Allarme: Centri psichiatrici e CPR sono i lager di oggi!

Dentro i Cpr condizioni inumane, chiuderli subito!

 Vi proponiamo questi video, in particolare quelli che ci hanno mandato gli amici e compagni del Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, che ci sembrano molto validi e importanti per capire come la chiesa e lo stato risolvono ancora oggi le problematiche sociali ed economiche di questa egoista e  sozza società classista che crea tante ingiustizie sociali, etichettando le persone per i loro interessi economici, speculando sul disagio e sulle disgrazie della povera gente.

Sono video impressionanti, crudeli che parlano di reparti psichiatrici e Cpr (ex Cie) e i metodi disumani che usano ancora quotidianamente sui più deboli, sulle persone svantaggiate.

I video sulla psichiatria, ci spiegano che ancora oggi, usano metodi medioevali di annientamento psicologico sugli utenti (imbottendoli e indebolendoli con gli psicofarmaci), impiegando personale non qualificato (molto spesso volontari con problematiche personali più grosse degli utenti che dovrebbero aiutare). Il problema principale all’interno di questi veri e propri lager impenetrabili, è che si basano come prassi non dichiarata, su metodi di annientamento autoritari e fascisti, non chiedendo nemmeno all’utente che problematiche abbia, ma risolvendo con gli psicofarmaci, la violenza e le minacce. Molto spesso i problemi degli utenti nascono dalla situazione familiare di povertà o dall’educazione rigida, cattofascista, senza sentimenti, senza dialogo e, al primo segnale di ribellione (richiesta di aiuto e di affetto), risolvono chiudendoli in queste strutture dove vengono omologati, alienati [il termine “alienazione” indica il processo attraverso il quale l’uomo si estrania da se stesso, perdendo la sua identità genuinamente umana, che è proiettata verso qualcos altro; infatti, il termine deriva dal pronome latino “alius”, che significa “altro, ciò che è estraneo”], annientati (alla faccia della libera espressione…).

Per quanto riguarda i CPR, i problemi principali nascono dalla povertà, molto spesso sono famiglie intere scappate dalla miseria del proprio territorio, sono migranti che scappano dalle guerre create dal capitalismo e vengono in occidente con la speranza di cambiare il loro crudele destino.

Ma cominciamo dalla Storia per capire meglio il problema:

I CPR (ex CIE), furono istituiti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano col nome di C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea), poi denominati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) dalla Legge Bossi-Fini del 2002, ed infine rinominati C.P.R. (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dalla Legge Minniti-Orlando del 2017.

I cittadini non comunitari sprovvisti di un regolare documento di soggiorno, sono facilmente ricattabili e molto spesso fanno comodo e vengono sfruttati in agricoltura e nell’edilizia, dove li fanno lavorare in nero senza diritti, con buste paga da fame (per evitare che ottenessero i diritti dovuti). A dicembre 2021 in Italia, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (C.P.R.) aperti e funzionanti sono 10 e si trovano a Torino (C.so Brunelleschi), Milano (Via Corelli), Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Ponte Galeria (Roma), Palazzo San Gervasio (Potenza), Macomer (Nuoro), Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago. Gli Hotspot sono 4 e i Centri di Prima Accoglienza (CPA) sono 8.

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Ombre e dubbi sulla morte di Moustafà Fannane: link, articolo e video.

https://www.facebook.com/100084189376875/posts/251440747672236/?mibextid=rS40aB7S9Ucbxw6v

Ombre e dubbi sulla morte di Moustafà Fannane

https://cild.eu/blog/2023/06/08/laffare-cpr-un-sistema-che-fa-gola-a-detrimento-dei-diritti/

Andare oltre i centri di permanenza per i rimpatrihttps://www.meltingpot.org/2023/04/andare-oltre-i-centri-di-permanenza-per-i-rimpatri-cpr/

https://www.la7.it/piazzapulita/video/linferno-dei-cpr-tra-violenze-e-psicofarmaci-25-05-2023-487174

https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare/

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Ma ora analizziamo storicamente il problema della psichiatria:

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Nel 1975, col nuovo Ordinamento Penitenziario (legge n. 354/1975), viene rinominato il manicomio giudiziario in Ospedale Psichiatrico Giudiziario (O.P.G.). Si cambia la visione dell’internato che passa da persona che deve essere prevalentemente punita, a malato che deve essere principalmente curato; da qui anche la scelta del nome “ospedale”. Il 1978 è l’anno della grande riforma: la legge 180 “Norme per gli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” (cosiddetta legge Basaglia) che, successivamente confluirà nella legge n. 833/1978 di riforma del Sistema Sanitario Nazionale. La svolta epocale si ha nel 2003 con la sentenza della Corte costituzionale n. 253, dove il ricovero in Ospedali Psichiatrici Giudiziari (O.P.G.) viene visto come obbligo di legge e non come percorso terapeutico e personalizzato per il singolo autore di reato affetto da patologia psichiatrica. Deve arrivare il 1° aprile 2008 perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri riconosca gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari come parte integrante della medicina penitenziaria e di conseguenza dia l’incarico alle Regioni di prevedere percorsi riabilitativi per i pazienti dimissibili dal regime carcerario. La legge 30/5/ 2014 n. 81 converte il decreto-legge 31/3/2014, n. 52, recante “disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”, ma mantiene la volontà di non modificare il sistema del doppio binario, la sanitarizzazione delle misure di sicurezza e l’idea che le strutture che accolgono i pazienti siano di tipo sanitario. Ufficialmente si arriva alla chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari il 31/3/2015. Vengono così instituite per questi utenti  le REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) che vedono la collaborazione tra il Ministero di Giustizia e il Ministero della Salute.

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Questo è il link per vedere il reportage andato in onda domenica 23 luglio su Rainews24 dal titolo “La STORIA DI MATTIA – Il più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia ” a cura di Maria Elena Scandaliato. Un’ indagine sulla morte di Mattia Giordani e sui maltrattamenti avvenuti nel 2016 nella struttura per disabili di Montalto di Fauglia in provincia di Pisa gestita dalla fondazione Stella Maris. https://www.rainews.it/rubriche/spotlight/video/2023/07/Spotlight-del-25072023-d08c6796-2baf-4725-aec4-d6ec2d18133d.html

Questo è il link per vedere la trasmissione “il Diritto Fragile” dell’associazione Radicale “Diritti alla Follia” a cui abbiamo partecipato, come collettivo Artaud, insieme a Sondra Cerrai per parlare dei maltrattamenti avvenuti nell’estate del 2016 all’interno della struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Fondazione STELLA MARIS e della morte di Mattia Giordani.https://www.youtube.com/watch?v=YaXUHf4z7Lg

VERITA’ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS,

SOLIDARIETA’ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI!

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

via San Lorenzo 38, 56100 Pisa

antipsichiatriapisa@inventati.org

www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

Assemblea antipsichiatrica

https://www.pisatoday.it/eventi/siamo-tutti-legati-vicopisano-16-luglio-2021.html

Disabili picchiati e maltrattati nel centro psichiatrico: indagate pure tre educatrici.https://www.umbria24.it/cronaca/disabili-picchiati-e-maltrattati-nel-centro-psichiatrico-indagate-pure-tre-educatrici/

https://brescia.corriere.it/notizie/23_marzo_10/brescia-disabili-maltrattati-e-offesi-in-una-struttura-sanitaria-allontanati-cinque-operatori-sanitari-5e3ab9b8-e72e-47b2-b3d2-4d66add48xlk.shtml

https://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/psichiatria_infantile_ragazzo_denuncia_chioggia-7520571.html

https://www.fanpage.it/attualita/linfanzia-rubata-di-pino-spartaco-alberto-e-annamaria-bambini-internati-in-manicomio/

Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa: chiesti 2 anni e 2 mesi di carcere per 16 medici.https://www.cronachedellacampania.it/2018/12/ospedale-psichiatrico-giudiziario-di-aversa-chiesti-2-anni-e-2-mesi-di-carcere-per-16medici#:~:text=Aversa.-,Pazienti%20maltrattati%20e%20%E2%80%9Csequestrati%E2%80%9D%20all’OPG%20di%20Aversa.,Ministero%2C%20dinanzi%20al%20Giudice%20dott.

Psichiatria, ecco i 19 reparti dove non si lega nessuno

Ex OPG occupato:https://www.italiachecambia.org/2023/06/ex-opg-occupato-je-so-pazzo/

Un giorno tipo nella residenza psichiatrica ad alta protezione. “Cura”, o “contenimento”?

https://mattipersempre.it/

https://www.disabili.com/aiuto

http://collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.com/

 

Ora vi vogliamo mandare anche questo scritto importante fatto dal collettivo antipsichiatrico di Bologna:  

MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Siamo una rete di collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul territorio bolognese a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale. Portiamo il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə del carcere della Dozza, e contestiamo la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015, all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti “repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.

Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?

Nel 2014 chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale). Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per infermità mentale” (definiti “folli rei”), un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio (definiti “rei folli”) e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé lunghe lista di attesa. Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori. Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.

Il carcere-manicomio:

Quando il carcere si trasforma in manicomio: la tragedia della salute mentale in cella, tra suicidi, violenza e abbandono - la Repubblica

l’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione. Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonché dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo né vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui coi familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20/10/2022, uno sciopero della fame contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”.

In piazza “contro 41 bis ed ergastolo ostativo” – Zic.it | Zeroincondott☆

Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti. Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico (un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così) ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Ecco in che condizioni vivono i malati psichiatrici in carcere e nelle Rems - L'Espresso

Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto

A Bologna l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede 5 posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere. Nel 2020/’21 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15/2/2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio. Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.

https://ristretti.org/pozzuoli-na-detenuta-nel-reparto-articolazione-psichiatrica-muore-a-37-anni

Psicoradio, il disagio mentale spiegato dai pazienti psichiatrici: "Rompiamo gli stereotipi" - YouTube

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Al minimo segno di ribellione, tutto il peso

del governo, della legge e dell’ordine ti cadrà

sulla testa, a cominciare dal manganello,

dal poliziotto, dal carcere, dalla prigione,

fino alla forca o alla sedia elettrica.

A. Berkman

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Solidarietà ai compagni Anarchici reclusi

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Michelle, 17 anni, uccisa a causa della guerra tra poveri creata dallo Stato

ArchiDiAP » Quartiere di Torrevecchia

Al Bronx di Roma, zona Torrevecchia – Primavalle,  il 1 luglio viene uccisa Michelle Causo, una ragazza di solo 17 anni. La ragazza era stata trovata morta dentro a un carrello. L’autopsia ha constatato che è stata uccisa con 6 coltellate al collo e alla schiena e aveva cercato di difendersi. Il fidanzato della ragazza racconta ai mass media che lui e Michelle stavano insieme da un anno e 7 mesi, “non vedevamo l’ora che arrivasse l’estate per andare in vacanza assieme e invece me l’anno uccisa in quel modo crudele”. Per l’omicidio della ragazza è stato arrestato un 17enne di origini cingalesi. Michelle Causo era Cresciuta in un contesto difficile ed era più matura della sua età. Faceva volontariato e aveva il fidanzato che le voleva bene, poi c’erano gli amici.

Era troppo buona per quel contesto sociale crudele e prestava soldi a tutti gli amici. Si pensa che sia stata uccisa per 40 euro che non ha dato all’omicida. Per la famiglia di Michelle, “c’è un complice”.

Michelle Maria viveva a Primavalle, un quartiere alla periferia nord-est di Roma. Il presunto assassino, O.D.S. (le iniziali del nome), che ora si trova recluso nel carcere minorile di Casal di Marmo (foto sotto), con l’accusa di omicidio volontario, avrebbe agito sotto l’effetto di droghe e farmaci. L’omicidio si è consumato nell’appartamento al 2° piano di una palazzina in via Dusmet, dove il presunto assassino vive con la madre. Durante il sopralluogo, quelli della scientifica hanno evidenziato tracce di sangue in tutte le stanze dell’abitazione, segno che la vittima ha lottato con l’aggressore. L’assassino aveva appena preso un mix micidiale di droghe purple drank la droga in voga oggi tra i giovani.

Detenuti provocano incendio nel carcere minorile di Casal del Marmo. SAPPE:  "Anche giustizia minorile, come DAP, è allo sbando"

Dopo l’omicidio, il 17enne ha infilato il cadavere di Michelle in un sacco nero per poi trasportarlo con un carrello della spesa dalla sua abitazione fino ai cassonetti dei rifiuti in via Borgia, dove lo ha abbandonato. I genitori dichiarano che: “lei era una ragazza forte, non si sarebbe mai fatta sottomettere. Si menava pure coi maschi”. Il ragazzo sospettato di aver ucciso Michelle era un rapper alle prime armi, quando è stato arrestato indossava le scarpe ancora sporche di sangue. Tra i due quartieri dove vivevano i ragazzi, c’è un certo astio, tra chi abita nel Bronx di Torrevecchia e chi viveva al Bronx di Primavalle. Le risse tra i due quartieri (guerra tra poveri), sono all’ordine del giorno. L’omicida viene descritto come una persona violenta che se la prendeva coi più deboli e con le ragazze. Nelle periferie, le opportunità non sono uguali per tutti: Cosa nostra, la Camorra, la Sacra Corona Unita e la ‘Ndrangheta coi loro compari sbirri, per esempio, ci hanno sempre sguazzato e si sono arricchiti. Nel 2018 il governo ha dichiarato di nuovo guerra alla povertà togliendo il diritto dello Statuto dei lavoratori e l’articolo 18, rimettendoci in condizioni di essere sfruttati e di lavorare in nero; coi contratti farlocchi del libero mercato, ci hanno obbligati di nuovo a vivere in condizioni sociali di sopravvivenza, ricreando la guerra tra poveri e incentivando la mafia (coi suoi compari) e la chiesa, che hanno sempre approfittato e speculato sulle disgrazie della povera gente; la chiesa si è talmente ingrassata che ha costruito, con le disgrazie dei poveri, una banca mondiale chiamata IOR. Sono più di 100mila le bambine, i bambini e gli adolescenti che vivono in uno dei Comuni sciolti per infiltrazioni della criminalità. Le abitazioni sono costruite con materiali scadenti come: mattoni recuperati, cartongesso e lamiere di Eternit. I problemi comuni in questi quartieri sono: il degrado, la criminalità diffusa e gravi problemi di igiene pubblica dovuti alla mancanza di idonei sistemi di fognatura e acqua potabile. Milano è la provincia leader in Italia per crimini. Il che spiega in parte le diseguaglianze e la vicinanza tra ricchezza e povertà,  viene anche considerata la centralità della città e i movimenti di denaro, la rendono un centro prono a essere attraversato dal crimine. Come anticipato, nascere in un quartiere piuttosto che in un altro influisce su ciò a cui la singola persona può accedere al suo paniere di possibilità. Quartieri con status socio economici bassi, quindi quartieri poveri, se non addirittura degradati, tendono ad avere un tasso criminale più alto. I giovani che abitano in questi quartieri sono più a rischio di essere coinvolti in atti criminali per sopravvivere. L’esposizione al crimine è precoce e, unita alle necessità economiche, aumenta il rischio per i ragazzi di esserne coinvolti: all’inizio sono pochi soldi, per comprare quelle cose che in casa non sono inserite nel bilancio familiare, poi  diventano quegli status symbol che il capitalismo impone, fa percepire come fondamentali. Subentra poi la dimensione carceraria, ormai certificata come evento di cristallizzazione della microcriminalità. Chi era già socialmente espulso viene confinato in un ambiente che non offre reali mezzi e possibilità di rielaborazione del sé e delle proprie prospettive, piuttosto viene investito di un nuovo stigma e annientato dalla consapevolezza che, una volta fuori, sarà ancora più difficile trovare un lavoro. Quando questa crudele e sozza società inizierà a ricordarsi di questi spazi dimenticati, rilevanti solo in periodi elettorali, o quando succedono eventi drammatici? Persone che abitano l’orlo esterno della città, nate con la stessa assenza di colpe di chi ha avuto la fortuna e la ricchezza di nascere in centro, ma a differenza loro relegate sin dal principio nel volume della lontananza, dell’assenza e dello stigma. Quello che chiamano colpa ma che in realtà è disuguaglianza: lo svantaggio urbano. I quartieri si dividono in: quartieri residenziali e quartieri alti, i cui abitanti sono in prevalenza benestanti. Poi ci sono i quartieri popolari dove ci abitano le fasce più povere della popolazione.

Immagine Via Montenapoleone

Il quartiere più ricco di Milano, ad esempio, è Montenapoleone (foto sopra), segue il quartiere Indipendenza-Risorgimento con una concentrazione di reddito che si aggira intorno ai 75mila euro e Monforte-Ticinese. Poi ci sono i quartieri più poveri che  sono “dentro” alle periferie di tutte le città italiane, dove le persone vivono senza diritti e sono costretti a sopravvivere e la gente mediocre, comune, li considerano quindi più pericolosi. Noti per il tasso di delinquenza, il degrado, il senso di emarginazione. Nei quartieri poveri vivono migliaia e migliaia di persone a cui, ancora oggi, sono “riservate” condizioni di estrema sopravvivenza e la qualità della vita è ridotta al minimo. Uno dei quartieri più poveri di Milano è Quarto Oggiaro, dove si sopravvive anche con lo spaccio di droga, lavorando quindi per la criminalità organizzata: Cosa nostra, la Camorra, la Sacra Corona Unita e la ‘Ndrangheta, difesi dai loro compaesani sbirri che li raccomandano e li rendono impuniti. A Quarto Oggiaro non è affatto complicato trovare dei minorenni completamente immersi nel mondo degli stupefacenti, sia come spacciatori che come utilizzatori, e non pochi sono i giovani che per questo perdono la vita nella solitudine dei vicoli del quartiere. La dispersione scolastica supera il 30%. In questi quartieri c’è anche un flusso di immigrati sfruttati dal mondo del lavoro che, non conoscendo il costo della vita, lavorano in nero anche per 2 euro all’ora. Poi tra i quartieri poveri di Milano c’è la Barona; Corvetto; Via Padova; San Siro dove esistono occupazioni abusive, spaccio e scontri fra clan. A Palermo c’è il quartiere Zen, dove si spaccia in maniera eclatante in ogni ora del giorno e della notte. Qui la “dispersione scolastica” è tra le più alte in Italia (2 ragazzi su 3 abbandonano la scuola per entrare nella micro criminalità). Qui tantissime famiglie sono povere e vivono ammassate in dei veri e propri tuguri e i bambini giocano tra rifiuti. Poi c’è il quartiere Forcella a Napoli, dove il tasso di disoccupazione è endemico ed è tra i più alti della città che pure ha disoccupati in tutte le sue parti. Qui si abbandona la scuola come nulla fosse e si inizia la carriera della strada, del lavoro nero, della emarginazione. Qui l’emarginazione sociale diventa micro e macro criminalità e prende varie forme. Il quadro non è confortante e nei momenti storici peggiori Forcella ha donato terreno fertile alla criminalità organizzata (la Camorra, in particolare).

Poi c’è il quartiere Corviale di Roma (foto sopra), dove comanda er Palletta, legato alla destra estrema (che in quel quartiere sta raccogliendo voti cavalcando il malcontento). In questo quartiere romano, tra degrado e disperazione totale, un ruolo di grandissimo rilievo è ricoperto dalla ‘polvere bianca’ e, comunque, in genere da qualsiasi tipologia di droga. Il quartiere Corviale viene chiamato anche ‘il serpentone’  per via della sua lunghezza, l’edificio principale è lungo quasi un chilometro. Il complesso, che accoglie circa 4500 abitanti, è formato essenzialmente da tre edifici: la monumentale “stecca” principale, un unico corpo di 986 metri di lunghezza per nove piani (30 metri di altezza); un secondo corpo più basso, parallelo al primo, di tre-cinque piani; ed un terzo corpo orientato di 45° rispetto ai primi due. Di proprietà dell’ATER del Comune di Roma (ex IACP, Istituto Autonomo Case Popolari), il complesso è stato progettato a partire dal 1972 da un team di 23 architetti coordinati dal massomafioso Mario Fiorentino. Poi c’è il quartiere povero della Vallette a Torino dove c’è un carcere, che dà il senso di una condizione sociale. Le Vallette è lo “sfortunato” quartiere di Torino che sembra essere nato per custodire quella parte della città un po’ meno considerata sin dagli anni ’50. Le Vallette per i torinesi è sinonimo ed epicentro della delinquenza giovanile e di tante situazioni sociali difficili, di disagio di sopravvivenza e povertà economica. Poi c’è il quartiere Begato di Genova (foto sopra): è tra i quartieri più poveri in Italia, uno dei peggiori in assoluto come condizione sociale di sopravvivenza. Agglomerati di tetragoni edifici alveari, il quartiere è definito una “discarica”, dove si sopravvive asserragliati, come sospesi nel mondo. Il quartiere Begato è situato nella periferia di Genova ed è stato ribattezzato come il “Quartiere dei morti ammazzati”, il nome rende bene l’idea. Tra carcasse di auto abbandonate ed edifici in completo stato di abbandono.

Genova, un'ex autorimessa abbandonata diverrà la sede dei servizi di quartiere a Begato

Cresce la miseria e i giovani sono allo sbaraglio senza punti di riferimento, senza ideali né sogni, l’unico esempio da seguire è la criminalità organizzata, che ti insegna come fare i soldi facili, e ti fa credere che nella vita i soldi sono tutto, servono per farti rispettare e fare la bella vita, piena di privilegi; viceversa, se non hai i soldi non ottieni nemmeno i ‘diritti fondamentali’. L’assurdo è che la gente comune, mediocre, non si preoccupa del contesto sociale, dei giovani che crescono senza diritti e si scannano tra di loro, si preoccupano solo per il fenomeno delle baby gang (giovani minorenni allo sbaraglio senza ideali e senza punti di riferimento, come negli anni ‘60/’70). Questi gruppi di adolescenti, talvolta poco più che bambini, riproducono dinamiche tipiche della microcriminalità organizzata e commettono scippi, furti e rapine. I ragazzini si associano a formare una banda, per dimostrare a sé stessi e al mondo di esistere, con un passato e un presente di povertà ed emarginazione. In Italia circa il 12% dei bambini e degli adolescenti si trova in povertà assoluta. Nel corso dell’ultimo decennio, a causa della crisi economica, le condizioni materiali di una parte importante della popolazione sono peggiorate. Nel 2005 si trovava in povertà assoluta il 3,3% dei residenti in Italia. Dodici anni più tardi, nel 2017, questa quota è più che raddoppiata, e ha raggiunto l’8,4%. Sono considerate in povertà assoluta le famiglie e le persone che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile. Una tendenza che purtroppo non ha risparmiato bambini e adolescenti. Anzi, l’incidenza della povertà assoluta è più alta proprio tra i minori di 18 anni. Gli over 65 erano i più colpiti (il 4,5% era in povertà assoluta già prima della crisi). Negli ultimi anni sono aumentate anche le difficoltà per le famiglie con figli. L’aspetto più odioso è quello che i governanti non riservano diritti e possibilità ai poveri, ma questo è un problema che sussiste già dal dopoguerra, quando le istituzioni hanno risolto il problema costruendo case popolari (ghetti), senza riuscire a proteggerli da una condizione di povertà assoluta. Ma sul lungo termine rischia anche di essere uno degli errori strategici più gravi che una società può compiere. Significa infatti impoverire il proprio capitale umano, pagando un costo sociale ed economico che rischia di essere molto alto.

In via Zamagna 4, quartiere San Siro, periferia ovest di Milano (foto sopra), i muri delle case popolari cadono a pezzi. La povertà economica va a braccetto con quella educativa. Poveri, ai margini delle città, nelle periferie e in scuole non sicure. Su 9,8 milioni di minori residenti in Italia nel 2018, almeno 3,6 milioni di bambini e adolescenti vivono nelle 14 principali aree metropolitane del Paese. Un milione e 200mila ragazzi si trovano in stato di povertà assoluta e frequentano scuole senza agibilità, con spazi educativi e di socialità carenti, come le scuole e l’oratorio, che ti impongono una educazione omologata e repressiva. Nell’Italia del 2019 mancano centri sociali per alzarsi di livello culturale e per la libera espressione, mancano biblioteche, palestre e aule multimediali. I Quartieri più poveri in Italia si chiamano ghetti, banlieues in Francia, problemområde in Svezia, favelas in Brasile, villa miseria in Argentina, problemquartier in Germania, bairro degradado in Portogallo, ciudad perdida in Messico, varosin in Turchia: sono luoghi noti, per chi vive al loro interno o all’esterno, come zone dove è normale vivere senza diritti, sono considerati quartieri della sopravvivenza, della deprivazione e dell’abbandono, i quartieri selvaggi della città da temere e da cui fuggire, perché rappresentanti focolai di violenza e vizi. I “buoni” ed i “cattivi” si trovano ovunque a prescindere dall’appartenenza culturale, si è concretizzata la stigmatizzazione e l’etnicizzazione del pericolo con ulteriore spinta alla marginalizzazione.  La povera gente è costretta ad occupare abusivamente le case sfitte perché  si trovano in  grande difficoltà, disperate. A gestire le occupazioni sono però spesso i racket di Cosa nostra, della Camorra, della Sacra Corona Unita e della ‘Ndrangheta,  organizzazioni che si sostituiscono agli enti preposti e fanno soldi distribuendo appartamenti vuoti perché in pessime condizioni, oppure il cui legittimo affittuario, magari anziano, è ricoverato in ospedale; si lucra sulla disperazione, ma bisogna ricordare che spesso si tratta di una guerra tra poveri, poveri che attendono l’assegnazione e poveri che occupano la casa perché non sanno letteralmente dove vivere. Il degrado sociale cronico presente in tutte le aree periferiche d’Italia, non solo non viene affrontato da decenni e decenni, se non come business (politiche nazionali, regionali e locali), politiche sociali opposte ai loro bisogni, ma continueranno ad essere non affrontate con la serietà necessaria perché è il paradigma macroeconomico dominante che non funziona, e non può funzionare se non si cambia radicalmente. Dagli anni ’60 si costruiscono casermoni con soli fini speculativi e, secondo l’ideologia dominante, considerate case per il popolo operaio e “ignorante” dal sud al nord, per l’esigenza del capitale industriale del momento. Ora il disagio sociale è aumentato con la crescente ondata migratoria, con una densità in questi quartieri dove il peggioramento progressivo delle condizioni di lavoro, con licenziamenti sempre più di massa, e chiusura di attività commerciali, ha peggiorato la condizione sociale. Ma se non si cambia radicalmente il paradigma economico neoliberista dominante non ci sono alternative al progressivo degrado di queste realtà periferiche in vere e proprie banlieu dominate dal degrado. Ci vogliono enormi investimenti pubblici come i 240 miliardi del PNNR (sono già arrivati ma non si sa dove sono finiti, chi se li è mangiati: la solita massomafia?), ci vuole una gestione pubblica, una cultura politica dell’attenzione, dell’ascolto, e poi lavoro, tanto lavoro per dare diritti a tutti al difuori della classe sociale. Basterebbe attivare la piena occupazione e la piena attuazione del dettato costituzionale originario del 1948.

Ricordiamoci che i delinquenti sono loro, non i poveri costretti a vivere in sopravvivenza e di microcriminalità: Nella trattativa stato-mafia sono stati coinvolti: politici, generali, toghe. La corte d’assise d’appello di Palermo ha assolto l’ex senatore Marcello Dell’Utri (a destra nella foto) e gli ufficiali dei carabinieri, Mario Mori, Giuseppe De Donno e Mario Subranni nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-Mafia: sono rimasti impuniti! Con tutti i soldi che hanno fatto con le gare d’appalto dello Stato e mammasantissima, hanno attuato il solito gioco sporco di comperarsi gli avvocati e i magistrati. Nel caso del processo sulla Trattativa Stato- Mafia, il generale P2ista dei carabinieri Mori è stato considerato l’anello di congiunzione tra pezzi deviati dello Stato e Cosa nostra. Tra di loro c’era anche Calogero Mannino, Colonna della Dc siciliana, 6 volte parlamentare, 5 volte ministro. L’assoluzione, già ricevuta in Appello, era arrivata l’’11 dicembre 2020 anche in Cassazione.

Ma facciamo un po’ di storia per capire il problema: Il 26/10/1969 avvenne una riunione mafiosa a Montalto per partecipare al Golpe Borghese. ll golpe Borghese fu un tentato colpo di Stato avvenuto in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 e organizzato dal principe  Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, in collaborazione con Avanguardia Nazionale. Tra il luglio 1970 e febbraio 1971 durante i Fatti di Reggio, capeggiati da Ciccio Franco del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, alcune ‘ndrine stavano dalla parte della destra e altre con la sinistra. Una linea diretta univa la ‘ndrangheta coi golpisti, Licio Gelli Gran Maestro del Grande Oriente, della loggia massonica P2, rappresentato da Lino Salvini, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, accompagnato dai massoni marchesi Felice e Carmelo Genovese Zerbi, servizi segreti italiani coi generali Gianadelio Maletti e Vito Miceli tesserati della loggia massonica P2, l’ammiraglio Gino Birindelli, CIA, Richard Nixon, alcuni generali dei carabinieri e Stefano Delle Chiaie (foto sotto), politico dell’estrema destra, fondatore di Avanguardia Nazionale. Già nel 1970, si sono verificate inchieste in relazione a rapporti con massoni, rapporti con servizi segreti, omicidi, scioglimento di comuni per infiltrazioni mafiosa e arresti di politici. Sono ormai fatti noti i collegamenti in passato con la destra eversiva, che ha appoggiato anche la DC, il PSI, il PRI, il PSDI e il PLI.

Basta pagliacci! Dateci i nostri diritti per evitare che ci incattiviamo troppo e veniamo da voi direttamente! Intanto evitiamo di  ammazzarci tra noi poveri! Politici, ricchi borghesi, massomafiosi, ve la facciamo pagare per le tante ingiustizie sociali che avete creato e abbiamo dovuto subire e stiamo ancora subendo.

Se solo lo Ior, la banca mondiale del vaticano, distribuisse i soldi fatti con le speculazioni dei poveri, non esisterebbero più poveri. Meditate mediocri meditate!!

Basta guerre basta armi! che interessano solo alla massomafia  per arricchirsi  sempre più e ottenere più potere!!

Solidarietà a tutti i compagni e compagne anarchici utopisti e sognatori incarcerati ingiustamente per aver lottato per creare un mondo migliore. Ci ritroveremo in piazza a protestare tutti assieme!!

Ne’ destra, ne’ sinistra: non votare! Combatti il potere che ci ha tolto i diritti!! W l’anarchia l’unica via!

Compagni,  per una botta di vita, ascoltatevi queste canzoni:

Assalti Frontali – “ROMA METICCIA”https://www.youtube.com/watch?v=DDiyBA94w_g

Assalti Frontali – COURAGEhttps://www.youtube.com/watch?v=IBeujI0dEpk

Gli Anarchici – Léo Ferréhttps://www.youtube.com/watch?v=BYvGXCvjIas

Il Ballo Di Aureliano – ModenaCityRamblershttps://www.youtube.com/watch?v=1mOLV2w-W9s

Il Ritorno Di Paddy Garciahttps://www.youtube.com/watch?v=impQwh4qwy4

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L’essenza dell’anarchia: la condizione in cui

ognuno può scegliere nella vita qualsiasi

ruolo e rappresentarlo fino in fondo.

J. Beck

 

Rsp (individualità Anarchiche)

Allarme: il compagno Anarchico Cospito stava morendo in ospedale!

Il  23 marzo, la procura generale di Milano ha negato gli arresti  domiciliari al compagno Anarchico Alfredo Cospito, dichiarando ai mass media: “resti al 41 bis in ospedale. La decisione finale avverrà non prima di lunedì”.

Cospito, in sciopero della fame da oltre 100 giorni (per protestare contro il 41 bis), ha avuto un malore in carcere dove rischia anche la paralisi permanente,  oggi è ricoverato nell’ ospedale San Paolo di Milano sempre in regime 41 bis.  Proprio venerdì scorso aveva deciso di assumere finalmente almeno  gli integratori, in vista dell’udienza di ieri che doveva decidere per dargli gli  arresti domiciliari per problemi di salute a casa della sorella, la giuria cattofascista gli ha negato il diritto ad usufruirne .

Figurati se quelle merde cattofasciste anticostituzionali lo lasciavano andare a casa agli arresti domiciliari… Sanno benissimo che lo stanno uccidendo (come hanno fatto con Cucchi, Aldrovandi , Pinelli, Carlo Giuliani, Giulio Regeni, Giuseppe Uva, Mastrogiovanni, Sole e Baleno, ecc.). Figurati se quelle merdacce senza scrupoli ne’ sentimenti (ricordiamoci dell’eccidio degli zingari e degli ebrei , lo mandavano agli arresti domiciliari: prima hanno aspettato che la sua situazione clinica peggiorasse con una crisi cardiaca, solo allora il potere della magistratura ha deciso di mandarlo  all’ospedale , quando ormai fisicamente è a pezzi, gli hanno dato assistenza, ma solo perché aveva accusato un malore,  una crisi cardiaca. Sanno di creare un’insurrezione sociale se il compagno Alfredo muore in carcere).  Figurati se non hanno pianificato anche questo a livello militare!!

Come per esempio L’OPERAZIONE BLUE MOON: QUANDO I SERVIZI SEGRETI DIFFUSERO LE DROGHE PESANTI NEI MOVIMENTI DEGLI ANNI ‘60/’70  PER FERMARE LA RIVOLUZIONE,  O COME IL PIANO MILITARE DELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE, sempre NEGLI ANNI ’60/’70, FATTO DI COLPI DI STATO, come ad  esempio:

Rosa dei venti: fu un’organizzazione occulta italiana di stampo neofascista, collegata con ambienti militari. L’opinione pubblica battezzò  L'”organizzazione terrorista”, chiamandola con ironia “Supersid” o “Sid parallelo”. L’organizzazione  sarebbe nata negli anni ‘60 contestualmente alla progettazione militare del Piano Solo, ed avrebbe avuto una sorta di battesimo del fuoco nella controguerriglia in Alto Adige.

Piano Solo – un colpo di stato fatto solo dai carabinieri, comandati dal generale dei carabinieri Giovanni de Lorenzo nel 1964, con il benestare del Presidente della Repubblica Antonio Segni, il loro obbiettivo perverso era il controllo delle istituzioni e detenzione degli oppositori politici (anarchici e comunisti).

Golpe bianco: un colpo di stato di stampo liberale e presidenzialista, promosso da ex cattolici partigiani bianchi antifascisti e anticomunisti, nel 1974.

Golpe Borghese: organizzato il 7 e l’8 dicembre 1970 dal principe  Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, in collaborazione con Avanguardia Nazionale.

Come abbiamo detto prima,  il piano militare della strategia della tensione prevedeva anche STRAGI DI STATO:

Il 25 aprile 1969 scoppia una bomba al padiglione FIAT della Fiera di Milano, provocando diversi feriti gravi, e un’altra bomba viene ritrovata all’Ufficio Cambi della stazione Centrale. Qualche mese dopo, il 9 agosto vengono fatte scoppiare 8 bombe su diversi treni, che provocano 12 feriti.

Il 12 dicembre 1969 una bomba esplose all’interno della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, provocando 17 vittime e 88 feriti, quel giorno arrestarono il compagno Giuseppe Pinelli e lo torturarono e picchiarono in questura perché, gli sbirri infami e bastardi, volevano che il compagno Pinelli firmasse un verbale dove ammetteva a tutti i costi che la strage di Piazza fontana l’aveva fatta lui anche se invece era innocente.  Ma il compagno Anarchico invece non voleva arrendersi  e incolparsi di quel eccidio che noi Anarchici non avremmo mai fatto, perché sarebbe stato in contraddizione coi nostri sogni – ideali, e quindi continuava a urlare (intanto che lo stavano torturando), che la strage era stata fatta e organizzata dal terrorismo dello stato e non da noi anarchici, e i bastardi trogloditi lo hanno buttato giù dalla finestra della caserma perché non voleva cedere ai loro ricatti. Nello stesso giorno viene trovata una seconda bomba inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala, mentre altre 3 bombe esplosero a Roma, una nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio (tredici feriti) e altre due nei pressi dell’Altare della Patria (quattro feriti).

Il 22 luglio 1970 un treno deraglia sui binari sabotati precedentemente da una bomba nei pressi della stazione di Gioia Tauro (foto sopra), uccidendo sei persone e ferendone una sessantina.

Il 17 maggio 1973 il sedicente anarchico Gianfranco Bertoli , ex militante/infiltrato del PCI, subordinato e  informatore dei cc e dei servizi segreti, lanciò una bomba a mano sulla folla durante una cerimonia davanti alla Questura di Milano, provocando quattro vittime e una quarantina di feriti.

Dal 30 aprile 1974 al 26 maggio 1975 una serie di esplosioni provocano un morto e venti feriti a Savona.

Il 28 maggio 1974, durante una manifestazione sindacale in piazza della Loggia a Brescia, una bomba nascosta in un cestino portarifiuti uccise otto persone mentre un centinaio rimasero ferite.

Il 4 agosto 1974 una bomba esplose su una carrozza del treno Italicus all’uscita della grande galleria dell’Appennino, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, provocando 12 vittime e 105feriti.

Il 2 agosto 1980 una bomba esplose nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, uccidendo 85 persone e provocando circa duecento feriti.

Il 23 dicembre 1984 una bomba esplose su una carrozza del Rapido 904, ancora presso la grande galleria dell’Appennino a San Benedetto Val di Sambro, in cui diciassette persone persero la vita e oltre duecentosessanta rimasero ferite.

Il 2 agosto 2021 il parlamento italiano stesso (miracolo sant’ Antonio!)  quarantuno anni dopo la strage di Bologna, ha annunciato ai mass media che volevano  togliere  il segreto di stato e rendere visibili i documenti desegretati anche all’opinione pubblica, hanno chiesto il versamento anticipato all’Archivio centrale dello stato della documentazione conservata presso gli archivi degli organismi d’intelligence e delle amministrazioni statali riguardante l’organizzazione atlantica Gladio e la loggia massonica P2 (non è successo niente, non hanno ancora tolto il segreto di stato (Top Secret), tutto occultato ancora, dopo più di 50 anni di segreto di stato militare, non tutti i documenti sono stato desegretati!

Secondo la commissione Anselmi, tra i vari crimini attribuiti alla P2, oltre al cospirazionismo politico per assumere il controllo dell’Italia, si possono citare la strage dell’Italicus, la strage di Bologna, lo scandalo del Banco Ambrosiano, l’assassinio di Roberto Calvi, l’assassinio di Albino Luciani (papa Giovanni Paolo I), il depistaggio sul rapimento di Aldo Moro, l’assassinio di Carmine Pecorelli e alcune affiliazioni con lo scandalo di Tangentopoli.

E il nostro compagno Anarchico Alfredo, che ha fatto solo un’azione diretta senza uccidere nessuno, è ancora in gaiòfa, sottoposto al regime rigido (disumano) del 41 Bis, ha dichiarato ai mass media, specificando che : “il più grande insulto per un anarchico è quello di essere accusato di dare o ricevere ordini”.  Noi non comandiamo e non serviamo nessuno.

Già lo scorso 6 marzo Cospito era stato trasferito all’ospedale San Paolo per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, ma il potere della magistratura lo ha ignorato e rimesso in carcere.

Il 9 marzo il compagno anarchico Cospito ricorre alla Cedu la Corte europea dei diritti umani per denunciare  il fatto che è stato violato un suo diritto: quello di essere stato condannato per un crimine politico per  l’attentato alla caserma dei carabinieri di Fossano, quando mise due bombe carta fuori dalla scuola allievi carabinieri in provincia di Cuneo, esplosi poi senza provocare morti o feriti. Nel corso del processo, Cospito è stato condannato prima per strage e quindi, dopo la pronuncia della Cassazione (per peggiorare di più la punizione cattofascista), per strage politica.

Secondo i suoi legali c’è stato un “trattamento discriminatorio da parte dello stato” e “l’aggravamento del trattamento sanzionatorio” da strage comune a strage di stato “ha ripercussioni negative  anche sull’accesso ai diritti penitenziari “.

Il compagno Anarchico Cospito con la sua azione diretta, voleva rivendicare la repressione e i traffici illeciti che gli sbirri P2 (associazione per delinquere – loggia della massoneria italiana, formata da alte gerarchie delle forze dell’ ordine), mettono in atto, indisturbati, da decenni . Cospito voleva rivendicare le tante ingiustizie fatte dalle forze del disordine , dallo scandalo dei nuclei clandestini dello stato, allo scandalo della  P2 e di Gladio, o  allo scandalo del Generale Ganzer, accusato negli anni ‘90 di traffico internazionale di droga e associazione a delinquere, o quello della caserma di Piacenza, dove sono stati condannati 5  carabinieri per lo scandalo della Caserma Levante,  accusati di torture, violenze e traffici di droga, oltre che di estorsioni e rapine.

 Il pm Antonio Colonna ha ricostruito le vicende sporche della caserma di Piacenza, dichiarando ai mass media : “il sistema Levante”, vedeva tutti gli imputati “accecati dai soldi, arroganti,  di chi si crede al di sopra delle regole”, capaci di tenere in piedi un sistema parallelo fatto di menzogne, di sequestri, di droga rivenduta attraverso pusher di fiducia, di arresti ‘architettati’ per aumentare le statistiche, di pestaggi con modalità tali da configurare la tortura ( tortura si configura ogni qual volta un soggetto “con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia”).

Merdacce! Peggio della mafia ignorante, sti sbirri…

L’ironia della vita: Cospito che non ha fatto stragi di stato e non ha ucciso nessuno, ma solo azioni dirette per cambiare e alzare il livello culturale delle persone mediocri, per un mondo giusto ed equo per tutti e non solo per i borghesucci leccaculi della massoneria (poteri forti che sostituiscono la monarchia o meglio, i residui della aristocrazia, sempre attaccati alle palle del prete per nascondere i loro sporchi peccati, sempre pronti a prendere la gloria e a speculare sulle disgrazie della povera gente.  Cospito, che non ha fatto stragi di stato e quindi nessun eccidio, viene giudicato e condannato con una legge anticostituzionale – fascista, al 41 bis, mentre gli sbirri spacciatori torturatori, sono agli arresti domiciliari. Vergogna! Pagliacci!!

Il potere gerarchico dello stato, ci voleva lasciare ignoranti, così ci potevano manovrare meglio e usarci sempre come servi sottopagati (sempre alla fame), invece già negli anni ’60, anche noi sottoproletari e proletari abbiamo capito l’importanza di studiare ed evolverci, è lì che comincia davvero la  rivoluzione  per tutti e non solo per gli interessi della borghesia opportunista spilorcia e attaccata ai soldi , morta di fame , che ci ha sempre lasciato i loro scarti (e dovevamo anche ringraziarli) e ogni tanto per darci l’accontentino, ci lanciavano dalla finestra qualche briciola di pane, per creare la guerra tra noi poveri alla fame e nella  miseria, senza diritti, senza futuro per i nostri figli. Tutto questo fin dai tempi dei templari!

BASTA COL BUSINESS DELLE CARCERI!

BASTA GUERRE! BASTA ARMI!!

BASTA CONTROLLORI: CHI CONTROLLA POI IL CONTROLLORE?

 

Le bastiglie le abbattono i popoli:

i governi le costruiscono e le conservano.

Carlo Cafiero

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Il vizio del potere di speculare sulle disgrazie, non è ancora finito

MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO
Siamo una rete di collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul territorio a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale.
UilPa - Foto visita della CC di Bologna (16/09/13)
Il 28 gennaio alle 10:00 saremo in presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza (foto), per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015, all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti “repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.
Muore nel sonno nel carcere di Bologna: aveva 28 anni e nessun problema, disposta autopsia
Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?
Nel 2014 chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale).
Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per infermità mentale” – definiti “folli rei” – un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio – definiti “rei folli” – e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé lunghe lista di attesa.

Cambiano le parole ma non la sostanza, morto un OPG se ne fa un altro

OSS e la contenzione in spdc
Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori.
Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.

Il carcere-manicomio


L’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione.
 Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonchè dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo nè vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui con i familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20 ottobre 2022, uno sciopero della fame ad oltranza contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”.

Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti


Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così – ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto
A Bologna l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede 5 posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel 2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15/2/2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio.


Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.

Per questo invitiamo tuttə sabato 28 gennaio a Bologna e a Imola, per una giornata di lotta antipsichiatrica, approfondimento e scambio.
Assemblea antipsichiatrica

Giornata di lotta antipsichiatrica - Osservatorio Repressione

Bologna

Alle 10:00 presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica presente a Bologna unicamente all’interno del femminile – oltre che la recente sezione “nido”, istituita accanto.

Imola (Spazio autogestito Brigata Prociona)*

Alle 13:30 pranzo a cura del Vascello Vegano a sostegno della biblioteca antipsichiatrica del Collettivo Strappi

Alle 18:00 presentazione del libro “Divieto di Infanzia. Psichiatria, controllo e profitto”.“Attualmente a scuola sono sempre di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche. L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta una bambina o bambino disturba o contrasta i programmi formativi.” Ne parliamo con gli autori Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu.

Alle 20:00 cena benefit per la nuova Cassa di solidarietà e mutuo soccorso antipsichiatrica

Alle 21:30 “The Jackson Pollock” live, duo Garage Punk dal sound esplosivo!

* Per raggiungere il Brigata in via Riccione 4 a Imola : dalla stazione uscire sul retro (lato via Serraglio) svoltare alla prima a sinistra (via Cesena) dopodichè la prima a destra è via Riccione.

 

Ringraziamo il Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, per averci mandato questo materiale.

 

https://www.antigone.it/osservatorio_detenzione/emilia-romagna/84-casa-circondariale-di-bologna-dozza

Il carcere come i manicomi e la via indicata da Basaglia. di Francesca de Carolis

Il carcere manicomio di Salvatore Verde

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp(individualità Anarchiche)

Bologna insorge: siamo tutti con voi!!!

 

Tenetevi libere/i il 22 ottobre: convergere per insorgere, a Bologna - CampiAperti

Noi Ricercatori senza Padroni volevamo dare la nostra solidarietà a tutti i compagni che si ritrovano oggi a Bologna, alla manifestazione “Convergere per insorgere” dopo tantissimo tempo di restrizioni a causa del  LOCKDOWN (terrorismo psicologico) prodotto dalla diffusione globale di un virus creato in laboratorio. Il vaccino contro il COVID-19  è stato il primo vaccino sperimentato con virus vivi modificati, non usavano più virus morti come era prima la prassi ma usavano virus vivi non ancora esperimentati, è stato questo il problema più grosso da affrontare, era quello di tutelare il cittadino dagli esperimenti nazisti, oltre al business economico che c’è dietro…  

I compagni oggi si ritrovano in piazza per rivendicare e puntualizzare le tante ingiustizie che stanno avvenendo in questa Italia democratica di centro (destra e sinistra assieme, fondata dai partigiani bianchi:  Andreotti e Kossiga negli anni ‘70). Un’Italia democratica ma anche Atlantica e anticomunista (Stey Behind). Si, proprio Andreotti e kossiga, in quel contesto sociale e militare che crearono e attuarono con le stragi di stato dove uccisero migliaia di civili (soprattutto donne, anziani, bambini), per incolpare e annientare Noi Anarchici troppo Utopisti e Sognatori per questo mondo troppo calcolatore, crudele, dove contano solo i soldi, il capitalismo e la politica massonica, il potere della chiesa e il potere militare (che è nelle mani di generali e sbirri), invece il potere massonico militare (P2), usava la mafia come braccio armato sin dai tempi dei gabellotti, per fare i loro lavori sporchi, senza regole (guardie del latifondismo).

https://www.ragusanews.com/resizer/resize.php?url=https://immagini.ragusanews.com//immagini_articoli/04-06-2015/1433428336-0-gabelle-gabelloti-e-gabelle-perse.jpg&size=738x500c0

Volevamo dirvi di stare in allerta, di stare attenti agli sbirri  (ricordatevi la trappola del G8), figurati adesso che abbiamo un governo di destra fascista… Gli sbirri erano bastardi con noi con la sinistra al potere figurati adesso che abbiamo la Meloni e La Russa: siamo direttamente in mano al fascio!! Siamo arrabbiati noi Anarchici, però dobbiamo stare attenti, non dobbiamo cadere nelle loro trappole.

Dovete stare attenti compagni perché se ieri avete occupato uno stabile per i senza tetto, gli sbirri trogloditi, sono ancora più bastardi.

Ricordiamo sempre il nostro compagno Giuseppe Pinelli ucciso in questura! Ricordiamoci dei compagni Sole e Baleno uccisi dal terrorismo psicologico pianificato dallo stato. Solidarietà a Vincenzo Cospito, arrestato per aver fatto un’azione diretta (senza aver ucciso nessuno), contro le armi nucleari, e ancora ingiustamente  in carcere, mentre le armi nucleari prolificano…

Volevamo segnalarvi anche questo:

Il 20 ottobre c’è stata la prima udienza del processo che vede coinvolti decine e decine di compagni e compagne del centro sociale Askatasuna e del Movimento No Tav con l’accusa di associazione a delinquere. Sembra il gioco sporco (trappola) fatto dalla Digos per incastrare i compagni Anarchici… Solidarietà ai compagni condannati ingiustamente solo perché lottano per la dignità e i diritti delle persone più svantaggiate nella vita (la povera gente) e che il capitalismo considera nemici, come per es. gli extracomunitari.

Stiamo analizzando per il prossimo articolo che vi manderemo in questi giorni,  lo  scandalo Pegasus, lo spyware, usato come arma di controllo sociale!!

PRATO: SGOMBERATO IL PRESIDIO DEGLI OPERAI LICENZIATI DALLA IRON&LOGISTICS, TENSIONE DAVANTI ALLA QUESTURA

https://www.radiondadurto.org/2022/10/21/prato-sgomberato-il-presidio-degli-operai-licenziati-dalla-ironlogistics-tensione-davanti-alla-questura/

Compagni! buona lotta a tutti !! soprattutto bisogna essere coraggiosi e filosofi per sopravvivere in questo periodo di mancanza di diritti!!.. Viva l’anarchia che ci da almeno le basi !!

 

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Claudio Lolli – Piazza, bella piazzahttps://www.youtube.com/watch?v=5rIi5Irdo74&t=195s

Ho visto anche degli zingari felicihttps://www.youtube.com/watch?v=t-i5omYFJlM

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Ti dicono di essere onesto e per tutta la vita

ti derubano. Ti ordinano di rispettare la legge,

e la legge protegge il capitalismo e ti rapina.

Ti insegnano che non bisogna uccidere, mentre

il governo impicca la gente, la manda sulla sedia

elettrica o la massacra in guerra.

Ti impongono di obbedire alla legge

ed al governo, anche se legge e governo

sono sinonimi di rapina e omicidio.

A. Berkman

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (Individualità Anarchiche)

23/8/1927: vengono ingiustamente giustiziati Sacco e Vanzetti

Oggi 23 agosto, dopo 95 anni ricordiamo i due compagni Anarchici Sacco e Vanzetti, uccisi ingiustamente e condannati nel 1927 alla sedia elettrica.

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti, furono al centro di un clamoroso caso di ingiustizia sociale che si concluse con la condanna a morte di entrambi (14 luglio 1921), accusati di aver ucciso una guardia e un contabile nel corso di una rapina. L’esecuzione della sentenza ebbe luogo il 23 agosto 1927, nonostante migliaia di cittadini avevano protestato contro quello che ritenevano un processo politico, svoltosi in un clima d’isteria antisovversiva e xenofoba.

L’ingiustizia subita da Sacco e Vanzetti, fu vista dalla massa come avvertimento contro il movimento e le loro proteste sociali.

Ma la storia di Sacco e Vanzetti, i due emigrati italiani accusati negli Stati Uniti di aver preso parte ad una rapina uccidendo un cassiere e una guardia, nonostante le prove evidenti della loro innocenza, non si chiudeva con la loro esecuzione.

Bartolomeo Vanzetti comprese che volevano condannarlo anche senza prove e  si rivolse alla giuria dicendo:  «Mai vivendo l’intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». Il destino dei due anarchici italiani, capri espiatori di un’ondata repressiva contro chi si ribellava al capitalismo e alle tante ingiustizie sociali che dovevano subire come prassi gli emigranti di allora (e ancora quelli di oggi), fu amaro.

Bartolomeo Vanzetti nacque nel 1888 a Villafalletto nel Cuneese ed era  figlio di un agricoltore. A vent’anni entra in contatto con le idee socialiste e, dopo la morte della madre Giovanna, decide di partire per l’America, miraggio di una vita migliore per gli italiani dei primi del Novecento. Stabilitosi nel Massachusets, milita in gruppi anarchici e nel 1917, per sfuggire all’arruolamento, si trasferisce in Messico. È qui che stringe amicizia con Nicola Sacco, pugliese, classe 1891. Da allora, Nick e Bart diventano inseparabili e frequentano i circoli anarchici.

Il 5 maggio 1920 Nick e Bart, vengono arrestati perché nei loro cappotti nascondevano volantini anarchici e alcune armi, i due vengono accusati anche di una rapina avvenuta a South Baintree, un sobborgo di Boston, poche settimane prima del  loro arresto, in cui erano stati uccisi a colpi di pistola due uomini, il cassiere della ditta – il calzaturificio ‘Slater and Morrill’ e una guardia giurata.

I due compagni Anarchici facevano parte del collettivo anarchico italo-americano in lotta contro il razzismo.

Solo nel 1977 il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, riconobbe ufficialmente l’errore giudiziario e riabilitò la memoria di Sacco e Vanzetti.

Dopo la condanna di  Sacco e Vanzetti, fu  subito chiaro a molti, in Europa e negli Stati Uniti, che il loro arresto nel 1920, inizialmente per possesso di armi e materiale sovversivo, poi con l’accusa di duplice omicidio commesso nel corso di una rapina nel Massachusetts, nonostante la completa mancanza di prove a loro carico, furono lo stesso condannati.

Sacco era un calzolaio, e Vanzetti un pescivendolo, furono  vittime di un’ondata repressiva e  razzista contro gli emigranti  che stava investendo l’America di Woodrow Wilson (il 28º presidente degli Stati Uniti in carica dal 1913 al 1921). Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici.

La pena di morte in America esiste ancora, certe volte perfino per degli innocenti, e il razzismo e la xenofobia sono in aumento. Non è difficile fare un paragone fra quel periodo e questo. Ancora oggi i tribunali fanno errori, errori gravi, come allora quando fu commesso un omicidio a fini esclusivamente politici. E anche il razzismo è  ancora vivo e vegeto, sia in Italia che negli Stati Uniti: non  sono stati fatti grandi passi avanti da allora. Se non fosse per Sacco, Vanzetti e tutti quelli che ancora lottano, sarebbe molto peggio.

Sacco e Vanzetti erano partiti per L’America come tanti loro concittadini che volevano riscattare il loro destino  e che partivano emigranti, per cercare fortuna.

Il caso di Sacco e Vanzetti  divenne presto al centro di una mobilitazione internazionale, con manifestazioni nelle maggiori città nordamericane ed europee ma anche a Buenos Aires, Tokyo, Citta del Messico, Sydney, Johannesburg. La comunità degli immigrati italiani era ovviamente in prima linea.

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“Io voglio un tetto per ogni famiglia, del pane per ogni bocca, educazione per ogni cuore, luce per ogni intelligenza… La mia vita non può assurgere a valore di esempio, comunque considerata. Anonima nella folla anonima, essa trae luce dal pensiero, dall’ideale che sospinge l’umanità verso migliori destini. E questo ideale io riassumo come balena nel mio pensiero” (da “Non piangete la mia morte”). Così scriveva Bartolomeo Vanzetti ai famigliari e amici poche ore prima di essere condannato a morte insieme al compagno pugliese Nicola Sacco. Un messaggio che fa di questa ingiusta condanna una morte simbolo. Fa di Nick e Bart le vittime sacrificali del pregiudizio verso gli immigrati, gli anarchici, gli ultimi. Meccanismo perverso di un sistema che mette in campo ogni strategia per difendere la propria sopravvivenza. Una morte la cui memoria è sempre viva e continua a ispirare nel tempo cantautori, poeti, scrittori e registi.

Sacco e Vanzetti film completo:https://www.youtube.com/watch?v=PdhIMUVfpPM

Terrorista è lo stato: Sacco e Vanzetti innocenti – uccisi ingiustamente come Pinelli

Solidarietà ai compagni/e sognatori e utopisti, rinchiusi nelle carceri lager di stato, in particolare Alfredo Cospito, condannato all’ergastolo e Anna Beniamino condannata a 16 anni e sei mesi, tutte e due condannati  a entrare nelle carceri del 41 bis (creato per i mafiosi), dove vivono in isolamento, in una cella singola, in questi carceri di massima sicurezza non ci sono spazi pubblici e non c’è neanche la possibilità di poter usufruire della tradizionale ‘ora d’aria’.

I due compagni furono accusati di “strage” per gli attentati alla scuola Allievi carabinieri di Fossano nel 2006, con due ordigni a basso potenziale.

Secondo noi Ricercatori Senza Padroni, quella fu solamente un’azione diretta dimostrativa, non come lo vogliono far passare gli stragisti di stato, che (loro si), fecero migliaia di morti nel periodo della ‘strategia della tensione’ (stragi e colpi di stato). Non è stato un eccidio, ma un’azione diretta compiuta senz’altro non per uccidere (come ha fatto lo stato), ma per evidenziare e  rivendicare le stragi, gli orrori, gli intrighi e i depistaggi commessi dalla P2 (loggia massonica  formata da alti gradi dei carabinieri), tra gli anni ‘70 e ‘90…

Giustizie sociale per Anna e Alfredo condannati ingiustamente come Sacco e Vanzetti!

Fuori subito dalle galere!! Vi vogliamo ancora tra Noi Anarchici.

Pinelli, ucciso come Sacco e Vanzetti, vive e lotta sempre insieme a noi.

Viva l’Anarchia!

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“Vidi che l’ingordigia e l’egoismo umano avvelenano ogni boccone di cibo, fan tristi le primavere, oscurano la gloria del sole, traviano e violano le leggi di natura, incitano alla delinquenza, accarezzano la corruzione, seminano l’odio e condannano gran parte dell’umanità a tutte le sciagure, a tutte le vergogne, a tutte le miserie.”

Bartolomeo Vanzetti

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Ennio Morricone Joan Baez:

The ballad of Sacco and Vanzetti:https://www.youtube.com/watch?v=kUAUcPy0tiI

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

La banda armata della Uno bianca era formata da sbirri!

Figurati se noi, Ricercatori senza padroni, ci lasciavamo scappare che il 9 agosto i mass media hanno scritto che  è tornato in carcere Marino Occhipinti (nel riquadro), lo sbirro doppiogiochista infame venduto e bastardo senza scrupoli, componente della ‘banda della Uno bianca’. È accusato di aver picchiato la propria compagna.

Teniamo a precisare prima di andare ad analizzare il problema, che anche tra le varie ‘forze dell’ordine’, c’è una gerarchia sociale: I poliziotti erano composti da proletari e piccola borghesia, mentre i carabinieri facevano parte dell’élite (P2): media e alta borghesia. Precisiamo che erano 962 gli iscritti alla P2, e tra gli iscritti alla loggia massonica, vi erano soprattutto politici, imprenditori, avvocati, dirigenti di impresa (Berluska), ma soprattutto membri delle forze armate italiane e dei servizi segreti italiani.

Ma torniamo indietro nel tempo per analizzare meglio chi sono i componenti della Uno Bianca.

I componenti della banda della Uno Bianca facevano parte della polizia di stato (sbirri), vennero arrestati tutti alla fine del 1994 e successivamente condannati. I processi si conclusero il 6 marzo 1996, con la condanna all’ergastolo per i tre fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi e per Marino Occhipinti. Ventotto anni di carcere per Pietro Gugliotta, diminuiti poi a 18. Luca Vallicelli, patteggiò una pena di 3 anni e otto mesi.

fabio,-roberto-e-alberto-savi:-che-fine-hanno-fatto-i-killer-della-uno-bianca

Roberto Savi, faceva parte della ps presso la questura di Bologna, dove rivestiva il grado di assistente capo ed effettuava il servizio di operatore radio nella centrale operativa. Alberto Savi invece, prestava servizio presso il commissariato di Rimini, da giovane militò come attivista nell’organizzazione di estrema destra Fronte della Gioventù, era un fascistone bastardo infatti, nel 1992 venne trasferito (non licenziato ma riciclato) per abuso di potere alla centrale operativa, per aver rasato i capelli a un giovane, trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Roberto Savi, possedeva una collezione di armi, regolarmente registrate. Dopo la strage del Pilastro avvenuta il 4 gennaio 1991, la procura dispose che venisse compilata una lista dei cittadini dell’Emilia-Romagna possessori del fucile d’assalto Beretta AR 70 utilizzato durante la strage. Dalla lista compariva il nome di Roberto, che ne aveva acquistati: uno il 3/1/1989 e l’altro il 27/12/1990 (il secondo, solo 8 giorni prima della strage del Pilastro). Roberto Savi, da buon furbone che te lo compri con quattro soldi, quando la procura gli chiese chiarimenti, consegnò ai suoi colleghi sbirri il fucile che non aveva mai usato. Nessuno andò mai a controllare l’altro fucile regolarmente registrato che deteneva in casa, quello che aveva usato nella strage del Pilastro. Fabio Savi, fece domanda per entrare in polizia, ma un difetto alla vista gli pregiudicò questa carriera (forse non ci vedeva bene, ma la mentalità da sbirro, ce l’aveva nel sangue…).

Puntualizziamo che a noi, Ricercatori senza padroni, non dispiace affatto anzi, siamo contenti quando si ammazzano tra sbirri (come nella strage del Pilastro), non ci sta bene invece quando, tra le altre nefandezze, abusano di potere e fanno i bastardi soprattutto coi manifestanti che sono sempre composti da uomini, donne, anziani e adolescenti (es: G8 di Genova, i compagni NoTav, ecc.) è questo che ci fa odiare profondamente le forze del disordine, soprattutto quando quelle merde bastonano i manifestanti inermi e usano i lacrimogeni che sprigionano sostanze tossiche cancerogene.

Roberto Savi, fu arrestato la sera del 21/11/1994, mentre si trovava in questura a Bologna. Immediatamente dopo l’arresto, disse ai colleghi: «Potevo farvi saltare tutti in aria…», (per poi dare la colpa a noi Anarchici, come è successo ad es. con la strage di Piazza Fontana). La moglie lo definì un uomo strano ed aggressivo, di carattere molto taciturno e schivo, e che passava gran parte del suo tempo libero a giocare ai videogiochi (per capire il suo livello culturale…).

Pietro Gugliotta depone in aula (RomagnaOggi)

Insieme ai fratelli Savi c’era anche lo sbirro Pietro Gugliotta (foto sopra), catanese che  svolgeva la funzione di operatore radio nella questura di Bologna assieme all’amico Roberto Savi. Venne scarcerato nel 2008, con  l’indulto (legge Gozzini).

Marino Occhipinti durante il processo

Poi c’era il compare Marino Occhipinti di Rimini (foto sopra), anche lui sbirro, era vice-sovrintendente della sezione narcotici della squadra mobile di Bologna. Occhipinti, per far vedere che era diventato bravo (tutta apparenza, esteriore cattolico), uscì dal carcere per partecipare ad una Via crucis a Sarmeola di Rubano, nel Padovano. L’11/1/2012 gli venne concessa la semilibertà e lavorò per la cooperativa sociale Giotto (chi aiuta cosa?). Il tribunale decise poi che il suo pentimento era sincero, quindi non era socialmente pericoloso. Venne scarcerato, il 2/7/2018.

Poi c’era Luca Vallicelli (foto sotto), agente scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena. Patteggiò tre anni e otto mesi in carcere, e attualmente è libero.

Luca Vallicelli / Foto: Corriere

L’unico che ebbe il coraggio di denunciare l’implicazione di apparati dello stato nella vicenda della Banda della Uno Bianca, fu il senatore Libero Gualtieri. Secondo Gualtieri, l’assalto criminale in Emilia Romagna e la scelta di Cesena non era casuale. A Cesena ci abitava anche lui, il presidente della commissione stragi Libero Gualtieri, impegnato a desegretare anche i documenti sulla vicenda Gladio (!!!).

Ma facciamo un po’ di storia: 

La banda della uno bianca non era una storia di mafia ma piuttosto una storia politica, avvenuta alla fine della Prima repubblica, quando comandava ancora la chiesa (partigiani bianchi), insieme ai socialisti e ai comunisti (Dc: Don Sturzo, Alcide De Gasperi, insieme al socialista Pietro Nenni e al comunista Togliatti). Ricordiamoci che la chiesa traditrice (attraverso i partigiani bianchi), nel 1949, pur di conquistare il potere dello stato, aderì al patto Atlantico anticomunista della Nato.

I crimini degli uomini in divisa della banda tra il 1987 e il ‘94, lasciarono una lunga scia di sangue (82 delitti, 23 morti, centinaia di feriti) e un bottino di quasi due miliardi di lire. L’azione criminale della Uno Bianca era eterodiretta e prendeva ordini anche dalla Falange Armata. Il magistrato Spinosa ha documentato le voragini investigative, le bugie, i depistaggi operati dai Savi, soprattutto in relazione ai rapporti che essi ebbero con la mafia catanese e con la camorra cutoliana, che trattò con lo stato per la liberazione di Ciro Cirillo, e casalese (tutti fratelli – tutti compari). Il  magistrato Spinosa dedusse che le imprese militari dei Savi, erano atti di destabilizzazione che facevano parte del piano militare chiamato Strategia della Tensione, e iniziarono nel 1980 con la strage bolognese del 2 agosto, e con numerosi  omicidi tra cui quello del giornalista Walter Tobagi, il caso dell’aereo DC-9 Itavia, abbattuto nei cieli internazionali da un missile. Ma per capire meglio gli intrighi e gli intrecci occulti militari e politici che ci sono dietro alla banda della Uno Bianca, dobbiamo soffermarci ad analizzare l’abbattimento dell’aereo civile DC-9 Itavia:

Strage di Ustica, la verità negata della bomba a bordo del Dc9 Itavia

I mass media scrissero subito prima dei magistrati che l’aereo civile DC-9 Itavia era stato abbattuto nell’ambito di operazioni militari straniere di segno Nato. Solo dopo diversi anni fu approvata anche dai magistrati, che analizzarono il periodo della Guerra fredda  dal 1980 al ‘92, constatando che il caso Ustica rientrava nell’interazione tra poteri nazionale e internazionali in un periodo che comprendeva l’installazione degli euromissili nucleari sia ad Est in Europa orientale, che a Ovest in occidente, con la conseguenza della  disgregazione dell’URSS dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 (fine della guerra fredda? Non si direbbe…). Il muro di Berlino fu costruito nel 1961 dai sovietici per isolare la zona Ovest di Berlino sotto il controllo occidentale (NATO), a quella di Berlino Est, sotto il controllo orientale (Russia).

Col governo Craxi, anche l’Italia servile e subordinata ai poteri forti, acconsentì ad accogliere gli euromissili con testate nucleari nelle basi Nato italiane (lecca culi), per rafforzare l’impegno italiano nel quadro dell’Alleanza atlantica anticomunista. Con la strage di Ustica, emerge ancora di più la complessità della collocazione internazionale dell’Italia inserita nella NATO, che però intratteneva relazioni importanti anche col mondo arabo (con la Libia di Gheddafi), ma questo non piaceva alla Nato. l’Italia quindi, si rese conto del contesto e delle contraddizioni della politica estera italiana, e definì la vicenda di Ustica al confine tra le dimensioni interna ed esterna della politica italiana, permettendo di mettere a fuoco dinamiche inserite non solo nella gestione politica nazionale, ma anche nella sfera internazionale (i rapporti con gli Stati Uniti, la Libia di Gheddafi, e la Francia). La riflessione storica, nell’ambito dello studio del fenomeno terroristico in Italia, si soffermava sullo scivoloso terreno dei cosiddetti “poteri occulti” e del  “doppio stato”.  Nel 2013 la Corte Suprema di Cassazione afferma quanto aveva già detto nel 1999 la procura di Roma: l’abbattimento del DC-9 da parte di un missile, e l’accertamento di attività di depistaggio messe in atto da ufficiali e generali dell’Aeronautica militare. Ma il problema di Ustica non finisce qua, anche l’accesso agli archivi, in particolare alla documentazione prodotta dagli organi statali, sono stati occultati. Infatti in Italia, hanno messo in atto norme più restrittive sulla consultazione degli atti top secret, rispetto a quelle in vigore all’estero. Poi c’è anche la complessa questione degli archivi dei servizi segreti, che nonostante la riforma del 2007, continuano a essere “archivi negati ”. Oggi (2022), parte della documentazione, su Ustica, è stata desegretata, declassificata, digitalizzata e resa consultabile su internet. Le responsabilità politiche di coloro che al tempo del disastro di Ustica ricoprivano rilevanti incarichi di governo, ebbe un rilievo potenzialmente destabilizzante. Attenzione particolare merita il ruolo svolto dal capo del governo in carica nel giugno 1980, Francesco Cossiga, eletto nel giugno 1985 come presidente della Repubblica. Sotto il governo Cossiga era avvenuto l’abbattimento, rimasto impunito, dell’aereo civile. Le indagini dei magistrati, approvarono nel 1980 una mozione che addossava ingiustamente le colpe sulla compagnia Itavia (per un cedimento strutturale), rivelatasi poi infondata. La posizione di Cossiga si presentava ambigua: era infatti lui il presidente del consiglio nel 1980 e capo politico dei servizi segreti  militari (legge 801).

Udienza con il sen. Libero Gualtieri, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, con l'Ufficio di Presidenza della Commissione

Tra il 1989 e il 1990, il ruolo dei servizi militari segreti nel caso Ustica, furono al centro dell’inchiesta della commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi. Il Presidente della Commissione Parlamentare Stragi Libero Gualtieri (nella foto con Cossiga), nel 1989 individuò numerosi responsabili dei servizi segreti che il presidente della commissione stragi definì nella sua relazione trasmessa al Parlamento nel 1992 “ambigui e contraddittori”. Le conclusioni di Gualtieri e della commissione stragi individuarono nell’operato dei servizi segreti, attività di depistaggio e di ostacolo delle indagini, conclusioni che vennero sottoscritte e condivise nella sentenza ordinanza di rinvio a giudizio depositata dal sostituto procuratore Rosario Priore nel 1999. Gli effetti politicamente destabilizzanti del caso Ustica, con le sue vicende di depistaggi e insabbiamenti, arrivarono quindi a coinvolgere anche le più alte carica dello stato. Il magistrato Libero Gualtieri, parlò del rischio che il caso Ustica provocasse una “grave crisi politico-istituzionale” e sottolineò la necessità di “cercare più in alto” le ragioni di 9 anni di bugie e reticenze(vedi:  Massomafia – P2). Nell’estate del 1990 rispuntò fuori ancora il problema della loggia massonica P2 (sempre occultata dalle istituzioni), grazie a un’inchiesta del TG1 che aveva raccolto rivelazioni su legami intercorsi durante gli anni ’70 tra la loggia di Licio Gelli (Gran maestro della P2), e la CIA. Successivamente sarebbe scoppiato il caso dei nuclei clandestini dello stato e della Gladio. Poi a distanza di poco tempo, clamorose novità legate al periodo della guerra fredda tornarono di attualità: dalle inchieste del TG 1 sui legami tra la P2 e la CIA, al ritrovamento dopo anni in via Monte Nevoso, a Milano, di numerose lettere di Aldo Moro (occultate). Questo intreccio tra dimensione internazionale e dimensione interna fu il contesto che portò all’incriminazione di 13 alti ufficiali dell’aeronautica militare per alto tradimento  e alla tematizzazione del caso Ustica nell’ambito delle  relazioni tra Italia e Nato.

Ustica, la storia del giudice Priore raccontata dalla moglie

L’avvento del giudice Priore (nel riquadro), mise in discussione anche il ruolo della Francia. Di questa attività istruttoria tuttavia, si  venne a conoscenza solo in seguito, a causa del segreto di stato vigente sulle indagini. Il ruolo della Francia si pose concretamente all’attenzione dell’opinione pubblica italiana per la prima volta nel  1991, quando fu reso noto che molte parti del DC-9, tra cui la scatola nera dell’aereo, giacevano ancora nei fondali marini. Le prime operazioni di recupero erano state effettuate nel 1987 da una società francese, l’Ifremer, legata ai servizi segreti di Parigi. Anche le stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia, dell’Italicus e della stazione di Bologna, rimasero impunite, ed erano state caratterizzate da opacità che avevano messo in luce le connivenze esistenti tra gli ambienti della destra eversiva, (braccio armato – esecutori degli attentati), e alcuni settori dei servizi di segreti (P2?). Le indagini della magistratura avevano incontrato innumerevoli difficoltà nel tentativo di determinare i responsabili delle stragi, anche a causa di depistaggi per i quali erano stati responsabili settori dei servizi segreti (per nulla deviati…). Ustica era una vicenda che rientrava nelle strategie atlantiche dei servizi segreti, una strage riconducibile alla “strategia della tensione”. Ma il momento più cruciale fu piuttosto rappresentato dalla richiesta del magistrato Gualtieri, che nel 1989 inviò 23 avvisi di reato a ufficiali e sottufficiali dell’aeronautica militare in servizio presso i centri radar di Licola e Marsala la sera del 27 giugno 1980, con le accuse di concorso in falsa testimonianza aggravata, concorso in favoreggiamento personale aggravato e concorso di occultamento dei documenti.

Indro Montanelli (quel fascistone pedofilo), scrisse che se i comandi militari italiani avevano serbato il segreto non poteva essere per “nascondere le proprie responsabilità”, che “nessuna persona sensata” gli avrebbe attribuito, bensì per coprire quella dei “comandi alleati”.

Gladio è una rete clandestina creata nel 1956 in base ad un accordo tra la CIA e il servizio militare italiano, l’allora SIFAR, nell’ambito della complessiva operazione «Stay Behind», portata avanti dagli USA nei paesi del Patto Atlantico anticomunista. Si trattava, come è noto, di una struttura armata composta da civili e militari, avente il compito di difendere il territorio nazionale in caso di aggressione da parte di un esercito straniero, della cui esistenza a livello politico, erano al corrente solamente i Presidenti del Consiglio e i Ministri della Difesa. La rivelazione dell’esistenza di Gladio, rappresentò la prova dell’esistenza effettiva di un servizio segreto ‘parallelo’ che operava nell’ombra. La rete italiana di «Stay Behind», era nata da un accordo stretto, da parte italiana, coi servizi segreti militari: quegli stessi servizi che, secondo le ricostruzioni, erano alla base della mancata individuazione dei responsabili delle gravi stragi verificatesi in Italia dal 1969 in poi.

I lavori della commissione presieduta dal giudice Libero Gualtieri, procedevano non senza difficoltà, dal momento che al suo interno vi erano posizioni diverse in merito alla necessità o meno di convocare in audizione tutti i Presidenti del Consiglio e i Ministri che si erano succeduti dal 1980, anno della strage di Ustica. Dopo iniziali resistenze, anche la DC finì (per convenienza), per concordare sulla necessità di convocare gli ex uomini di governo, tra cui si annoveravano chiaramente numerosi notabili democristiani. Lo scontro tra Cossiga e Gualtieri sul caso Ustica, arrivò a raggiungere alti livelli polemici, si inserì così come “detonatore” nei rapporti tra Quirinale e Parlamento….

E pensare che quelle merde di Salvini e della Meloni hanno proposto in periodo di elezioni, di aumentare i soldi e il numero delle forze dell’ordine…

Basta sbirri: siamo noi civili che dobbiamo controllare loro!!

Ricordiamoci sempre, che a fare le stragi sono stati loro: gli sbirri! Non Noi Anarchici, sognatori e utopisti, che siamo in galera (o siamo stati in galera) perché combattiamo ancora oggi contro tutto il marciume che c’è dentro allo stato, mentre loro invece (gli sbirroidi), rimangono sempre impuniti e sono liberi, nonostante sono stati accusati e condannati per strage (di innocenti).

 

Lo Stato è nato dalla forza militare;

si è sviluppato servendosi della forza militare;

ed è ancora sulla forza militare che

logicamente deve appoggiarsi per mantenere

la sua onnipotenza.

Dal “Manifesto internazionale Anarchico contro la guerra” (1915)

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Ne’ con lo stato! Ne’ con la massomafia! Ne’ con la mafia! Anarchia: l’unica Via !!

Siamo stufi di fare la miseria che ci ha portato il Covid e la guerra in Ucraina! Riprendiamoci i nostri diritti che ci hanno tolto! Espropriamo i 250 miliardi del Pnrr, altrimenti se li mangiano tutti (se li distribuiscono equamente) tra: politici, grossi imprenditori e apparati delle forze dell’ordine….

Solidarietà alle compagne e ai compagni Anarchici arrestati e rinchiusi nelle galere, nei lager dello stato!!

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

 

La Nato anticomunista e la strategia della Tensione

Da Piazza Fontana a Piazza della Loggia e alla stazione di Bologna: sono tanti gli elementi storici emersi di connessione tra gruppi neofascisti e ufficiali dell’Alleanza atlantica e le stragi di stato. L’ultima inchiesta sulla strage fascista di Brescia del 28 maggio 1974 ha condotto gli inquirenti sulla soglia d’ingresso di Palazzo Carli a Verona, sede del comando Nato. Li ha portati lì un testimone all’epoca interno agli ambienti di Ordine Nuovo (On), il gruppo fondato da Pino Rauti [nella foto con Fini],responsabile dell’eccidio di Piazza Fontana come di quello a Piazza della Loggia.

Chi è Stato Pino Rauti? Breve storia di un moderato al di sopra di ogni sospetto

Per raccontare la storia delle stragi in Italia si deve partire dal «principio di realtà», crudo ma efficace, espresso dal generale Mario Arpino in commissione parlamentare stragi: «C’era una parte politica che per noi [i militari] era quasi rappresentante del nemico. Allora era così». Quella era la cornice storico-politica: la Guerra Fredda tra blocchi militari contrapposti.

In quel quadro in Italia emerse il fenomeno dello stragismo con una continuità e una violenza senza pari nell’Europa dell’epoca. Il Paese era zona di frontiera geopolitica, inserito nella Nato ma «abitato» dalla contraddizione irriducibile: la presenza del più grande partito comunista d’Occidente, fondatore della Repubblica.

I caratteri anticomunisti dell’eversione 1969-1974 indicano quanto le stragi siano «figlie» della divisione bipolare del mondo e come sia ineludibile discutere il ruolo della Nato nel nostro Paese, ovvero un’alleanza militare strumento della Guerra Fredda in funzione anti-sovietica.

La guerra fredda, riassunto di storia per gli alunni del terzo anno della Scuola Sec. di I grado a cura della Prof.ssa Gabriella Rizzo | Homework & Muffin

Nei decenni che hanno visto il lento singhiozzare dei processi per le stragi di stato, sono emersi molti elementi di connessione tra gruppi neofascisti e ufficiali della Nato.

L’inchiesta del giudice Guido Salvini su Piazza Fontana ha mostrato come i dirigenti di On, Carlo Digilio (che fabbricava le bombe), Sergio Minetto e Giovanni Bandoli fossero legati al capitano del comando Nato di Verona David Carret. I rapporti dei capi ordinovisti con i servizi segreti (agli atti della commissione parlamentare stragi), configurano On come gruppo inquadrato nei cosiddetti «Stati Maggiori Allargati» ovvero un ambito operativo anticomunista «misto» militari-civili delineato nel convegno dell’Istituto Pollio di Roma nel 1965 (finanziato dal ministero della Difesa) in cui venne teorizzata la strategia stragista.

Marco_Pozzan

Vertici delle forze armate sono stati condannati per fatti relativi alle stragi (Gianadelio Maletti, capo del controspionaggio del Sid, per favoreggiamento di Marco Pozzan [foto sopra] e Guido Giannettini per Piazza Fontana); riconosciuti referenti dei gruppi neofascisti (il generale Giuseppe Aloia commissionò a Rauti e Giannettini l’opuscolo provocatorio «Le mani rosse sulle forze armate»); individuati come responsabili di apprestamenti militari anticomunisti (il generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo col «Piano Solo» [perché fatto solo dai carabinieri] del 1964). La più importante figura dell’intelligence italiana Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati, è indicato dalla nuova inchiesta sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 come uno dei mandanti del massacro. A lui è intitolata una sala della sede Nato di Bruxelles. Junio Valerio Borghese per il suo «governo» aveva redatto un programma (agli atti dell’inchiesta sul golpe dell’8 dicembre 1970) che prevedeva l’aumento dell’impegno finanziario e militare dell’Italia nella Nato e una politica filo-atlantica nel Mediterraneo con le dittature di Grecia, Spagna e Portogallo. La commissione Pike del Congresso USA, denunciò nel 1976 i finanziamenti illeciti della CIA alle attività anticomuniste in Italia. 800.000 dollari giunsero a Vito Miceli (capo del SID) e da lui ai gruppi dell’estrema destra e al Msi, come raccontò nel 1993 a «La Stampa» il missino Giulio Caradonna «I soldi del Dipartimento di Stato, che vennero attraverso il generale Miceli allora capo del Sid e quindi alta autorità della Nato, li portò Pierfrancesco Talenti direttamente ad Almirante». Tale complessa dinamica fu sintetizzata dalla formula “strategia della tensione”, per rappresentare la combinazione di 2 fattori: la destabilizzazione della vita civile attraverso l’uso anonimo della violenza e la stabilizzazione politica in senso reazionario come risposta alla democrazia conflittuale disegnata dalla Costituzione. Si aggiornò il conflitto continuità/rottura che aveva già informato il carattere della transizione dell’Italia del dopoguerra. La «continuità [scrive Claudio Pavone] non è sinonimo di immobilismo», essa tende ad esprimersi come un moto dinamico e forte di fronte alle spinte innovatrici di rottura (quelle presenti nell’Italia degli anni 1943-‘45 e ’60-’70), per garantire il perdurare degli equilibri storici e degli assetti sociali dati. La Costituzione antifascista e non anticomunista fu il principale obiettivo di questo moto. Nei “giorni del Quirinale” appena trascorsi è stata evocata con animosità (da stampa e politici) una guida istituzionale saldamente “atlantista”. Obliando il significato di quel termine in Italia negli anni della Guerra Fredda e dimenticando che presidenti della Repubblica e del Consiglio giurano fedeltà alla Carta del 1948 dove non si menzionano alleanze militari e invece si rifiuta la guerra. Varcando la soglia dei comandi Nato a Verona si troverà, forse, qualcuna delle prove che Pasolini non aveva quando spiegava «cos’è questo golpe». Si potrebbe dare, così, soluzione anche all’altro cruccio del poeta: «Il problema è questo: i giornalisti e i politici pur avendo delle prove, e certamente degli indizi, non fanno i nomi».

 

Più di 20 morti sospette a Capo Frasca e nessuna indagine. A Foras: “Raccoglievano bombe senza protezione”

In Sardegna dagli anni ‘50 sperimentano nuove armi all’uranio impoverito (cancerogeno).

Da allora la Sardegna è un territorio segnato dalle bombe, pur essendo sempre stata in pace. In 5 province conta 31 basi militari Nato. Quelle principali si trovano a Capo Frasca ad Ovest, Capo Teulada a Sud-Ovest, e Sartu de Chìrra (Salto di Quirra) a Sud-Est.

La regione Sardegna venne scelta allo scopo, molti anni fa, per la scarsa densità abitativa e per la sua posizione strategica al centro del Mar Mediterraneo. Per 9 mesi all’anno i militari della Nato si esercitano via aria, terra e mare. Qui sperimentano nuove armi prima di immetterle sul campo: missili, razzi e componenti a base di uranio impoverito. Dagli anni ‘50 quindi, la Sardegna ospita poligoni interforze. Una presenza controversa, contestata da molte associazioni della società civile che denunciano effetti negativi su ambiente, uomini e animali. Nel 2020 il governo italiano ha stanziato 46 milioni di euro per la tentata bonifica delle aree interessate…

Nel 1956 a Capo Teulada, nel Sulcis (foto), è stato creato il 2° poligono più grande d’Europa. Si tratta dell’unico poligono che consente di svolgere esercitazioni anche in territorio fuori area ospitando attività addestrative “combined”, cioè condotte in combinazione con forze di altri Paesi alleati. Comprende 7mila ettari di demanio militare e si divide essenzialmente in 4 zone che, in posizione oraria, vengono classificate in alfa, bravo, charlie e delta. Delta è il promontorio finale in cui i militari si esercitano con missili e bombe sperimentali, occupando altri 75mila ettari di zona militare. Alcuni di questi chilometri sono interdetti agli stessi militari, troppo pericolosi anche per loro. Queste cosiddette servitù militari – “zone di restrizione dello spazio aereo e interdette alla navigazione” – sono così impiegate per le esercitazioni di tiro contro costa e tiro terra-mare.

Sul terreno, restano tracce visibili. Durante l’estate i bagnanti trovano resti di bombe, bossoli e cumuli di rifiuti. Tra le profondità del paradiso terrestre sardo, la realtà non è molto diversa. Si trovano buche che arrivano ad un diametro di 3-4 metri derivate da esplosioni di 500-600 chili di tritolo, bombe inesplose d’aereo lunghe circa 2 metri e altre di 400 chili risalenti ancora agli anni ‘50, anche queste inesplose.

Perdasdefogu, il Poligono Sperimentale Interforze non è recintato e c'è libero accesso a tutti

Tra la provincia di Nùoro e quella del Sud Sardegna, si trova Sartu de Chìrra (Salto di Quirra: letteralmente “campagna di Quirra”), zona storica aragonese nel Sud-Est della regione. L’area comprende 11.6 chilometri quadrati a terra a cui vanno aggiunti 9946 miglia quadrate a mare. Nel Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze, si svolgono attività missilistiche e di collaudo pur essendo sotto inchiesta dal 2011 dalla Procura di Lanusei per via della cosiddetta “sindrome di Quirra”.  La “sindrome” si può sintetizzare come uno stato di vulnerabilità tumorale che da anni affligge, inspiegabilmente, uomini e animali che nascono, vivono e crescono nella zona. I pastori si ammalano di tumori, e le leucemie sono diffuse tra cittadini e militari. Gli animali da allevamento subiscono la stessa sorte e le malformazioni dei nuovi nati non lasciano altri dubbi. La causa si ritiene risieda nell’uranio impoverito, utilizzato nelle munizioni fornite alle unità militari per le esercitazioni. Tre tracce biologiche ne proverebbero la pericolosità: nelle ossa degli animali sono stati trovati valori di torio il triplo più alti del normale; nei polmoni e nei reni residui di piombo e nanoparticelle di cadmio. È diventata molto nota, in località Perdasdefogu, la storia di una famiglia colpita interamente da tumori linfatici. La famiglia era proprietaria di una lavanderia dove i soldati portavano al lavaggio le tute mimetiche. L’inchiesta nel tempo si è arricchita di nuove testimonianze. Gli ex-militari che lavoravano al poligono e che pagano ancora oggi le conseguenze del loro servizio, eseguivano le operazioni di tentata bonifica senza protezione adeguata, ossia con dei semplici guanti in lattice. Se mai venisse riconosciuta la pena di danno ambientale, si potrebbe arrivare ad una sentenza definitiva sul processo sui “veleni di Quirra”

Sentenza Quirra, la parola agli attivisti: le dichiarazioni di Bettina, Teti e Francesco

https://www.youtube.com/watch?v=ZZpPOowoxNo

Per adesso sull’uso di uranio impoverito nelle esercitazioni militari abbiamo solo la denuncia del Presidente della Regione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta.

La Commissione, presieduta dal senatore Paolo Franco, era stata in Sardegna il 17 ottobre del 2005, e durante la permanenza nell’isola aveva ascoltato il Presidente della Regione. Renato Soru in quell’occasione, ha riproposto i temi dell’equilibrio delle servitù militari, della restituzione agli usi civili di Capo Teulada, sollevando per questo territorio anche il problema del tipo di armamenti e munizioni in uso nelle esercitazioni.

Spiega SORU: “Cercherò di inquadrare il problema dal punto di vista della Regione. Intanto comprendo che vi occupiate di problemi legati all’utilizzo dell’uranio impoverito e non direttamente di servitù militari, ma per noi sono una componente dello stesso problema.

Vale la pena ricordare che in Sardegna si spara quasi l’80% di tutte le bombe che si sparano in Italia in tempo di pace, sia da parte dell’esercito italiano che da parte degli eserciti nostri alleati. L’80% dell’attività di Poligono viene svolta nella nostra Regione. Nonostante vi abiti circa il 2,5% della popolazione italiana, viene sparato l’80% di bombe. Ricordo in particolare i Poligoni di Salto di Quirra, di Capo Teulada, di Capo Frasca e di Capo San Lorenzo. Oltre a questi vorrei ricordare anche la base di Santo Stefano presso La Maddalena, nata in maniera segreta nel 1972 per garantire ad una nave appoggio di sommergibili nucleari il diritto di attracco.

Gli enti militari utilizzatori sono unità dell’esercito militare italiano, altre Forze armate o corpi armati dello Stato per proprie esigenze o per esercitazioni in cooperazione con unità terrestri, unità alleate terrestri, navali, aeree. Lo Stato Maggiore dell’Esercito dispone e autorizza inoltre, nel rispetto delle norme per l’utilizzo del Poligono di Capo Teulada, lo svolgimento di particolari esercitazioni (non è chiaro cosa si intenda con «particolari esercitazioni»), o sperimentazioni di interesse nazionale o NATO.

”Non solo (conclude il Presidente della Regione), non ci viene detto che non si utilizza munizionamento contenente uranio impoverito, ma anzi, in base al disciplinare in scadenza nel 2005, risulta che a Capo Teulada in questo momento sono autorizzate particolari esercitazioni o sperimentazioni di interesse nazionale o NATO. Si dice poi che «il Poligono viene autorizzato per l’effettuazione di esercitazioni a fuoco terrestri, esercitazioni navali di tiro contro costa e sbarchi anfibi, esercitazioni a fuoco aeree», sempre con l’indicazione di esercitazioni particolari e sperimentazioni. Cosa accade li esattamente non è dato sapere”.

 L’Ucraina (dove vengono esplose le bombe sperimentate in Sardegna), ha vietato l’utilizzo dell’amianto soltanto nel 2020. Tutti gli edifici sono quindi ancora contaminati e la loro distruzione causa il disperdersi delle sue fibre che sono cancerogene e per questo estremamente dannose per la salute.

L’esperto parla non solo di amianto, ma anche di uranio impoverito, mercurio e arsenico. E ancora idrocarburi ed emissioni.

Tutti elementi che in Ucraina stanno contaminando i terreni, le falde e l’aria. “La guerra (ha detto Baldi), è di per sé un’attività che inquina, non solo dal più banale punto di vista delle emissioni in atmosfera dovute al passaggio di mezzi che bruciano carburante, ma anche e soprattutto delle sostanze nocive rilasciate dalle deflagrazioni o dell’amianto largamente utilizzato nelle costruzioni che sono state distrutte rilasciando le pericolose fibre”.

I mass media nel 2000 dichiarano: Diecimila e ottocento proiettili a uranio impoverito sono stati sparati dagli aerei americani A-10 nella missione in Bosnia tra il 1994 e il ‘95. Lo ammette la Nato e lo dice l’allora ministro della Difesa italiano, Sergio Mattarella, nel corso dell’audizione in commissione difesa della Camera.

Per la prima volta l’Alleanza Atlantica dichiara di avere usato in maniera massiccia quel tipo di munizioni. Lo fa 5 anni dopo, suscitando le perplessità del governo italiano: “Devo manifestare rammarico (disse Mattarella), per il fatto che organizzazioni internazionali interessate forniscano solo ora e per nostra richiesta un’informazione importante per la sicurezza della comunità bosniaca così come per quella internazionale”.

Solo nel 2000 si viene a sapere che i proiettili all’uranio sono stati utilizzati in tre tornate: il 5 agosto e il 22 settembre 1994 nell’operazione Deny Flyght, e tra il 29 agosto e il 14 settembre 1995 nell’operazione Deliberate Force. Troppo tardi, al punto che lo stesso Mattarella chiese “di prevedere in seno all’Alleanza atlantica procedure più adeguate di condivisione delle informazioni e approntare misure comuni su materie così delicate”.

 

Un vero amico della libertà dev’essere

nemico di ogni potere; di ogni autorità,

di ogni comando, di ogni elevazione di uomo

al disopra di altri uomini, dev’essere nemico

di ogni legge, di ogni ordine prestabilito,

dev’essere, in una parola, un anarchista.

C. Cafiero

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Il 16/4/1978 le BR comunicano che l’interrogatorio di Moro è terminato: condannato a morte (II parte)

Omicidio di Aldo Moro: una tragedia che cambiò per sempre la storia del nostro Paese - Il Faro Online

15 marzo 2018 Gero Grassi (foto sopra) dichiara ai mass media: “Il caso Moro è un intrigo internazionale con la partecipazione di Cia, Mossad, Kgb, servizi segreti inglesi e francesi”. In tutto questo ci sono anche responsabilità di pezzi della magistratura italiana, delle forze dell’ordine e della cupola maggiore che è la P2″. Buona parte del dramma che paralizzò l’Italia e che si consumò in quei 55 giorni che separano via Fani da via Caetani rimane tuttora avvolto nell’ombra. Un caso contenuto in ben 8 processi Moro, 4 commissioni terrorismo e stragi, 2 commissioni Moro, una commissione Mitrokhin e una commissione P2, che però non sono bastati a far piena luce su una delle pagine più grigie e inquietanti del ‘Belpaese’. Un tassello alla volta, la II Commissione d’inchiesta su Aldo Moro è riuscita però a fare emergere elementi nuovi, smontando pezzo per pezzo la versione conosciuta negli ultimi quarant’anni. Ad animarne il lavoro, in prima linea, Gero Grassi, vicepresidente del gruppo Pd della Camera, autore del libro “Aldo Moro: le verità negate”. Verità che Grassi non ha mai smesso di cercare in tutti questi anni, che passano per depistaggi, cospirazioni, morti sospette e menzogne, parte di un intrigo internazionale capace di tenere assieme tutti i poteri forti: politica, massoneria, servizi segreti, chiesa, criminalità organizzata (presenze costanti che si intersecano e si celano dietro ai più grandi misteri irrisolti della storia italiana). Ora abbiamo la certezza che in via Fani con le Brigate Rosse ci fosse la malavita romana, la Banda della Magliana e i servizi segreti italiani e stranieri. Un dubbio che ancora oggi abbiamo, è che il Bar Olivetti non fosse chiuso al momento della strage (rapimento Moro), come si è scritto invece per 38 anni, ma fu l’epicentro del rapimento Moro, la centrale operativa, frequentata da brigatisti, Nar, uomini della ‘ndrangheta, Frank Coppola (mafia-siculo americana), Tano Badalamenti (mafia siciliana), e Camillo Guglielmi, vice comandante generale di Gladio. Le altre due novità riguardano la prigione di Aldo Moro e la sua morte: la prigione di Moro non si trovava in via Montalcini, ma in via Massimi 91, in un complesso che godeva dunque della extraterritorialità (alla Balduina, poco distante da via Fani) dove è stato ospitato anche il brigatista Prospero Gallinari e dove aveva sede il palazzo dello Ior (la banca mondiale del vaticano che, se donasse tutti i soldi accumulati, non esisterebbe più la povertà!!).

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 4 persone

Perfino la ricostruzione della morte di Moro, fatta da quelle merde (perché, se son fatte comprà dagli sbirri alleati: compagni, secondo i partigiani bianchi…) di Germano Maccari e Mario Moretti, oggi non regge rispetto alle ultime prove. Loro dicono che è morto sul colpo e invece Moro è morto dopo 30 minuti di agonia. Loro parlano di 8-9 colpi e i colpi invece sono 12. Loro dicono che Moro era steso nella Renault e noi riteniamo che Moro fosse appoggiato alla Renault, che stesse fuori dalla vettura. Tutto questo ci induce a dire che in via Fani c’erano anche le Br, e che sul luogo della morte invece mancavano le Br!! Giustino De Vuono ‘ndranghetista calabrese, era l’aggancio tra i servizi segreti e la ‘ndrangheta. Quindi ci domandiamo: ma quale è stato il ruolo della ‘ndrangheta e della mafia nel caso Moro? La ‘ndrangheta frequentava anche lei il bar Olivetti, riciclava armi giocattolo che poi diventavano armi vere che sparavano!!

Ma la cosa più ambigua di tutta questa situazione non è Moretti. Il procuratore della rep. di Reggio Calabria e procuratore nazionale antimafia, ha evidenziato in commissione che la ‘ndrangheta seguiva il caso Moro e che partecipava. Ma la situazione più ambigua si riscontra nei viaggi di Moretti, nei 55 giorni, tra la Calabria e la Sicilia. Certamente non sono stati loro a organizzare il rapimento, loro sono stati usati (braccio armato) come i brigatisti, dai servizi segreti della Nato (la Russia nel 1990 faceva parte della Nato…). Ma il problema in Italia sono sempre stati i servizi segreti dell’Ovest e dell’Est che si sono sempre scannati tra di loro (guerra fredda), per creare in Europa un altro ‘ordine mondiale’ col proprio esercito. È questo il problema!!   

Ma facciamo un po’ di storia:

La NATO verso la seconda Guerra Fredda

La Nato viene fondata nel 1949 come patto difensivo contro l’Urss, contro il comunismo. Dagli anni ‘90 cambia approccio e strategia, passando dai 12 membri fondatori agli attuali 30.

La North Atlantic Treaty Organization (Nato) nasce il 4 aprile 1949, nel contesto della Guerra Fredda e dei blocchi contrapposti (Est – Ovest). Il mondo occidentale stringe un patto di reciproca assistenza militare in caso di aggressione da parte sovietica. I Paesi fondatori della Alleanza Atlantica erano 12: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Gran Bretagna e Stati Uniti. Per tutti gli anni della Guerra Fredda ci sono solo 4 nuovi ingressi: quelli di Grecia e Turchia (1952), dell’allora Garmania Ovest (1955) ‘ripulita’ dell’onta nazista e della Spagna? O riciclata attraverso il mondo cattolico? (1982 Francisco Franco).

Con la caduta del Muro di Berlino (foto) e la conseguente dissoluzione del’Urss, avviene il primo radicale cambiamento nell’assetto della Nato. Nel dicembre del 1991 viene creato il Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico, con l’obiettivo di dialogare e cooperare con gli ex rivali del Patto di Varsavia. Il percorso di avvicinamento tra Europa dell’Ovest e dell’Est, che nel frattempo passa da un impegno diretto delle forze Nato nell’ex Jugoslavia dilaniata dalla guerra, culmina nel 1999 con l’ingresso nell’alleanza di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, primi Paesi ex comunisti ad aderire al blocco un tempo rivale. Nel 2004 è la volta di Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia e soprattutto delle tre repubbliche baltiche, Estonia Lettonia Lituania, ingresso estremamente simbolico perché si tratta di ex repubbliche sovietiche. Nel 2009 entrano nell’Alleanza Atlantica anche Albania e Croazia, nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord. Oggi sono dunque saliti a 30 i Paesi aderenti alla Nato e presto potrebbero diventare 31 con l’ingresso della Bosnia-Erzegovina che sta partecipando al Piano d’azione per l’adesione.

La Nato, in cui gli Stati Uniti e i partner europei si fanno carico di risolvere crisi e controversie in ogni angolo del mondo (???). Un’evoluzione in un certo senso naturale, con la fine della Guerra Fredda, dalla quale sono tuttavia già passati tre decenni: tanti, nel mondo contemporaneo. Il grande interrogativo sollevato dalla crisi ucraina è dunque se l’ordine mondiale pensato a Washington tra gli anni Novanta e Duemila possa reggere anche in pieno 21° secolo, alla luce dell’ascesa della Cina e del rinnovato protagonismo della Russia. Senza sottovalutare le altre potenze economiche globali, dall’Iran alla Corea…

Il caso Moro è un intrigo internazionale geopolitico, che vede la partecipazione di Cia, Mossad, Kgb, servizi segreti inglesi e francesi. In tutto questo ci sono anche le responsabilità di pezzi della magistratura italiana, pezzi delle forze dell’ordine e della P2, che poi è il governo di tutti questi fenomeni occulti criminali!!.  Ma ci sono due personaggi chiave, su cui permangono ombre e interrogativi: uno è l’allora ministro degli interni Francesco Cossiga, di cui si sostenne una responsabilità morale dell’omicidio Moro, l’altro è il presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Cossiga riunisce un comitato di emergenza formato da 40 piduisti (comitato dal quale, sosterrà Steve Pieczenik, funzionario della sezione antiterrorismo del Dipartimento di stato americano, avvennero le fughe di notizie).

Pecchioli

Insieme alle 2 merde parlamentari, collaborava con loro anche l’onorevole Ugo Pecchioli (foto sopra), del Partito comunista italiano. Quanto a Giulio Andreotti, lui era il presidente del Consiglio e dagli atti risulta che il suo governo non si è impegnato per la liberazione di Aldo Moro. Andreotti ha le sue responsabilità. La vicenda Moro è stata gestita da Cossiga d’intesa con Andreotti e con Pecchioli dall’altro lato.  Sul caso Moro sono decine i nodi irrisolti.  È emblematica la frase che Henry Kissinger (che non voleva il centrosinistra) rivolse ad Aldo Moro il 25/9/1974: “Presidente, lei deve smettere di perseguire sul piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. O la smette, o la pagherà cara”.

Il 14/3/1978, due giorni prima del rapimento: Moro era all’università a Roma e il suo assistente, Francesco Tritto, gli disse: ‘Presidente, si ricorda che dopodomani ci sarà la sua ultima seduta di laurea?’. ‘Perché l’ultima?, gli chiese Moro. ‘Perché lei a giorni sarà eletto presidente della Repubblica’. E Moro rispose: “La ringrazio, lei è affettuoso ma ingenuo. Io non farò mai il presidente della Repubblica. Mi faranno fare la stessa fine di John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas il 22 novembre del 1963”.

Lo stesso 16 marzo 1978 il ministro dell’interno Francesco Cossiga istituì due comitati di crisi ufficiali: Un «comitato tecnico-politico-operativo», presieduto dallo stesso Cossiga e, in sua vece, dal sottosegretario Nicola Lettieri, di cui facevano anche parte i comandanti di polizia, carabinieri e guardia di finanza, oltre ai direttori (da poco nominati) del SISMI e del SISDE, al segretario generale del CESIS, al direttore dell’UCIGOS e al questore di Roma. Un «comitato informazione», di cui facevano parte i responsabili dei vari servizi: SISMI, SISDE, CESIS e SIOS.  Prima Linea veniva considerata una semplice associazione sovversiva (anziché una banda armata), mentre Magistratura democratica (o perlomeno l’ala romana) nutriva ostilità verso lo stato, simpatizzando per i miti rivoluzionari; al punto che il politologo Giorgio Galli affermò che il terrorismo era diventato «un fenomeno storico comprensibile (anche se non giustificabile) in una fase di trasformazione sociale ostacolata da una classe politica corrotta». La brigatista Adriana Faranda citò una riunione notturna tenuta a Milano di poco precedente l’uccisione di Moro, ove ella e altri terroristi (Valerio Morucci, Franco Bonisoli e altri) erano in dissenso, tanto che la decisione finale sarebbe stata messa ai voti. Il 3 maggio…  Dunque l’uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e soprattutto per volere di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e del sottosegretario Nicola Lettieri.

Ferdinando Imposimato (foto sopra), era il giudice istruttore della vicenda del sequestro e dell’uccisione di Moro. “I servizi segreti avevano scoperto dove le Br nascondevano Moro, così come i carabinieri!! Il generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire coi suoi uomini e la polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima dell’uccisione ricevettero l’ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia. Quei politici (continuava Imposimato) sono responsabili anche delle stragi: da Piazza Fontana a quelle di Via D’Amelio. Lo specchietto per le allodole si chiama Gladio. A Falcone e Borsellino rimprovero soltanto di non aver detto quanto sapevano, perché avevano capito e intuito tutto, tacendo per rispetto delle istituzioni. Per ucciderli, Cosa Nostra ha eseguito il volere della Falange Armata, una frangia dei servizi segreti”. Lo stesso Imposimato aveva presentato un esposto alla Procura di Roma. Secondo il giudice le forze dell’ordine sapevano dov’era la prigione di Moro…

La commissione Fioroni sul rapimento e la morte di Moro, ha messo in dubbio la versione fornita dai brigatisti. Cosa ha scoperto di nuovo la II Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, presieduta dal presidente Fioroni (foto sopra) e terminata nel dicembre 2017? Atti emersi dal lavoro della II commissione Moro, quella presieduta dall’on. Fioroni, che dichiara ai mass media che in via Fani c’è stata una concentrazione di presenze: la banda della Magliana, i servizi segreti italiani e stranieri, le Brigate Rosse… E poi dichiara anche che il bar Olivetti, il 16 marzo era aperto e non chiuso come è stato detto per quasi quarant’anni.

Terroristi rossi, neri e criminalità organizzata insieme?

Quella è stata un’operazione che ha visto incrociarsi Kgb, servizi francesi e tedeschi, Mossad e P2.

Il problema delle nostre generazioni è che non abbiamo ancora discusso (aperto il dibattito pubblico) di queste tante problematiche militari, nonostante che le subiamo ancora!!

Tutte le volte che il movimenti si organizzava per ottenere i propri diritti, rispuntavano e rispuntano  questi gruppi clandestini occulti dello stato che si infiltrano, per depistarne  il movimento (come i gruppi clandestini della Gladio) e noi sognatori siamo ancora qua che sogniamo la lotta civile!! La lotta di classe, che sarebbe una reazione normale per noi dal basso, se non fosse che risvegliamo tutti questi gruppi occulti, anticomunisti creati dalla Nato nel 1949, gruppi che hanno fatto le stragi di stato per incolpare noi come movimento antifascista. Meditate mediocri, meditate!!

Alla P2 era legato Marcinkus (a sin. nella foto), il presidente dello Ior. Lui voleva fortemente la morte di Moro e ostacolò persino la raccolta fondi promossa da Paolo VI presso suoi amici milanesi ebrei nel tentativo di pagare il riscatto per salvare Moro. Nella P2 c’erano: generali, magistrati, politici, imprenditori, tutti acerrimi nemici di Moro. Il 17 gennaio Gelli riunisce un vertice di piduisti a Villa Wanda e dichiara l’intento di interrompere il circuito politico messo in moto da Moro. C’era convergenza tra gli obiettivi della P2 e delle Brigate Rosse.  A proposito dello Ior, alla banca vaticana apparteneva un complesso edilizio che è entrato nella relazione Fioroni, quello in via Massimi n. 91. Infatti. Già il 17 marzo la guardia di finanza arriva in via Massimi, ma non vi può entrare perché quell’edificio godeva di extraterritorialità… Meditate Mediocri, meditate!!

Per la Morte di Moro ci sono responsabilità singole come Cossiga, Andreotti, Pecchioli (deputato del Pci). Non fecero nulla. Il Parlamento non si riunisce neppure una volta per affrontare il caso Moro in quei 55 giorni. Siamo ancora lontani dallo scoprire la verità su via Fani?  No, gran parte della verità oggi (2022) è nota e lo è grazie al lavoro della commissione Fioroni che ci porta anni luce in avanti rispetto alle precedenti ricostruzioni. Oggi siamo vicini alla verità più di quanto si possa immaginare (gli sbirri non sono contenti che saltano fuori i loro altarini, i loro giochi sporchi: hanno ucciso perfino Moro!!).

Ma il problema delle nostre generazioni, è che dobbiamo ancora discuterne di questi enigmi. Enigmi per modo di dire, perché abbiamo una commissione Fioroni che, a fine anni ‘90, toglie il segreto di stato, creato dagli stessi servizi segreti…

Approfondire e discutere assieme questo argomento, per noi compagni, potrebbe essere un bell’attacco, nonviolento ma devastante, alle nostre istituzioni corrotte, autoritarie e repressive!!

Così evitiamo di fare indirettamente il loro gioco sporco, senza dargli la soddisfazione di farci arrestare!! Certo, ce devono tené bboni, non irritarci, sennò so’ ccavoli: ve spariamo alle gambe, anche se sappiamo che abbiamo ragione e così, ci metteremmo pure nella condizione di essere in contraddizione, essendo contro le guerre e le armi… Meditate mediocri, meditate!

Sbirri bastardi: se create la guerra civile, cominciamo da voi!! Pezzi di merda!! Bastardi!!

Se non facevano gli sbirri, facevano i mafiosi: è la stessa cosa, i livelli culturali sono sempre quelli…

 

Il 16/4/1978 le BR comunicano che l’interrogatorio di Moro è terminato: condannato a morte

 

La democrazia è menzogna, è oppressione,

è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi

a beneficio di una classe privilegiata,

ma possiamo combatterla noi in nome

della libertà dell’uguaglianza, e non già

coloro che vi han sostituito o vogliono

sostituirvi qualcosa di peggio.

Errico Malatesta

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche) 

 

Il 16/4/1978 le BR comunicano che l’interrogatorio di Moro è terminato: condannato a morte

Moro

 Il 9 di maggio di 43 anni fa, Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, viene ucciso dalle Brigate Rosse; il suo corpo viene fatto trovare in via Caetani, una strada di Roma che si trova vicino a via delle Botteghe Oscure (sede dell’allora Partito Comunista), e piazza del Gesù (sede della DC).

Il 23 MARZO 2014, l’ex (dal 2011 al 2012) ispettore di polizia Enrico Rossi (foto sotto), fa delle dichiarazioni all’Ansa:

“I Servizi segreti aiutarono le Br in via Fani”, “l’Honda di via Fani resta ancora un mistero”.

Durante la guerra fredda (guerra tra Est e Ovest, creata dalla Nato), eserciti segreti sono stati attivi in tutta l’Europa occidentale. Gladio faceva parte di questa rete, che avrebbe dovuto contrastare un’invasione del Patto di Varsavia. Certamente Gladio ha fatto parte a pieno titolo della guerra fredda che si è combattuta in Italia, ma bisogna evitare l’errore di individuare in Gladio la chiave interpretativa di tutte le vicende della strategia della tensione e delle stragi in Italia.

Moro, ex poliziotto in Procura. “Nessun ostacolo alla mia indagine”

In Italia esisteva già una struttura clandestina statunitense anti-invasione, ma il direttore del Sifar aveva preso in considerazione la necessità di costituire a sua volta un nuovo organismo di questo genere e di cercare di arrivare a un coordinamento con quello americano anticomunista. Questa struttura avrebbe dovuto essere capace, in caso di invasione sovietica o jugoslava, di fornire informazioni, sabotare gli impianti dell’occupante e fornire assistenza ai militari rimasti dietro le linee. Gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia avevano già organizzato strutture simili, e non solo nel loro territorio. Successivamente, queste strutture furono fatte nascere in tutti i Paesi dell’Europa Occidentale, comprese nazioni neutrali come Svezia e Svizzera. Tutte le strutture, inclusa poi Gladio, erano operanti nell’ambito Nato e coordinate dal Clandestine Planning Committee, l’organo multinazionale controllato dallo Shape (Supreme Headquarters Allied Powers Europe), con sede a Bruxelles in Belgio. Quest’ultima struttura era un organismo di coordinamento tra le diverse nazioni dell’Europa Occidentale già operante dal 1948, anche se col nome di Western Union Clandestine Committee (Commissione clandestina dell’Unione occidentale). Nel 1990, in un articolo del 13 novembre, il giornalista dell’International Herald Tribune Joseph Fitchett, elaborò il termine “Resistenza della Nato”, per spiegare le funzioni di queste reti anticomuniste, finanziate in parte dalla Cia. Queste “armate segrete” ebbero diversi nomi, a seconda del Paese:  in Svizzera erano state denominate in codice “P26”, in Austria “OWSGV”, in Belgio “SDRA8”, in Danimarca “Absalon”, in Germania “TD BJD”, nel Lussemburgo semplicemente “Stay-Behind”, nei Paesi Bassi “I&O”, in Norvegia “ROC”, in Grecia “LOK”, in Turchia “Contro-Guerriglia”, in Portogallo “Aginter”. I nomi in codice degli eserciti segreti in Francia, in Finlandia, in Spagna e in Svezia rimangono tuttavia sconosciuti.

La Stay Behind italiana invece era costituita da 5 unità di pronto impiego in regioni di particolare interesse strategico, denominate: “Stella Alpina” nel Friuli, “Stella Marina” nella zona di Trieste, “Rododendro” nel Trentino Alto Adige, “Azalea” nel Veneto e “Ginestra” nella zona dei laghi lombardi.

La struttura, alle dipendenze dell’Ufficio R del Sifar, era articolata in 40 nuclei, dei quali 6 informativi, 10 di sabotaggio, 6 di propaganda, 6 di evasione e fuga, 12 di guerriglia. Inoltre erano state costituite 5 unità di guerriglia di pronto impiego in regioni di particolare interesse.

L’organizzazione su più livelli rese l’intera struttura più protetta nel caso una unità fosse stata scoperta. Esistevano, infatti, almeno 3 livelli: uno formato da elementi destinati a “durare” nel territorio eventualmente occupato, e quindi non facilmente individuabili in quanto insospettabili; un altro formato da unità di guerriglia di pronto impiego da attivare alle spalle del nemico come vere e proprie bande partigiane; un altro livello era direttivo. Quest’ultimo, il più protetto di tutti, è rimasto occulto anche agli occhi degli stessi “gladiatori”, ed era composto da individui i cui nomi dovevano rimanere ignoti (e che tutt’ora in effetti lo sono).

L’origine di Gladio è fatta risalire all’organizzazione O, la quale era originata da una formazione di partigiana bianchi, la Osoppo, formata da partigiani cattolici (foto sopra), che nel 1949 tradirono la lotta di classe firmando il Patto Atlantico anticomunista!  Meditate mediocri, meditate…

Ecco come hanno fatto a frenare i movimenti antagonisti degli anni ‘70: infiltrando nel movimento anche i partigiani bianchi che stavano con l’anticomunismo della Nato (peggio degli sbirri, da non fidarsi insomma!!). E poi se lamentano perché siamo diventati tutti individualità!! Non ce fidiamo de nessuno!! Che, semo scemi?  Forse ce dobbiamo ancora ripiglià, ma scemi no!! Siamo nati in basso, ecco perché nun ce fidiamo.

A partire dal 1963, ebbe inizio la posa dei contenitori all’interno dei depositi Nasco (materiali di carattere operativo da interrare nelle zone sensibili, nei cosiddetti Depositi Nasco, dove nascondevano armi e materiale Top secret). In totale, secondo le indagini portate avanti dagli inquirenti, i depositi Nasco sono stati 139. Fra i materiali in questione erano comprese armi portatili, munizioni, esplosivi, bombe a mano, coltelli, mortai da 60 mm, cannoncini da 57 mm, fucili di precisione, radiotrasmittenti e così via. Parte del materiale Nasco risulterà essere identico a quello utilizzato per alcune stragi compiute in Italia. Ad esempio, l’esplosivo al plastico C4 ritrovato nel 1972 ad Aurisina, vicino a Trieste, sembra essere identico a quello utilizzato a Peteano per far saltare la Fiat 500 che uccise 3 militi dell’arma (si ammazzano anche tra di loro, non c’è una logica nella cultura militare!).

Il materiale destinato alla rete clandestina non era però solo quello interrato nei Nasco in contenitori sigillati, l’armamento e il materiale per le “Unità di pronto impiego” era anche in superficie, presso alcune caserme di cc e nella base di Capo Marrargiu, in Sardegna.

Il Centro e quartier generale dell’esercito clandestino di Gladio, fu la base militare sarda di Capo Marrargiu, che divenne il Centro Addestramento Guastatori (Gag). All’esterno della base appariva il simbolo della spada Gladio e il motto Silendo Libertatem Servo. La costruzione della “base” iniziò attorno al 1954. Furono innanzitutto acquisiti i permessi necessari, poi si procedette alla costituzione di una società a responsabilità limitata, la “Torre Marina”, costituita pubblicamente presso il notaio De Martino, che ebbe come soci il generale Musco, allora direttore dei Servizi segreti, il colonnello Santini, capo del Sios-Aeronautica, e il colonnello Fettarappa, dirigente dell’Ufficio R del Sifar. Per consentire di derogare alle norme di legge, che vietavano agli ufficiali di possedere quote azionarie e di costituire società, fu necessaria un’autorizzazione speciale del ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani. Per la realizzazione del Centro, la Cia destinò 300 milioni di lire. Il colonnello Renzo Rocca ebbe il compito di sovrintendere alla costruzione della nuova base stay behind italiana. Il Centro fu dotato, oltre delle strutture per l’ospitalità, anche di bunker sotterranei, apparati di radiotrasmissione a lunga distanza, poligoni di tiro, zone per i corsi sull’uso degli esplosivi, aule per le lezioni di carattere ideologico, attrezzature subacquee per l’addestramento di uomini-rana, un piccolo porto, due piste d’atterraggio per aeroplani e una per gli elicotteri.  Nel caso anche la Sardegna fosse stata occupata dal nemico, il Comando si sarebbe trasferito in Inghilterra.

All’interno della scuola di Capo Marrargiu operavano i cosiddetti “interni”, per lo più militari effettivi della 7ª Divisione dei Servizi militari, incaricati di formare e addestrare gli “esterni” (i gladiatori). La base sarda servì anche agli specialisti del Cag: infatti al suo interno si addestravano anche molti altri reparti speciali delle forze armate italiane e alleate. Presso la scuola sarda si tennero corsi di preparazione alle tecniche della “guerra non ortodossa anticomunista”, su temi quali sabotaggio, guerriglia, infiltrazione, esfiltrazione e occultamento e riesumazione di depositi Nasco.

In pratica si trattava di imparare tecniche di sabotaggio, di guerra a bassa intensità, di favorire l’introduzione clandestina di gruppi di reparti speciali alleati sul territorio occupato, di favorire l’uscita senza rischi dal territorio occupato di persone di rilevanza, come politici, scienziati, spie, oltre naturalmente agli elementi dei gruppi entrati clandestinamente. Per quanto riguarda, invece, l’occultamento dei depositi Nasco, tutto rimase nella teoria. Infatti i Nasco furono depositati nel 1963 da personale “interno” e nessuno dei gladiatori conosceva le ubicazioni in quanto, in caso di necessità d’uso, sarebbero state segnalate opportunamente tramite messaggi cifrati.

I servizi segreti, che controllavano le reti stay behind in Italiano, contattarono e protessero giovani neofascisti che furono poi coinvolti in una serie di operazioni terroristiche, di cui furono falsamente accusati anarchici per screditare la sinistra.

Gladio entra anche nella vicenda del cosiddetto “Piano Solo”. Il Piano Solo Un piano militare ideato nel 1964 dall’allora comandante dell‘arma dei cc Giovanni de Lorenzo. fu un tentativo di colpo di stato. Il Piano Solo fu predisposto con l’intenzione di creare una dittatura militare, “tutelare l’ordine pubblico”, e approvato da Antonio Segni, Presidente della Rep.

Il Piano Solo, fu un Colpo di stato organizzato solo dei carabinieri e predisposto dal generale dei carabinieri, partigiano bianco anticomunista, massone, De Lorenzo, capo del Sifar, che elaborò un progetto di golpe da attuarsi nel caso in cui il Governo di centro sinistra (presieduto da Aldo Moro) non ridimensionasse le sue istanze riformiste. Il Piano Solo prevedeva, oltre l’occupazione di obiettivi strategici nelle principali città italiane, anche l’arresto di oltre 700 dirigenti comunisti e socialisti, sindacalisti, intellettuali di sinistra ed esponenti della sinistra Dc da deportare poi in Sardegna, proprio nella base di Capo Marrangiu (dittatura militare). Sulla vicenda il governo pose il segreto di stato.

Nel caso Moro, la presenza di Gladio sembra impressionante. È stato appurato che almeno 14 giorni prima, la struttura Gladio fosse già a conoscenza del rapimento. Inoltre è stato appurato che alcuni proiettili sparati dai brigatisti in via Fani sembrano avere le stesse caratteristiche di quelle presenti nei depositi Nasco. La mattina della strage, in maniera del tutto casuale, il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, istruttore presso la base Gladio di Capo Marrargiu, si trovò a passare proprio nel momento in cui il Presidente Moro stava per essere rapito dai brigatisti. Anche la stampatrice modello Ab Dick 360 T (matricola n° 938508) utilizzata dalle Br per i loro comunicati durante il sequestro Moro, sembra provenisse dall’Ufficio del Raggruppamento Unità Speciali (Rus), ovvero l’ufficio che provvedeva all’addestramento dei gladiatori. Probabilmente Moro parlò di Gladio nel suo “processo” da parte delle Br, per questo la vicenda legata al memoriale che racchiude le rivelazioni dello statista è molto contorta, con smarrimenti di carte e ritrovamenti casuali, sino alla morte del generale Dalla Chiesa (ufficialmente ucciso dalla Mafia), che entrò in possesso di quelle carte.

Italo Toni e Graziella De Palo

Per concludere, anche nella morte della giornalista Graziella De Palo e del redattore Italo Toni sembra entrare la struttura Gladio. I due reporter, rapiti il 2 settembre 1980 in Libano e poi uccisi, stavano svolgendo un’inchiesta giornalistica su un presunto traffico internazionale di armi tra l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e l’Italia e sui campi di addestramento palestinesi situati nel sud del Libano. Le inchieste condotte sulla morte dei due giornalisti, furono depistate da parte dei servizi segreti italiani. Il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi, e il colonnello Stefano Giovannone, capocentro dei Servizi a Beirut dal 1972 al 1981, risulteranno entrambi legati a Gladio. La loro improvvisa morte interruppe il processo a loro carico per le attività di depistaggio.

Mentre la Russia, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1986, apriva i suoi archivi segreti, gli Usa aggiunsero altri lucchetti ai loro, rifiutandosi di collaborare con gli organi italiani. In Italia, invece, pensarono bene di distruggere completamente una parte di questi archivi…

Arriva una lettera anonima che segnalava non un covo brigatista, ma “il” covo brigatista. Doverosamente il documento viene portato al ministero dell’Interno, non solo la segnalazione viene ignorata; la lettera sparisce. C’è di che restare basiti…

Giuseppe Fioroni, Presidente della Commissione parlamentare, usa un’espressione che non lascia spazio a equivoci: “La verità su quei giorni è stata tombata”.  Ci sono ancora una quantità di “pagine” oscure, fatti non spiegati…”.

La seconda commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, smonta tutta la versione ufficiale accreditata per una quarantina d’anni. A via Fani (luogo del sequestro), a via Gradoli (covo romano dove si nascondeva il capo delle BR Mario Moretti), a via Montalcini (dove si dice sia stato tenuto prigioniero Moro), e a via Caetani (dove Moro viene fatto trovare morto), cioè i 4 luoghi chiave della vicenda, le cose non sono affatto andate come ce le hanno raccontate:

Romano Prodi

1) Non sappiamo la verità sulla famosa “seduta spiritica” nel corso della quale una “voce” sussurra il nome di Gradoli. I presenti per tutto questo tempo ci hanno raccontato quelle che si possono solo definire “balle”; dai professori Alberto Clò, Mario Baldassarri e Romano Prodi (foto sopra), ancora non è venuta la verità su quella giornata trascorsa nella casa del professor Clò a Zappolino.

2) Non sappiamo la verità sul brigatista che prese parte al rapimento di Moro e non ha fatto un solo minuto di carcere: quell’Alessio Casimirri che, secondo il suo incredibile racconto, riesce a lasciare l’Italia, transita senza documenti per alcuni giorni nella Mosca sovietica, infine riesce a imbarcarsi per il Nicaragua e beneficia di evidenti protezioni che vanno al di là e al di sopra dei governi che si avvicendano in quel paese. Casimirri vive tuttora indisturbato in Nicaragua: ha certamente avuto contatti coi servizi segreti italiani.

3) Non sono state chiarite tutte le dinamiche relative al falso comunicato brigatista, secondo il quale, Moro era stato ucciso e il suo corpo gettato nel lago della Duchessa.

4) Non conosciamo perché, emerso il nome di Gradoli nel corso della famosa “seduta spiritica” si va nel paese, e non nella via a Roma; e anzi si nega alla vedova Moro che esista una via con quel nome, e la stessa vedova, stradario in mano, la indica; ma quella pista viene lasciata cadere; per poi riemergere nel modo in cui (non) sappiamo.

5) Non conosciamo l’esatta dinamica dell’omicidio di due ragazzi milanesi del centro sociale Leoncavallo, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, uccisi da 8 colpi di pistola a opera di estremisti di destra. La “coincidenza” è che Fausto, con la sua famiglia, abitava in via Montenevoso 9; a sette metri di distanza dalla camera di Fausto, al civico n° 8, c’era il famoso “covo” brigatista del “memoriale”. Una “coincidenza”? È “coincidenza” la morte di un giornalista de “l’Unità”, Mauro Brutto, che seguiva con particolare caparbietà la vicenda? Venne travolto da un automobilista “pirata” a Milano, mai individuato…

In quei giorni dopo il rapimento di Moro, Camera e Senato, con procedura d’urgenza, esprimono fiducia al governo: monocolore democristiano presieduto da Giulio Andreotti. Per la prima volta il PCI appoggia il governo. Per la fermezza: democristiani, comunisti, repubblicani, missini; per la cosiddetta trattativa: socialisti, radicali, sinistra extraparlamentare.

Paolo VI con Aldo Moro (Foto Sir)

Il ruolo ambiguo (come sempre), giocato dal Vaticano è ancora tutto da spiegare: Papa Paolo VI era  amico di Moro e in un disperato tentativo di liberare Moro, il Vaticano dona una decina di miliardi di lire, per liberare la vita del leader democristiano. E, il 6 maggio del 1978, alle 19,35 arriva una telefonata a Castel Gandolfo, residenza estiva del papa, e luogo dove è custodito il denaro. Risponde monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI. Macchi impallidisce vistosamente. Sospira: “Il dramma è che anche a Sua Santità viene preclusa la possibilità di liberare Moro”. Sembra un dramma di Shakespeare. Quali oscuri interessi condannano Moro, la cui politica certamente dà fastidio a molti: poteri annidati a Washington, a Mosca e chissà dove?

 

Il popolo è sempre il mostro a cui mettere

la museruola, da curare mediante la

colonizzazione e la guerra, da ricacciare

il più possibile fuori dal diritto e dalla politica.

P.J. Proudhon

Fine I parte

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)