hanno accresciuto il sostegno alle opposizioni moderate fornendo armi letali e non letali per appoggiare sia l’opposizione civile sia quella militare”. A chi finiscono le armi? Gli States fornivano armi ad al-Nusra (fazione jihadista vicino ad al Qaeda) e altri gruppi terroristi in Siria attraverso associazioni moderate.
“Se quelli che ci sostengono (Usa, Arabia Saudita, e Qatar) ci dicono di madare le armi a un altro gruppo le mandiamo. Un mese fa ci dissero di mandare molte armi a Yabroud, (una città siriana) e lo abbiamo fatto”, ha raccontato Jamal Marouf, che guida il Syrian Revolutionary Front (SRF) creato dalla CIA e intelligence di Arabia e Qatar. Il primo ministro turco Erdogan appoggia l’al-Nusra Front e altri gruppi terroristi, ha scritto il giornalista Premio Pulitzer Seymour Hersh, parlando degli appoggi da parte dei paesi vicini della Siria, specie la Turchia, alle milizie terroriste.
Al-Nusra è una branca di al-Qaeda in Siria mentre l’ISIS è considerato l’ala irachena.
Ma chi c’è dietro l’ISIS che dice di guidare la ribellione dei sunniti contro le ingiustizie commesse dagli sciiti del dopo Saddam? Chi lo sostiene, chi lo arma, chi lo finanzia?
Chi è Abu Bakr Al-Baghdadi? è un agente al soldo della Cia e capo dell’Isis, comanderebbe la milizia per conto dei Saudiani (sunniti-wahabiti), sarebbe legato direttamente a un principe della famiglia reale fratello di un ministro, ma il gruppo sarebbe co-finanziato da americani, saudiani e anche francesi. Irakeno, Baghdadi nel 2013 se ne è partito a combattere in Siria, radicandosi nel nordest a Raqqa. Più che mullah fanatici di un governo religioso, sono capi d’intelligence con forti doti strategiche ed estrema ferocia. La CIA per depistare la verità, vuol far credere che l’ISIS sia un gruppo che si autofinanzia con furti alle banche e donazioni, occultando che da 3 anni sorveglia con i droni il confine fra Siria e Turchia.
L’ISIS non è affatto quell’amalgama di fanatici rabbiosi che si vuol far credere, ma un esercito altamente motivato e disciplinato con chiari e definiti obiettivi politici e territoriali.
La crisi innescata dall’offensiva ISIS dovrà portare alla completa frattura dell’Iraq secondo linee settarie, cambiando la mappa politica del Medio Oriente.
Il crollo dell’Iraq ha riportato in voga le cartine apparse sul web all’indomani dell’Operazione Iraq Freedom lanciata da George W. Bush nel 2003. Mostravano un paese diviso in tre stati: uno curdo al nord, uno sunnita al centro e uno sciita a sud. Più o meno la mappa attuale…
L’espressione “guerra al terrorismo” identifica una campagna militare a livello internazionale, volta a combattere e sconfiggere le organizzazioni internazionali condotta dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, con l’appoggio dei servizi segreti delle nazioni aderenti al Patto Atlantico e di altri paesi del mondo, anche se in origine, la campagna era focalizzata sull’eliminazione di al-Qaida e simili organizzazioni militanti.Venne usata per la prima volta dal presidente USA George W. Bush e da alti ufficiali statunitensi per identificare una lotta globale di natura militare, politica, legale ed ideologica, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. La rivista scientifica “Open Chemical Physics Journal” ha pubblicato una ricerca che conferma la presenza di tracce di esplosivo (Termite) nei campioni raccolti immediatamente dopo la tragedia del crollo delle 2 torri + 3° palazzo. I servizi informativi americani sapevano che si stavano preparando gli attentati dell’11/9/’01, conoscevano gli edifici presi di mira, i quadri dirigenti ed intermedi della rete di bin Laden, e pedinavano alcuni pirati dell’aria. Ma non hanno voluto arrestarli, e quel giorno si sono addirittura rifiutati di impedire la loro azione. Così i terroristi hanno avuto le mani libere, perché gli attentati convenivano alla dirigenza militare e politica Nato, in quanto dovevano conquistare l’opinione pubblica ad una guerra prolungata contro i Paesi che ostacolano il dominio statunitense.
Il presidente turco Erdogan ha deciso di sostenere silenziosamente l’Is(is) perchè voleva eliminare definitivamente il regime di Assad, di fronte al quale la Turchia mostra i muscoli ormai da un paio d’anni. Più volte Ankara la capitale della Turchia, in passato è giunta a minacciare l’attuazione dell’articolo 5 del Patto Atlantico, che prevede la difesa comune nel caso di attacco contro uno dei Paesi membri della Nato, a seguito di alcuni missili esplosi da Damasco e caduti proprio sul territorio turco. Ma Erdogan vuole anche prevenire la nascita del Rojava (il nascente Stato curdo) nel nord-est, la cui leadership è schierata al fianco del Pkk. Poi c’è un’altro fattore, economico e per questo determinante: il petrolio. Fiumi di greggio prodotti nel Califfato starebbero arrivando in Turchia a prezzi stracciati. La realtà è che il labirinto di interessi è molto articolato…
Osama bin Laden èra pagato dai servizi segreti della Nato.
I primi contatti di Osama bin Laden con l’amministrazione americana risalgono ai primi anni ’80 durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. La strategia americana punta in quegli anni ad opporsi all’impero sovietico creando delle brigate internazionali islamiche capaci di contrastare l’invasione russa. È in questi anni che la figura di Osama bin Laden comincia ad assumere una certa importanza nell’ambito dell’integralismo islamico; sfruttando le sue conoscenze con la famiglia reale saudita, si pone al vertice di una struttura religiosa-militare capace di raccogliere fondi per la causa islamica. Con la fattiva collaborazione della Cia e dei servizi segreti pakistani ISI (Inter Services Intelligence) la forza numerica della Jihad afgana tra il 1982 e il ’90 cresce in maniera esponenziale; da poche centinaia di uomini l’esercito integralista di bin Laden infoltisce i ranghi di nuove forze tanto da poter contare intorno alla metà degli anni ’80 su circa 35 mila uomini. Alla fine degli anni ’80 la Jihad afgana può contare sull’appoggio di un esercito composto da quasi centomila uomini equipaggiati con le migliori armi presenti sul mercato. La strategia americana nell’area mediorientale punta molto su un personaggio come Osama bin Laden sia per la sua capacità organizzativa all’interno dei gruppi dell’integralismo islamico sia per i suoi legami con la famiglia reale saudita. Anzi sono proprio gli uomini della famiglia di re Fahd a sponsorizzarlo presso la Cia americana. Gli Stati Uniti per tutti gli anni ’80 giocano la carta dell’integralismo islamico per creare ulteriori problemi al decadente impero sovietico, tanto che alla fine del decennio i guerriglieri afghani riescono a sconfiggere l’armata rossa.
I rapporti tra bin Laden e l’amministrazione americana cominciano a raffreddarsi nei primi mesi del 1990 in prossimità dell’invasione del Kuwait da parte dell’esercito di Saddam Hussein
Dal 1963 fino ad aprile 2003 l’Iraq è stato una repubblica dittatoriale governata dal Partito di Rinascita Araba Socialista (Baʿth). Soprattutto a partire dalla presa del potere da parte di Saddam Hussein il regime privilegiava gli arabi musulmani sunniti a danno degli arabi musulmani sciiti e dei curdi musulmani sunniti. Nella primavera 2003, in seguito all’invasione dell’esercito statunitense e della coalizione alleata (seconda Guerra del Golfo) è caduto il regime di Saddam.
La caduta della repubblica dittatoriale governata dal Partito Ba’th (detto anche Partito di Rinascita Araba Socialista) di Saddam Hussein apre una nuova fase. Il regime fu abbattuto nel 2003 a seguito di una guerra lanciata da una coalizione guidata dagli Stati Uniti; ma il paese non è ancora stato stabilizzato ed è in corso una guerra a bassa intensità che contrappone le truppe straniere, l’esercito del nuovo governo iracheno e le milizie di alcune fazioni (specialmente i Curdi ed alcuni partiti politici sciiti) a gruppi eterogenei, composti soprattutto da sunniti, già al potere con il precedente regime ed ora parzialmente esclusi dai posti chiave del governo) di estrazione sia laica (ex Ba’thisti) che islamica; ad essi si aggiungono gruppi apertamente terroristici legati ad al-Qaida, spesso composti da stranieri. Saddam Hussein è stato condannato per la strage degli sciiti, ma stranamente non verrà mai processato (l’appuntamento col boia lo precederà) per le altre stragi come quella della popolazione del Kurdistan (oltre 100 mila morti!).
Sapete perché? Semplice: verrebbero fuori le complicità dei servizi segreti Nato.
Sicuramente fino al 1986 Saddam riceveva fondi e armi dall’intelligence statunitense, e la prova è lo “Scandalo Iran-Contra”! George Bush, era felice che la Corte abbia sentenziato la morte per impiccagione dell’ex Rais. Con la morte di Saddam Hussein andranno seppelliti anche molti e pericolosi segreti di stato…
Il dittatore iracheno era stato “scelto” dal governo americano per annientare l’Iran di Khomeini che, nel grande mercato del petrolio e dell’energia (monopolizzato dall’occidente del mondo), cominciava a destabilizzare l’economia.
Si tratta della 1° Guerra del Golfo (1980-’88). Approfittando del caos derivato dalla rivoluzione islamica condotta da Khomeini, Saddam tentò di rivendicare alcuni territori petroliferi iraniani. In quest’impresa fu ampiamente appoggiato dall’Occidente intenzionato a indebolire la potenza dell’Iran islamico. La preoccupazione dei grandi era che il fondamentalismo khomeinista potesse impadronirsi dei Paesi arabi e musulmani, ricchi di pozzi petroliferi e di riserve centenarie di greggio. URSS, USA, Germania, Francia, Italia fornirono a Saddam le armi più distruttive e potenti. Anche quando il dittatore commise le peggiori atrocità e massacri, il governo americano gli promise armi di distruzione di massa. Vincere la guerra contro l’Iran avrebbe permesso alle grandi potenze occidentali di lavarsi le mani (agli occhi del mondo) considerando il conflitto una questione interna. Dietro la cortina ideologica dell’Islam e della purificazione ideologica del popolo arabo dalla contaminazione occidentale si nascondono ben più prosaici interessi economici. La Jihad islamica e la lotta contro l’occidente nasconde in realtà uno scontro economico per il controllo delle risorse petrolifere. l’ISIS è il prodotto diretto dei continui sforzi americani per destabilizzare e cacciare il presidente siriano Bashar al-Assad, armando varie fazioni mussulmane.
Il Premio Nobel per la Pace (?) Henry Kissinger ( ricordiamo che nel 1974 minacciò pesantemente Aldo Moro…) è uno dei più ambigui e pericolosi personaggi attualmente in libertà, ebbe a dire a proposito di quella guerra e soprattutto della politica americana, che la loro strategia (per intenderci, degli attuali esportatori di “democrazia”) era «fare in modo che si uccidessero l’uno con l’altro»: cosa profeticamente realizzatasi!
Era il 1930 quando i colonialisti inglesi, esperti di razzismo, si accorsero di una cosa strana: i sionisti erano razzisti anche contro gli ebrei-non sionisti.
Attraverso il Fondo Nazionale Ebraico i Sionisti, acquistavano terreni palestinesi dagli arabi non residenti e ne cacciavano i contadini che vi lavoravano, dichiarando quelle terre “suolo ebraico” che solo i sionisti potevano lavorare.
Gruppi terroristi sionisti, come L’Irun, l’Haganah o lo Stern (LEHI), già operanti dagli anni precedenti, dal 1944 cominciarono a convincere con metodi “pacifici” e “democratici” il governo inglese ad avere la loro terra promessa.
I sionisti sono invasori. Rivendicano il loro diritto ad avere uno Stato in quel luogo solo perché c’è scritto sulla Bibbia, compiendo eccidi disumani di cui sono vittime i palestinesi. Gli ebrei dopo aver subito nella II guerra mondiale la discriminazione razziale, le torture e la sopraffazione fascista, non hanno usato la cooperazione come metodo per confrontarsi, ma hanno usasto gli stessi metodi vigliacchi del periodo fascista per invadere il territorio palestinese.
Se Israele continua ad esistere è solo perché gli americani li incentivano nella loro tirannia nei confronti dei palestinesi creando una politica autoritaria. Israele annualmente “dona” agli Usa una cifra che è pari al 7% dell’intera economia americana. E l’america li arma……
Ma ora ricordiamo le tante ingiustizie commesse negli ultimi decenni dai servizi segreti NATO:
(1) Testare in Francia gli effetti devastanti di certe droghe sulla popolazione civile (Operazione Chaos …);
(2) Sostenere l’OAS nel tentativo di assassinare il presidente Charles De Gaulle;
(3) Procedere ad attentati sotto false flag, contro civili, in molti stati membri della NATO.
I Francesi faranno bene anche a ricordarsi che non sono stati loro a prendere l’iniziativa della lotta contro i jihadisti reduci della Siria e dell’Iraq. È Washington che il 6/2/2014 ha convocato i ministri degli Interni di Germania, USA, Francia (M. Valls si era fatto rappresentare), Italia, Polonia e Regno Unito per fare della questione del ritorno dei jihadisti europei una questione di sicurezza nazionale. Ed è solo dopo questa riunione che la stampa francese ha cominciato a parlare del tema e le autorità hanno iniziato a reagire.
11 gennaio 2015 anche a Milano hanno organizzato un presidio, davanti al consolato transalpino, al quale hanno partecipato numerose centinaia di francesi residenti nel capoluogo lombardo ma anche milanesi, nella stessa ora in cui a Parigi cominciava la marcia anti-terrorismo. Peccato che si sono messi a cantare la marsigliese che è simbolo di nazionalismo e non di culture multietniche internazionali. I servizi segreti stanno già facendo terrorismo psicologico dichiarando che il Vaticano è un “possibile obiettivo” dell’Isis ma al momento “non ci sono segnali concreti” che possano far pensare ad un attacco. Lo si apprende da fonti dell’intelligence italiana alla quale Mossad e Cia avrebbero inviato nei giorni scorsi informative in cui si analizzano i possibili scenari, senza però indicare elementi concreti di rischio.
Pansa IL CAPO DELLA POLIZIA in Italia ne aprofitta della situazione di destabilizzazione che si è creata in Francia e chiede ulteriori soldi (gare d’appalto) al ministro dell’interno Alfano, per la sicurezza. La nuova circolare del capo della polizia, d’intesa col ministro dell’Interno, a prefetti e questori sul territorio, innalza ulteriormente le misure di repressione e di controllo sociale….
Ma chi controlla poi Pansa e i suoi servi (servizi segreti e sbirri) infami???

Tutti i governi, sedicenti liberatori, promisero di smantellare le fortezze erette dalla tirannia per tenere in soggezione il popolo; ma, una volta insediati, lungi dallo smantellarle, le fortificarono ancora meglio, per continuare a servirsene contro il popolo.
C. Cafiero

Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)